Teoria della relatività/La relatività particolare/La relatività dello spazio secondo Einstein/La nuova spiegazione

La nuova spiegazione

Teoria della relatività/La relatività particolare/La relatività dello spazio secondo Einstein ../La luce, l'etere, le rappresentazioni figurative IncludiIntestazione 24 novembre 2019 100% Da definire

La relatività particolare - La relatività dello spazio secondo Einstein La relatività dello spazio secondo Einstein - La luce, l'etere, le rappresentazioni figurative

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a) La nuova spiegazione


Il carattere piú saliente dell’opera di Einstein è, forse, quello di fondare con grande prudenza la teoria del Lorentz su basi assolutamente nuove, di conservarne tutti i particolari utili e, sopratutto, la piú gran parte dello sviluppo matematico. In compenso, ciò che Lorentz considerava come un fenomeno fisico, Einstein lo spiega semplicemente per mezzo di considerazioni filosofiche o [p. 38 modifica]matematiche, che fanno sparire tutte le discordanze da noi enumerate. Noi cercheremo, appoggiandoci prudentemente su esempi particolari, di dare una idea di questa teoria, nonostante le serie difficoltà che essa presenta per chi non ha familiarità con le astrazioni matematiche.

Ritorniamo al nostro treno in marcia. Lorentz, come abbiamo visto, se lo imagina accorciato, ma Einstein afferma: posso ammettere questo accorciamento solo in quanto esso è materialmente dimostrabile. Dunque: come sarà fatta questa dimostrazione, e sopratutto chi la farà? In ogni caso non l’osservatore trasportato dal treno; poiché, come abbiamo rilevato, in seguito alla contrazione simultanea del suo metro, la contrazione della lunghezza da misurare non gli è percettibile. Essa quindi non esiste se non per chi non partecipa al movimento, per quegli cioè che è rimasto a terra. Secondo la nostra definizione il treno, in marcia e il suolo in quiete costituiscono dei sistemi differenti. Diremo quindi: “L’accorciamento verrà percepito solo nel caso in cui una lunghezza appartenente ad un sistema venga misurata da un altro sistema.

Questa idea appunto ha permesso ad Einstein la sua notevole critica della misura dello spazio. Ci è necessario distinguere, egli dice, nelle misure delle lunghezze, due diverse categorie; nell’una l’operatore e la lunghezza da misurare sono nello stesso sistema, cioè in quiete relativa; nell’altra essi sono in sistemi differenti, cioè la lunghezza si muove in rapporto all’osservatore, o [p. 39 modifica]reciprocamente, il che dal punto relativista è la stessa cosa. Studiamo piú da vicino questi due generi di misure. Naturalmente è la prima che offre minore difficoltà, perché l’osservatore è la lunghezza sono in quiete relativa. Se per esempio domandiamo a qualcuno di misurare la facciata di una casa, qui non vi potrà essere questione di movimento relativo, perché la casa e lui sono nello stesso sistema, quello della terra, considerata come immobile. Con un metro l’operazione è semplicissima: si pone, com’è noto, un capo del metro ad una delle estremità della facciata, si segna il punto dove cade l’altro capo, si ricolloca il metro una seconda volta facendo coincidere la sua origine con questo punto e si continua.

Se alla diciannovesima volta le estremità del metro e della facciata coincidono il risultato della misura è dato dal numero 19.

Nel caso essa non cadesse esatta, si sa come si introducano delle unità piú piccole, i decimetri, centimetri etc, delle quali non parleremo piú oltre. La caratteristica delle operazioni di questa specie è che il concetto del tempo e la sua misura non vi hanno la benché minima parte. Che il nostro uomo faccia il suo lavoro presto o lentamente, ch’egli abbia un orologio esatto o in ritardo, ch’egli l’abbia lasciato a casa, ciò non cambia né il metodo né il risultato.

Proponiamoci invece di misurare la lunghezza del treno in marcia.

