Teoria della relatività/La relatività particolare/La relatività dello spazio secondo Einstein/La luce, l'etere, le rappresentazioni figurative

La luce, l'etere, le rappresentazioni figurative

Teoria della relatività/La relatività particolare/La relatività dello spazio secondo Einstein/La nuova spiegazione Teoria della relatività/La relatività particolare/La relatività del tempo IncludiIntestazione 24 novembre 2019 100% Da definire

La luce, l'etere, le rappresentazioni figurative
La relatività dello spazio secondo Einstein - La nuova spiegazione La relatività particolare - La relatività del tempo

[p. 45 modifica]


b) La luce, l'etere,

le rappresentazioni figurative


Le nostre ultime osservazioni sulle rappresentazioni figurative sono perfettamente illustrate nella scienza dalla storia delle nostre concezioni intorno alla natura della luce. La vecchia teoria di Newton, che la concepisce come una emissione di particelle materiali, era indubbiamente molto rappresentativa. Tant’è ch’essa si sostenne per [p. 46 modifica]lungo tempo, anche dopo che fu contraddetta, senza dubbio alcuno a nostro giudizio, dai fenomeni d’interferenza: dei quali almeno uno era conosciuto dallo stesso Newton. La teoria ondulatoria di Huygens è anch’essa rappresentativa. Se è estremamente difficile figurarsi delle onde tanto piccole da averne 2000 in un millimetro e che si succedano tanto rapidamente da percorrere in un secondo 300 volte la distanza tra Torino e Taranto, pure con esse non si rinunzia in modo definitivo a rappresentarsi i processi dei fenomeni. Al contrario il fatto che la teoria delle oscillazioni elastiche nell’etere si è mantenuta tanto lungamente, nonostante le difficoltà manifeste, ben dimostra la tendenza a rappresentare tutti i fenomeni con delle immagini meccaniche correnti, a considerare il movimento come l’essenza di tutti i fatti naturali, e a salvare, a qualsiasi costo, il carattere descrittivo delle teorie. Nessuna intrinseca difficoltà fece alla fine naufragare questa teoria elastica, ma le prospettive aperte dalle nuove conquiste della scienza, alle quali si collegano i nomi di Faraday, Maxwell ed Hertz. La rappresentazione figurativa però ha ricevuto un forte colpo dalla nuova teoria elettromagnetica della luce. In mancanza d’altro ci si poteva ancora rappresentare le particelle dell’etere oscillanti con una velocità fantastica, ma come immaginare un campo di forze che si propagano cosí velocemente attraverso lo spazio, sempre col suo doppio gioco, perpetuamente cangiantesi, di forze elettriche e magnetiche perpendicolari tra loro? E tuttavia queste [p. 47 modifica]forze elettriche e magnetiche, le quali durante il loro tragitto non fanno che crearne di nuove della stessa natura, sono tutto ciò che ci si poteva rappresentare della propagazione della luce. Tutta questa costruzione non aveva piú niente a che fare col movimento fisico delle particelle materiali; si rinunciava dunque di già ad una concezione del mondo strettamente meccanica, cioè unicamente fondata sul movimento. Ma la gran parte della fisica, la meccanica, l’acustica, la termodinamica e tutta la chimica, rimanevano al di fuori di questo cambiamento. In realtà, nonostante l’ultimo trionfo delle spiegazioni cinetiche nella brillante teoria dei gas di Boltzmann, che parla tanto all’immaginazione, l’importanza e l’estensione delle parti della fisica meccanicamente inesplicabili, aumentarono tutti i giorni, sopratutto dopo le scoperte di Roentgen, di Becquerel, della Signora Curie, di Rutherford, di Laue e di Planck.

Riprendiamo la spiegazione che abbiamo dato delle esperienze del Fizeau e del Michelson. Ne abbiamo concluso che la luce, osservata dal sistema in quiete, vibra nel sistema in quiete, osservata dal sistema in movimento, vibra nel sistema in movimento. Poiché non possiamo piú distinguere i sistemi in quiete e quelli in movimento, possiamo dire: la luce appartiene al sistema di non importa quale osservatore; per usare una felice espressione di Bloch, essa è “cosmopolita”; la sua divisa non è ubi bene, ibi patria, ma “La mia Patria è dappertutto dove mi si vede e dove mi si osserva.” [p. 48 modifica]

Cerchiamo di fare ancor meglio spiccare questo concetto. Sino ad ora non abbiamo parlato che della propagazione rettilinea della luce; in realtà essa si fa in tutte le direzioni dello spazio, a forma adunque di sfera in tutti i lati. Supponiamo che nello spazio vuoto si produca un lampo luminoso in un punto determinato, e che nello stesso tempo questo punto sia attraversato da un innumerevole sciame di osservatori giungenti da tutti i lati con delle velocità differenti, tutti animati da movimenti rettilinei ed uniformi. Che cosa vedranno essi? Rappresentiamoci il fenomeno che si produce gettando una pietra nell’acqua; si forma un sistema di rughe anulari concentriche. Questi anelli s’ingrandiscono a mano a mano, ma per quanto grandi essi diventino, si distingue sempre il centro dal quale sono sorti e al quale rimangono concentrici; non abbiamo piú difficoltà a rappresentarci questo sistema di rughe trasportato col suo centro da un fiume di corrente tranquilla e continua: tutto il processo ben conosciuto della propagazione delle onde si ritrova se si considera l’acqua come un sistema in quiete relativa, e ciò nonostante noi possiamo senza difficoltà rappresentarcela come mobile in rapporto, per esempio, alla riva considerata come fissa.

