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156 | trattato |
felicità nelle voluttà e delizie di questa vita ponevano, i quali meritamente sono da tutti gli altri morali filosofi e naturali riprovati. Ma presupponendo da tutte le leggi umane e divine queste cose essere approvate, in prima dico si devono proporzionate abitazioni e dilettevoli edificare: perocchè ogni cosa naturalmente appetisce il luogo a sè conveniente, e in quello si quieta. Essendo adunque l’uomo più temperato che alcun altro animale, seguita ch’ei sia più offeso dagli elementi ed eccessive qualità loro che gli altri, e però gli fa di bisogno aver domicilio più artificioso degli altri, il quale con quanto maggior arte fusse composto, tanto a lui sarà più proporzionato e condecente. E dico che a questa cura (quanto all’eseguire) non sono occupati se non uomini rozzi ed inetti ad altri esercizii più alti, e quanto all’ordinare e deliberare piccolo tempo ai periti bisogna: nè ancora le divizie che in quelli edifizii si spendono sono in vano, sì per la comodità che ne segue dell’abitare, sì eziandio perchè di quelle molti bisognosi partecipano; nè la breve e incerta vita nostra ci costringe a non edificare, se noi con vera ragione vorremo considerare: perocchè non solo per le persone proprie si edifica, ma per i posteri ancora: il quale atto è proprietà di bontà, cioè comunicare i comodi e i beni suoi agli altri, come appare per Dionisio nel quarto capitolo de’ Nomi divini1. Non doviamo ancora affermare l’uomo essere più infelice animale degli altri perchè l’appetito suo sia insaziabile, anzi tutto l’opposto concludere, perchè quanto una cosa è manco degna e perfetta, tanto con meno comodità e istrumenti si quieta, come è manifesto a qualunque intelligente. Adunque l’inquietudine sua solo da perfezione d’intelletto procede, e perchè il fine suo è più alto che la presente vita possa concedere. Onde di questo fondamento i teologi inferiscono l’immortalità dell’anima.
Alle ragioni degli evangelici rispondo che esse senza dubbio bene procederiano, quando l’uomo edificasse ponendo la sua speranza e felicità, ponendola maggiore che il debito negli edifizii, ovvero altri beni mondani: ma in questo luogo l’opposto si presuppone. E universalmente
- ↑ S. Dionysii Areopagitae, De divinis nominibus, cap. IV. 1.