Come procedere? Non si potrà certamente mettere accanto ad esso il nostro metro; il treno si sposterebbe durante l’operazione. Non si può [p. 40 modifica]correre lungo il convoglio, poiché fisicamente non vi è differenza tra l'osservatore che corre a fianco del treno e quello che si trova sul suo predellino tutti e due appartenendo al sistema in movimento. Per effettuare la misura, restando sul suolo, ci è necessario segnare, ad un istante determinato, la posizione delle due estremità sulla terra, poi misurare per mezzo del primo metodo la lunghezza così ottenuta. Ecco dunque il procedimento: Si collocano lungo la via delle persone munite di orologi rigorosamente esatti, e ad un dato istante, per esempio alle ore 12, si fa loro segnare sulla via, con un tratto di gesso, le posizioni della testa e della coda. Posto che gli orologi dei nostri aiutanti camminino in esatta concordanza, — vedremo tra poco (pag. 53) come si arrivi a realizzare questa condizione — e che il nostro personale lavori con tutta la precisione desiderabile, noi otteniamo una lunghezza che possiamo supporre eguale a quella del treno in marcia, e che noi misuriamo secondo il primo procedimento, poiché essa è nel nostro sistema. Noi vediamo che questa maniera di misurazione si differenzia molto dalla prima: essa cioè non può fare in alcun modo a meno del tempo, anzi di più, ha bisogno di strumenti di misurazione del tempo, degli orologi. La misura nello stesso sistema faceva completamente astrazione del tempo, il che non può accadere quando detta misurazione si fa in un sistema estraneo (e per sistema “estraneo” s'intende quel sistema in movimento relativo rispetto al primo), poiché il concetto di movimento presuppone quello del tempo, senza del quale il [p. 41 modifica]movimento stesso non è concepibile. Il primo modo di misurazione è una semplice questione di geometria, il secondo ne sorpassa sostanzialmente il campo.

Abbiamo dunque due specie di misure. È ben sicuro, domanda Einstein, che con questi due metodi di lavoro, essenzialmente differenti, si trovi lo stesso risultato in tutte le circostanze? Che cosa c’insegna l’esperienza? A tutta prima che il secondo metodo non è per cosí dire mai usato. Se vogliamo misurare la lunghezza di un treno, noi lo facciamo fermare o ci collochiamo sul suo predellino, in altre parole, cerchiamo in una maniera qualsiasi di sopprimere ogni movimento relativo o di collocarci nel suo sistema. Nello stesso modo un carrettiere che vuol misurare il timone di una vettura in moto, si mette alla sua altezza ed opera continuando a camminare. Ma possiamo essere obbligati, trovandoci in un sistema, a misurare una lunghezza di un altro sistema, o a rappresentarcene la misura, e allora il solo metodo possibile è quello che abbiamo or ora indicato.

Checché ne sia ci è necessario confessare che in pratica non si fanno misure della seconda specie. E anche se ne facessimo o ne tentassimo qualcuna, che cosa ne potremmo attendere? Noi sappiamo che tutte le velocità a noi accessibili, anche quella stessa della terra, in confronto a quella della luce, che qui in prima linea c’interessa, sono straordinariamente lente. Esse, tutte indistintamente, hanno delle andature da lumaca. I risultati di esperienze su questi movimenti [p. 42 modifica]particolari non potrebbero essere estesi senz’altro a movimenti generali. Poiché si può pensare a priori, che le differenze possibili tra le due specie di misure siano cosí deboli, per i movimenti lenti, da sfuggire ai nostri metodi piú sensibili, mentre che esse potrebbero avere un’influenza apprezzabile per velocità superiori.

L’esperienza dunque non ci dice nulla circa la concordanza o la non concordanza delle due specie di misure. Ma è un principio ben conosciuto della tecnica delle ricerche fisiche: allorché non si ha su di un punto un’esperienza concludente, e quando non se ne può sperare una, si tenta un’ipotesi piú o meno plausibile, se ne deducono le conseguenze matematiche, poi si vede sino a qual punto esse coincidano con i fatti.

Einstein, usando di tale libertà, ha dato il seguente enunciato:

Noi ammettiamo che le due misure non concordano, che l’osservatore il quale, dal sistema in quiete vuol misurare una lunghezza del sistema in movimento, la vede accorciata nel rapporto della contrazione del Lorentz.” Con questo noi crediamo di aver posto bene in chiaro la nostra osservazione preliminare che Einstein cioè, ha trasportato nel campo matematico e filosofico la concezione puramente fisica di Lorentz della quale però ha conservato una grande parte.

