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voi, benchè solo, scriveste dell’ingegno dell’Hegel (di lui il quale i seguaci suoi facevano simile quasi a Dio), che non è grande propriamente, imperocchè ingegno è vista del vero, del bene e del bello; e della filosofia sua, reputata miracolosa, scriveste che è vasto errore1, e ch’ella durerebbe poco. E veramente quel rumore presto si fu quetato; e la scuola di lui è deserta. E anco ragionando voi dei Positivisti materiali di oggidì, i quali inchinano sè nella terra, laddove quelli altri si gonfiavano per andare in su, infino nelle nubi, maravigliandomene io e quasi non credendo, diceste che tra poco anco sarà fatto silenzio attorno di loro. E veramente, la gente pure non letterata a sentire le spropositate cose che dicono tutto dì, e a vedere la laidezza de’ poeti generatisi da loro, come lombricajo da corpo fracido, comincia a essere tediata e nauseata di loro; gl’intendenti poi, quelli siccome uomini micidiali della lor patria, hanno in detestazione.

Questa fermezza vostra mi ha tratto a voi, e mi trae ora più; chè imbiancandomisi il capo, e la fine non parendomi assai rimota, il pensiero di ciò che è futuro, mi occupa. E come militi che s’avviano a incerta battaglia, a vedere da un lato della via

  1. Dell’Arte del Dire, Vol. IV, Lez. XII.