In compenso ciò che oltrepassa la nostra immaginazione è di accettare che il sistema di onde possa avere parecchi centri divergenti, a partire da uno stesso punto con una velocità sensibilmente inferiore a quella del movimento ondulatorio, ma tuttavia notevole, e che, in qualsiasi istante uno qualunque di questi punti possa [p. 49 modifica]essere considerato come il centro del movimento di propagazione.

Ora, per la luce, è precisamente a questa concezione, prima che ad ogni teoria, che i fatti osservati ci costringono. Essi ci mostrano infatti che ciascun osservatore, quale che sia il suo movimento, deve sempre osservare nel suo sistema la costanza della velocità della luce in tutte le direzioni, e in conseguenza deve ammettere ch’essa si propaghi nello spazio secondo un sistema di sfere concentriche, di cui egli è il centro. Possiamo agevolmente immaginare che l’acqua scorra, ma ciò che supera le nostre facoltà è l’ammettere che essa scorra simultaneamente in tutte le direzioni che uno vuole, in modo che il centro, unico al momento della produzione dell’onda, si divida e che ciascuno dei punti particolari ottenuti rimanga, dopo come prima, il centro unico del movimento ondulatorio.

Ritorniamo alla nostra rappresentazione nello spazio e alle nostre sfere. Come togliere la difficoltà? Lorentz dice: Solo uno dei sistemi di sfere concentriche è il vero, è quello dell’etere in quiete assoluta, e solamente quando un osservatore è anch’egli in quiete rispetto all’etere, la sfera ch’egli percepisce coincide con quella che è assolutamente vera. Se gli altri osservatori credono, ciascuno dal canto proprio, di trovarsi al centro di sfere di propagazione ch’essi immaginano concentriche, è un’illusione che la variazione dei loro campioni di misura nasconde ai loro occhi. Quanto ad Einstein, come Nathan il saggio con i suoi tre anelli, dà ragione a tutti: ciascuna sfera è [p. 50 modifica]la buona, però ciò non è vero in modo assoluto ma in maniera relativa, cioè per il suo osservatore. Al contrario, se un osservatore guarda in un sistema estraneo, la sfera che l’osservatore estraneo vi scorge gli appare deformata, non perché essa lo sia veramente, ma perché, uscendo dai limiti del suo sistema, egli impiega in maniera non lecita i campioni di misura che in esso erano valevoli. Non è che il sistema estraneo differisca dal suo: tutto al contrario essi si assomigliano come due gocce d’acqua, ma collocandosi in un sistema per fare delle misure in un altro, non si sono prese le precauzioni volute, e i fatti hanno preso la loro rivincita.

In tutto questo che cosa è diventato l’etere? Ha perduto il suo diritto all’esistenza! Per riprendere la nostra immagine, bisognerebbe paragonarlo all’acqua che scorre in tante direzioni quante uno vuole, o anche alla zattera della pagina 30, la quale è a volta a volta in quiete con l’osservatore in quiete, in movimento con l’osservatore in movimento. In fisica, in chimica ed in astronomia non era che un aiuto ben dubbio di cui si teneva conto, piú che altro, per spiegare la propagazione della luce. Ora, secondo Einstein, esso è in questa funzione piú di molestia che di utilità. Infatti ciò che ci importa sopra tutto e ciò che esige di essere anzitutto chiarito è la costanza della velocità della luce che non sarebbe comprensibile se non ammettendo l’etere in quiete in rapporto all’osservatore. Dovrebbe quindi esserlo in rapporto a tutti gli osservatori, o ciò che è lo stesso, dovrebbe partecipare a tutti [p. 51 modifica]i movimenti possibili: disgraziatamente un corpo il quale non solamente non ha proprietà fisiche o chimiche ma che per di piú non ha uno stato di quiete o di movimento determinato, assomiglia pur troppo al famoso coltello senza manico a cui mancava la lama.

Con ciò però si sacrifica l’ultimo resto di rappresentazione figurativa. Un campo di forze che si propaga attraverso lo spazio vuoto con una rapidità fantastica; vibrazioni, ancor piú rapide, di una periodicità assolutamente regolare, senza il benché minimo substrato materiale provato o almeno immaginato al quale ricondurre questa propagazione — che sembra anche dipendere dall’osservatore che la percepisce — ecco chi si fa beffa di ogni tentativo di rappresentazione.

Ora, rappresentarsi un fenomeno non è altro che renderlo comprensibile per mezzo di un modello meccanico, reale od immaginato, poiché le sole cose che si concepiscono sono i fenomeni di movimento. La concezione secondo la quale si può ricondurre ad essi ogni cosa, vien chiamata, com’è noto, la rappresentazione meccanica dell’Universo: non la si può conservare dopo ciò che precede. Si vedrà anche che i vecchi principî della meccanica e i nuovi principî dell’elettromagnetismo non possono sussistere a fianco l’uno dell’altro in uno stato di uguaglianza: i primi devono essere subordinati ai secondi, poiché l’inverso è impossibile. Cosí la concezione astratta e matematica dell’Universo ha prevalso completamente sulla concezione meccanica e figurativa. Ora, che in teoria sia possibile ricondurre tutte [p. 52 modifica]“le cose tra cielo e terra” se non a fenomeni di movimento, almeno a delle grandezze quantitativamente misurabili, soggette cioè a dei procedimenti matematici, noi non diremo nulla né in senso affermativo né in senso negativo.

Infine confessiamo al lettore, al quale l’immagine delle sfere concentriche e tuttavia eccentriche può apparire troppo astratta e penosa, che per il suo scopo e per non accumulare le difficoltà fino dal principio, abbiamo già di molto semplificato le rappresentazioni matematiche corrette. Una concezione veramente rigorosa obbliga a tener conto non solo della relatività dello spazio, ma anche di quella del tempo, della quale stiamo per occuparci.