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Timeo Capitolo I

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A VITO FORNARI.


È quel Timeo che io v’intitolai son molti anni, e che, rifatto tutto quanto, intitolo novamente a voi. L’ho rifatto, perchè mi doleva lasciare un libro molto imperfetto, come mi è parso dopo; e perchè un volgarizzamento di uno scrittore come è Platone, i concetti del quale prendono valore dalla forma, che è, come dice ogni commentatore suo, onesta, viva, snella, pieghevole, bellissima, se non risente della gentilezza di lui, riesce la piú fastidiosa cosa del mondo. E messomi a questa fatica ho ripensato a voi, per le medesime ragioni ch’io dissi altra volta: prima, perchè io vi voleva e voglio un gran bene, del quale voi mi rendete cambio, volendomene anche voi molto; poi perchè voi ritraete di lui nell’abito di dare a concetti sottili pienezza e colore, nella purezza e chiarità delle immagini, e nella compostezza, e nella misura, e nella potenza trovativa e organativa specialmente, onde par che pen[p. vi modifica] sieri pur nati ora nella mente, si compongano da sè in nuovo modo; e poi perchè nei Ragionamenti bellissimi dell’Armonia Universale avete voi reso il Timeo in cristiana forma.

Cosí dissi allora e ridico oggi, aggiungendo quest’altra ragione: cioè, che vedendo ora piú chiaramente che mai per lo innanzi, che, come dice Platone, solo riposato su una parola divina, e non su le variabili opinioni de’ cosí detti nuovi uomini scenziati, passare si può, come in secura nave, il mare della vita, a coloro io ho bisogno di accostarmi, i quali di quella mi ragionano con sapienza. E la vostra sapienza riluce in ogni libro vostro, perchè scritto, non pure bene, ma per il bene; sí nell’Armonia che ho mentovato, come nell’Arte del Dire e nella Vita di Cristo; dove mostrate che vera scienza e bellezza vera e vera civiltà sono con vera Religione una medesima cosa. E a ciò che scritto avete nei libri voi date prova di credere molto fermamente con l’esempio della intera e diritta e uguale vita, della quale un segno anco è nella macra e dignitosa figura, e nell’austero viso.

E di questa fermezza vostra io mi ricordo alcuna cosa: perocchè quando gli Eghelliani a Napoli baldanzeggiavano, e, impetuosi cosí com’erano, parea che ogni mente avessero seco loro a travolgere; [p. vii modifica] voi, benchè solo, scriveste dell’ingegno dell’Hegel (di lui il quale i seguaci suoi facevano simile quasi a Dio), che non è grande propriamente, imperocchè ingegno è vista del vero, del bene e del bello; e della filosofia sua, reputata miracolosa, scriveste che è vasto errore1, e ch’ella durerebbe poco. E veramente quel rumore presto si fu quetato; e la scuola di lui è deserta. E anco ragionando voi dei Positivisti materiali di oggidì, i quali inchinano sè nella terra, laddove quelli altri si gonfiavano per andare in su, infino nelle nubi, maravigliandomene io e quasi non credendo, diceste che tra poco anco sarà fatto silenzio attorno di loro. E veramente, la gente pure non letterata a sentire le spropositate cose che dicono tutto dì, e a vedere la laidezza de’ poeti generatisi da loro, come lombricajo da corpo fracido, comincia a essere tediata e nauseata di loro; gl’intendenti poi, quelli siccome uomini micidiali della lor patria, hanno in detestazione.

Questa fermezza vostra mi ha tratto a voi, e mi trae ora più; chè imbiancandomisi il capo, e la fine non parendomi assai rimota, il pensiero di ciò che è futuro, mi occupa. E come militi che s’avviano a incerta battaglia, a vedere da un lato della via


[p. viii modifica]cavata la fossa che raccoglierà in sè i morti corpi, i più deboli si restringono con i più forti; così io con voi. E la fossa noi la vedemmo davvero, e vedemmo riporre ivi, disparendo nel cospetto degli uomini uno dopo l’altro, subitamente, quelli che, rigogliosi e fieri, poco fa erano avanti a noi, assai nominati, e con i quali io disputai non poco, ma senza alcuno odio o dispetto. E ivi entro anco riporranno me; e la tenebra, come loro, involgerà me similmente. Su la quale tenebra, che molto è paurosa, il corporale sole, le laudi, le effigie e ogni umano argomento non avranno possanza. Ma Cristo, se umiliamo noi a lui nella ora ultima, la chiarificherà. E voi, mio buono amico, che di Lui avete pensato nelle vigili notti per sì grande spazio di tempo, pregate Lui, perchè, rimossa da noi la nostra mortalità, i nostri avversarii e noi e tutti egli allegri con il lume della sua chiarezza.


Bologna, addì 30 di Luglio del 1886.

Francesco Acri

Note

  1. Dell’Arte del Dire, Vol. IV, Lez. XII.