Teoria della relatività/La relatività particolare/I nuovi fatti/Confronto
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c) Confronto
Se confrontiamo i risultati delle due esperienze la contraddizione appare evidente. Ma prima dobbiamo rispondere ad un’obiezione possibile e spesso enunciata: le condizioni non sono rigorosamente le stesse nei due casi; nell’uno la sorgente luminosa si trova nel sistema fisso, e dall'esterno essa invia nel tubo un raggio luminoso che non prende nessuna parte al movimento del mezzo: nell’altro partecipa a questo movimento; poiché la luce non penetra dal di fuori nel sistema mobile, che costituisce la terra intera, essendo in esso prodotta. Per operare in condizioni identiche si potrebbe pensare ad utilizzare la luce delle stelle che proviene da una sorgente certamente esterna, se essa non fosse troppo debole per delle misure cosí delicate. Quanto a quella del sole essa avrebbe un altro inconveniente: essa non può agire che nella sola direzione perpendicolare alla traiettoria, mentre che nell’esperienza di Fizeau vi è coincidenza nelle direzioni dei movimenti della luce e del sistema (corrente d’aria).
Fortunatamente questo scrupolo è superfluo; non si può ammettere che il movimento della sorgente luminosa abbia un’influenza qualsiasi sulla propagazione della luce; sarebbe molto difficile spiegare teoricamente questa influenza, poiché, sopratutto dopo Faraday, ci si è sempre di piú convinti ch’era necessario rinunziare alle azioni a distanza, tra le altre nei fenomeni elettrici ed elettro-magnetici dei quali la luce è un caso particolare, e rimpiazzarle unicamente con azioni ravvicinate. Ciò che causa l’azione della luce in un tratto del suo tragitto non è la sorgente, forse lontanissima, ma lo stato del raggio nel tratto immediatamente anteriore. Per essere differente in un elemento, bisognerebbe che il fenomeno lo fosse già nell’elemento precedente: si vede che sarebbe malagevole rappresentarsi il fatto. D’altra parte, per il suono lo stato di movimento o di quiete della sorgente non ha la benché minima influenza sulla sua velocità e si potrebbe da ciò concludere per analogia, ma naturalmente, solo l’esperienza è quella che ci può risolvere; ora in astronomia in particolare, essa ci mostra che, qualunque sia il movimento della sorgente luminosa, non si ha alcuna azione sulla velocità della luce.
La contraddizione tra le due esperienze fondamentali è quindi completa: un raffronto la renderà più sensibile. Noi siamo sulla riva di un fiume e dei treni vi circolano nei due sensi con la stessa velocità. Supponiamo ora che questo andirivieni abbia luogo su di una zattera: se l’osservatore constata dalla riva che la velocità è rimasta la stessa nelle due direzioni penserà che la zattera è all’àncora, che è immobile. Lasciandosi andare secondo la corrente su di un canotto egli deve quindi attendersi di vedere i treni, che vengono verso di lui, passare alla sua altezza con una velocità superiore a quella dei treni che lo raggiungono, e se, al contrario, le velocità degli uni e degli altri gli appaiono eguali, ne dedurrà che la zattera discende il fiume come fa egli stesso. L’esperienza del Fizeau ci conduce a concludere, come l’osservatore sulla riva, che la zattera è fissa: quella del Michelson ci fa pensare, alla stessa maniera dell’osservatore sul canotto, ch’essa cioè segua la corrente: qualunque sia il movimento dell’osservatore, la zattera, che simbolizza l’etere ipotetico, è in quiete rispetto a lui. Potremo allora dire: L’esperienza del Fizeau dimostra che nel movimento di un mezzo qualsiasi l’etere rimane in quiete, che esso non è trascinato; quella del Michelson dimostra che l’etere è trascinato. D’altra parte non è che una espressione piú grossolana del nostro primo enunciato sulla velocità della luce nei sistemi in quiete e in movimento. Prendiamo un secondo esempio; nell’istante in cui parte un treno lungo centinaia di migliaia di chilometri, dall’ultimo vagone vien lanciato un segnale luminoso. Dopo quello che abbiamo visto è indifferente che questo lancio si faccia sul vagone, sul suo tetto o sulla sua predella, o sul suolo. Misuriamo quindi la velocità della luce sulla via e sul treno, cioè determiniamo il punto dove essa sarà giunta al termine di un secondo; sulla strada noi troveremo naturalmente una distanza di 300.000 chilometri, ma sul treno, sulla predella per esempio, noi ritroveremo la stessa velocità, e pur tuttavia mentre la luce si propagava il treno avanzava!
In qualsiasi modo si possa considerare questo fatto, sembra certo che la velocità del sistema non si può né aggiungere né togliere alla velocità della luce; non si può quindi applicare a questo nostro ultimo teorema l’addizione della pag. 18: “il principio di relatività di Galileo, di cui questo teorema costituisce la base, non è valevole per la propagazione della luce; esso dunque non è assolutamente generale.”
Ma questa costatazione puramente negativa non chiarisce la contraddizione dei fatti sperimentali che esigono imperiosamente uno studio piú completo. In base a ciò che già sappiamo la contraddizione è così manifesta, i fatti che la generano cosí semplici, che non si può pensare a scartarla con delle mezze misure dalle quali non si può ricavar nulla. Per arrivare alla spiegazione di essa, semplice e netta, quale da noi si desidera, ci è necessario trasformare profondamente, e non senza fatica, le vecchie abitudini del pensiero. Si è potuto per anni interi contentarsi dei fatti, non considerandoli altro che in se stessi, rinunciando a dominarli con un lavoro di sintesi ed ordinarli in una teoria qualunque; questo comodo procedimento non poteva alla lunga essere la via della scienza.