Trattato dell'imbrigliare, atteggiare e ferrare cavalli/Trattato 2/Capitolo 3
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Del maneggio di mezo tempo, & anco di tutto tempo, co'l cavaliere à cavallo, & ferri d'esso posti in disegno. Cap. III.
VOlendo il cavallier maneggiare il cavallo in misura di mezo tempo, o di tutto, bisogna osservare quel tanto, che s’intenderà in questo capitolo, & si vedrà in dissegno, si di tenerlo pe’l diritto, come ancho nelle volte; nelle quali, tenuto che s’haverà pe’l diritto, in uno di due tempi, bisogna si faccia fare quelle senza pontade, si alla mano destra come alla manca; perche non sarebbero intieramente buone, quando non fussero tutte intiere, come bisogna, che siano ad essere perfette; non ponendo le braccia in terra sin tanto, che non haverà finito la meza volta; moversi ancho co piedi di dietro di posta nella volta; ma torcere quelli, facendo, che seguitino la vita; non levandoli di quel luogo (si come nel predetto disegno si vede) sintanto, che non si vorrà ritornare nel medesimo sentiero, & spingerlo avanti, acciò, che il cavallo faccia un’altra rimessa; la quale quando si farà fare, si opererà (potendosi) ch’ei vada diliberato à tutta fuga, ritenendolo poi pe’l dritto nel fine d’essa, & subito voltarlo à misura di mezo tempo. Et non potendosi ciò per essere troppo presto, sia à tutto, & si faccia, che la prima, & ultima volta sia à mano destra. Non però alcuno pensi, che io ammetta, che si comporti al cavallo di rubare la volta, ne d’aspettare il volere del cavaliere, qual ch’esso si sia, perche voglio che non preferisca il voler di quello, & ciò conosca il cavallo, fra l’altre cose, co’l cenno della briglia, & de calcagni, ò polpa della gamba. Delle rimesse poi ne farà quella quantità li parerà essere bastevole; & consideri bene al tutto, perche alcuna volta non s’affaticasse tanto, che facesse poi l’ultima fiaccamente, & fuor di lena, & forza; che oltre’l danno, che ne seguirebbe al cavallo, farebbe anchora mala vista, si per esso, come etiamdio pe’l cavaliere. Et la mesura, & modo, si come l’intendo io, di questi tempi, si del mezo come del tutto tempo è quando si maneggia il cavallo, & è ritenuto pe’l diritto, senza pur darli tempo di fare una possata volendo (perche alcuna volta non si vuole potendo, alcuna altra non si può volendo) si volta all’hora; chiamo io questa misura di mezo tempo. Quando poi se li da tempo per poter far la possata volendo, o nò, questo io’l dico tutto tempo; perche si può far fare al cavallo quel, che si vuole, & con una, o due, o più possate. Et quando maneggiandolo si vogliano usare il più delle volte (secondo ’l mio parere) è assai d’una, voltandolo nella seconda. Et se ad alcuno il mio parere sopra questi tempi non piacesse intieramente, gli essorto à provar il tutto, & à quello, che gli riuscirà meglio s’appigli; perche non potrà essere ne biasimato, ne ingannato anchora. Io ho voluto che ogniuno sappia l’animo mio chiaro, acciò che alcuni non credessero, ch’io volessi si facesse del modo, che osservano molti cavalieri nei lor maneggi, che non si tosto li hanno spenti alla rimessa, che l’incominciano à ritenere, facendosi poi fare copia de falchi, & prima, che li voltino molte possate,cosi hoggidì nominate, ma vecchiamente d’alcuni orsate, per levarsi il cavallo con le braccia a guisa d’orso; il che da loro era biasmato, potendosi far di manco; & non tanto per insegnar ciò a cavalli, ma anco per il cavalier comportasse, che tal’hora senza pur essergliene un minimo cenno fatto da se lo facessero, & questi perciò appresso quelli non erano di miglior valore tenuti, anzi di minor stima. Alcuni credono questa sorte di maneggio sia virtù degna di gran laude, perche giudicano, che il cavallo con questo modo si mostri stare apparecchiato a far il volere del cavaliere; & a me pare incontrario, credendo, che il cavaliere