Il grande vantaggio di quella concezione è che essa ristabilisce la relatività. L’accorciamento ch’essa ammette non dipende dalla quiete o dal movimento in se stessi, ma dal movimento della [p. 43 modifica]lunghezza da misurare in rapporto al sistema dell’osservatore. La relazione è dunque la stessa tra il primo e il secondo sistema di quella tra il secondo e il primo. Riprendiamo il nostro esempio: se l’osservatore del treno vuol misurare una lunghezza sul suolo non lo può se non per mezzo del secondo metodo perché il suolo è in movimento rispetto a lui, come lui, in rapporto al suolo. Le relazioni sono dunque reciproche, ed è in ciò appunto una delle basi di tutta la concezione di Einstein; per Lorentz questo non era nulla, perché un accorciamento fisico è qualche cosa di assoluto, e non lo si può supporre dipendente dall’osservatore che lo mette in evidenza. In pratica, Lorentz non può naturalmente fare a meno di collocarsi sul terreno della relatività, ma la sua teoria è assolutista; Einstein ha eliminato questo disaccordo tra la pratica e la teoria.

Senza dubbio si rimprovererà a questa concezione dello spazio di essere un po’ troppo astratta e poco chiara e di urtare troppo direttamente, con la sua teoria della discordanza dei due metodi di misure, il senso comune, che esigerebbe categoricamente l'identità dei due risultati. Io non mi lascerò trascinare in una discussione sulla parte che il senso comune deve avere nella scienza, poiché il mio solo scopo è di esporre, secondo il mio meglio, la teoria della relatività e di farla capire al lettore. Ma non vorrei contentarmi di dichiarare ingiustificate o destituite di senso tutte le obiezioni e tutti i dubbi che sono sorti su questioni di cui ciascuno riconosce la difficoltà. [p. 44 modifica]Notiamo nondimeno che, per quanto sia grande nella scienza l’importanza della rappresentazione figurativa, non bisogna sopraelevarne il valore. Senza dubbio è essa che, il piú delle volte, mostra al ricercatore la via di nuovi campi, è essa che dà ali alla sua immaginazione, senza la quale non potrebbe nulla creare; è essa ancora che apre allo studioso la via di nuovi modi di procedere del pensiero. Ma qui la sua funzione si arresta. Non accade mai che essa possa essere l’ultimo criterio del valore o del fondamento di una teoria. Nella lotta tra le rappresentazioni facilmente concepibili da una parte e la logica astratta sostenuta dalla matematica dall’altra, la storia delle scienze ci mostra, attraverso i secoli, il successo costante della logica.

Se tuttavia uno desidera una immagine chiara della teoria di Einstein, la migliore forse è quella spesso usata dal Petzold: quando noi guardiamo un oggetto, l’immagine che ne riceviamo non dipende solo dall’oggetto, ma anche dalla nostra posizione. In qualsiasi posto ci collochiamo non potremo evitare la deformazione di prospettiva; tuttavia, nonostante la diversità delle immagini ottenute, non dubitiamo che esse derivino dallo stesso oggetto. Ora, sino ad oggi, eravamo convinti che in mancanza dell’occhio umano, i metodi di misura fisica potessero cogliere un fenomeno in modo del tutto obiettivo. La concezione di Einstein lo nega e afferma che lo stato di movimento dell’osservatore interviene in tutte le misure, anche in quelle che sembrano le piú obiettive. Esse perciò, tutte indistintamente, danno [p. 45 modifica]immagini deformate, per cosí dire, da una prospettiva particolare. Vi è dietro queste diverse immagini un fenomeno obiettivo che ci resta assolutamente inaccessibile? o sono esse stesse semplicemente l’ultima realtà osservabile? Petzoldt combatte quest’ultimo punto di vista con tutta la sua energia, ma qui dobbiamo contentarci di aver messo sul tappeto la questione.

Queste note non sono né possono essere sufficienti a dare una rappresentazione chiara della teoria della relatività; poiché questa non è suscettibile di essere concretizzata, e da ciò deriva la sua difficoltà. Ma non bisogna in nessuna maniera renderla, per cosí dire, responsabile di tutte queste difficoltà che risiedono piú che altro nei fatti d’esperienza da spiegare. Per togliere la contraddizione apparente delle due esperienze fondamentali bisogna prendere una risoluzione energica; Einstein l’ha presa, e secondo tutte le apparenze, ci è riuscito.