lo faccia, perche è sforzato aspettar lui a voler faccia bene, conoscendo se lo volesse affrettare del modo che io ho detto, che si osservi, pur che si possa, che non li riuscirebbe, o per causa di non haver forza, o animo, o per altro diffetto, che in lui fusse; ma eleggono di non infuggarlo nella rimessa, & con falchi, & possate lo trattengono tanto, che s’unisca e s’accommodi, acciò che lo possino voltare commodatamente; dubitando, che s’altramente facessero non s’occorresse in qualche disordine, come accade ad alcuni cavalieri, che con li loro cavalli non sanno osservare i modi convenevoli secondo ricercano le forze, & qualità sue. La necessità ha fatto ritrovare questo modo di maneggio, perche è venuto a meno il valore di cavalli, & da questo si può giudicare se meritano li cavalieri (quando però lo fanno astretti dalla necessità) più laude, che li cavalli; li quali quasi tutti s’accomodaranno à questa sorte di maneggio, & saranno pochi se non son buoni, che facciano con la fuga la rimessa, & che voltino si tosto come fa di bisogno quando si può; perche fra l’altre cose (secondo però il mio giudicio) è di più bella vista, & men pericolosa all’incontro, non si perdendo anco tempo in voltare la faccia al nemico bisognando, perche si è sforzato subito passato quello voltarlo, il che maneggiandolo, si come habbiamo detto, non si può fare dandosi più tosto al nemico l’essere alle spalle avanti la volta; nè si può etiandio dare incontro, che vaglia, ma più tosto riceverlo. La cagion perche non si può dare è, che essendo il cavallo avezzo per almeno nel mezo della rimessa essere incominciato a ritenere, non può poi nel fine d’essa havere la fuga, che bisogna; & conviene, se però non sarà egli totalmente ammaestrato, che l’uno, & l’altro maneggio facciansi come alcuni cavalieri si persuadono di far fare a tutti li cavalli, cosa che si facilmente (come dicono) non credo si possa far fare a tutti, ad alcuni si, ma pochi perche incontrario ho veduto, che li cavalli avezzi per tanto tempo avanti, ch’essi fussero voltati, volendo poi, che andassero deliberati nella rimessa insino al fine, non tanto ciò non faceano in essa, ma etiam non si voleano distendere nella carriera, cosa, che quando occorreva il bisogno, non era di poco danno. Et questo come ho detto faceano per essere stati cosi accostumati, & non per causa di debolezza di gambe, o schiena, o di cattivi piedi, ne vicino anco, ne men viltà, che in essi fusse; perche levati di quel maneggio l’ho veduti stendersi. Alcuni altri cavalieri per conoscere di non poter maneggiar li loro cavalli come vorriano osservano il modo da me detto nel capitolo del contratempo: anchora, che sappiano, che esso habbia alcuna qualità non intieramente buona ne si vistosa; nondimeno per men male l’eleggono; si che adunque colui, che trovarà il parer suo riuscirli, giudicandolo per buono, & migliore de gli altri seguitarà quello, perche ad ogni modo tutte le cose del mondo sono openioni, & non tanto questa cosa come anco altre assai, si come anchora hoggidì si vede essere fatto d’alcuni, li quali etiandio trottano il cavallo (massime di vita) cosi per la città come etiam nella mostra, & questo, perche non solo si veggia il bel garbo di lui gratia, & agilità, & in gran parte anchora la bontà, ma di più la pulidezza, & attilatura loro nel stare a cavallo. Alcuni altri si vedono non si curare, che trotti, salvo, che nell’insegnare, & alle volte nel far di loro la mostra; & perciò ogn’huomo ferma la sua openione per buona, tenendola miglior di quella de gl’altri. Si che non si maraviglierà alcuno, se fra gl’huomini regnino dispareri, come si vede in questo; perche altri ve ne sono di maggior importanza. Ma di più dico, che quantunque la maggior parte de gl’huomini fussero d’un parere; nondimeno io non consiglierò mai alcuno accettare quella opinione per buona, & perfetta, se prima non se ne farà fatto certo; perchè per l’ordinario sono più gl’ignoranti, che i sapienti. Essorto io anchora in ciò li cavalieri d’immitar più che si possa il buon Musico, che più tosto si vuol mostrare bizarro, che sonare instrumento scordato, o falso, o non intieramente buono, ne ancho Musica se non ottima, & perfetta; & questo aviene per farsi udir raro, & eccellente; non tanto per il saper suo, ma etiandio per la bontà dell’istrumento, & Musica; il che a tutti di questo essercitio di cavaleria sarà per essempio; acciò che cosi essi procurino, & attendano più, che potranno ad havere a fare con buoni cavalli; & tanto più sapendo, che molti sono quelli, che giudicano, che’l molto che s’habbia operato con gl’altri sia poco. Raccordo io anchora a quelli, che ammaestrano cavalli c’habbino a insegnar lor di tal maniera, che non solo intendano la mano di lor stessi calcagno, & tempo, ma etiam de gl’altri; perche quando essi ciò non operassero verrebbero i cavalli ad essere alla similitudine del prete di villa, che non sa ben leggere salvo, che su’l suo libro; il che essi parimente farebbero non operando cosa di perfettione, salvo, che sotto’l suo maestro, & sarebbe segno di non essere bene ammaestrati ogni volta, che non si accomodassero sotto qual si voglia cavaliere, pur che alquanto fusse instrutto del cavalcare. Questo io dico perche non tanto bisogna, che’l cavallo vada sotto’l maestro bene, ma sotto ogn’altro anchora, si come di più molti n’ho io veduto andare meglio di quel che ricercavano coloro, che li cavalcavano; perche essi solo a cenno intendeano, & faceano parer quei tali, che gli erano sopra cavalli a loro simili; & ciò avenea per far cose non da loro troppo intese, & forse lor faticose, & ancho pericolose; ma l’essere li cavalli totalmente ammaestrati bene, assai gli aiutavano; perche non li sconcertavano del modo, che haveriano fatto, se non fussero di tal maniera andati. Et i cavalieri possono conoscere da
questo, ch’al cavallo ben disciplinato, & insegnato è più faticoso il male, che il ben fare. Il che non mi essendo creduto si può per l’essempio, & per la prova conoscere, essendo, che solo a cenno fanno quanto si vuole, & non con l’essere tirati, come intraviene a quelli, che sono malamente ammaestrati, o sia per forza di busse, o per essere tanto molestati nelle parti, che se li tormentano, a fine, che più tosto facciano di quello, che haverian fatto senza; per fuggire non solamente il tormento, che li vien dato dal cavaliere col appoggiarseli sopra una spalla, ma etiam quello del sperone, overamente quello della bocca, per tirarli per forza di braccia al segno dove li vuol condurre nelle volte; usando altre simili aspre cose, & per essere essi cosi accostumati, non sentendo poi tali castighi; & modi non stimano colui, che li cavalca, & non vanno mai bene se non sotto’l suo maestro overo altro, che osservi tai modi. Ma ad uno cavaliere, che si trova sopra un tal cavallo, & che non tenga li suddetti mezi per farlo andar bene, par ciò strano; & tanto più per essere avezzo (massimamente quando ei viene in mostra) non pendere d’alcun lato, ne meno stare il più del tempo mentre, che lo maneggia con le gambe innarcato, tenendoli lo sperone nella pancia; ma star su la sella sorto, & diritto come fusse in piede; ne etiam tenerlo si sollecitato alle botte, ne meno attaccarsi alla briglia; ma si ben fare ogn’opera, che si conosca, che ad esso
non fa bisogno essere portato con quella, si come sono alcuni, che total-
mente usano, i lor cavalli incontrario, che poi bisogno per for-
za di braccia condurli al segno, che si vuole, che vadino.
Adunque cosi si dee ammaestrare il cavallo, che in-
tenda solo a cenno, volendo, che vada bene, e che
per sino i fanciulli, ne quali non è forza,
ne molta scienza siano atti, & buo-
ni per farlo andare co-
me si disia.
Disegno del sudetto maneggio.