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«Da quel momento la pace entrò nel suo cuore, ed il suo volto fu sempre animato da una serena rassegnazione. Vedeva avanzarsi la morte a gran passi, e ne parlava senza terrore. Il mio povero babbo era profondamente credente; aveva quella fede consolante che toglie ogni squallidezza alla morte; che anima di spiriti aleggianti, di memorie, d’affetti e di speranze, la tristezza glaciale della tomba.

«Ci parlava con dolcezza di quando saremmo uniti, in un piccolo nido d’amore, e la sua anima invisibile vivrebbe tra noi:

«— Allora non mi spaventeranno le distanze ed i biglietti di strada ferrata, diceva sorridendo. Se vi scrittureranno per la China, io sarò là prima dì voi; entrerò in tutte quelle case da bambole, e vi cercherò la meno inospitale, la più europea; poi verrò a prendervi, v’accompagnerò nel viaggio, ed allo sbarco vi susurrerò all’orecchio:

«Contrada tale, numero tale,» e voi ci andrete credendovi guidati dal caso, e troverete il nido scelto da me: e ci starete comodi e felici... Non mi direte, come facevate prima: «Grazie, babbo; come sei buono, babbo; tu [p. 182 modifica]pensi sempre a noi.» No; non lo direte; sarà il caso, sarà la fortuna che ringrazierete; ma non importa, io vi vedrò contenti, ed il mio spirito esulterà. Allora non sarete più imbarazzati come ora dinanzi a me. Vi crederete soli, e non assumerete quell’aria freddamente cerimoniosa; io potrò udire le vostre parole d’amore; pormi tra i vostri sguardi per leggerne l’espressione passionata; contare i vostri baci, misurare e risentire la vostra felicità.

«Tutto codesto diceva colla sicurezza della sua fede robusta; e lo diceva sorridendo per consolarci nel nostro dolore. Quando Gualfardo si mostrava un po’ espansivo con me, il povero malato dimenticava ogni sofferenza, ed era contento; non avea vissuto che per me, e credendomi felice non sentiva di morire.

«Era una strana situazione. Sapevo che Gualfardo non mi amava più, nè mi amerebbe più mai. «So tutto» m’aveva detto, quando avevo voluto confessargli il mio amore per Max, «so tutto.» Ma non era vero. Egli poteva avermi veduta all’albergo, stare alla finestra con Max. E quando dopo tali apparenze accusatrici, mi diceva: «So tutto» doveva credermi più colpevole che non fossi.

«No, non sapeva tutto. Non sapeva che Max aveva avuta tanta generosità, tanta poesia giovanile nel cuore, da rispettare, nella donna che amava, la fidanzata d’un altro. Non sapeva che, leggiera, inco[p. 183 modifica]stante, compromessa, in quell’ora stessa che mi credevo obbligata a rendergli la sua parola, a scindere il nostro impegno, ero ancora onesta e degna di lui.

«No; non sapeva tutto questo, ed io dovevo nascondere il mio amore per lui, possentemente ravvivato da quel ravvicinamento, da quella comunanza d’affetti e di dolori, dalle nobili manifestazioni dei suoi sentimenti; dovevo nasconderlo perchè sapevo che non troverebbe mai più la via del suo cuore. Ch’egli non dimenticherebbe mai la colpa di cui mi accusavano le apparenze; che, anche quando in un impeto generoso mi aveva detto sinceramente: «Volete essere mia sposa domani?» anche allora poteva perdonarmi, poteva darmi il suo nome, la sua vita, ma non obbliare il passato, non rendermi la sua fiducia, il suo amore.

«Ed allora appunto che io dovevo dissimulare a Gualfardo i miei sentimenti, egli si forzava di mostrarsi espansivo con me per consolare il babbo, ed io cercavo di fargli credere simulate in favore del malato quelle dimostrazioni, che gli corrispondevo con tutta l’espansione del mio cuore.

«Quella situazione strana sarebbe stata insopportabile, se la preoccupazione continua e più saliente di vedere spegnersi lentamente una cara vita, non ne avesse distratto il nostro spirito. Subivamo nei nostri rapporti sensazioni ed impressioni, volta a [p. 184 modifica]volta attraenti, repulsive, angosciose; ma non erano che sensazioni, ed il pensiero non ci si arrestava mai. Il pensiero di entrambi noi, era fisso alla malattia del babbo, ad alleviare i suoi dolori. Mai una volta mi domandai, che sarebbe di me quando quell’ultimo parente avesse cessato di soffrire. Tuttavia sentivo che nel tempo stesso che perderei il babbo, perderei anche Gualfardo. Ma lo sentivo senza pensarci. Il mio cuore viveva con tutte le sue potenze d’affetto, d’amor proprio, di tendenza istintiva alla felicità, di rimpianti, e d’aspirazioni; ma nella mia mente io ero completamente dimenticata, e con me tutto il mondo; non esisteva che quel filo di vita del mio povero babbo.

«E quel filo di vita si spense, senza angoscie, senza convulsioni d’agonia.

«Era trascorso poco più d’un mese dal mio arrivo a Torino. II babbo era deperito di giorno in giorno. Non lasciava più il letto. Le gambe gli si erano gonfiate enormemente; non si nutriva quasi più. E quella gonfiezza saliva, ed aumentava sempre.

«Da molte notti Gualfardo rimaneva a vegliare il malato con me. Non ci coricavamo più, non uscivamo più di camera. Quando uno era spossato si addormentava per poco nella poltrona da una parte del letto, mentre l’altro vegliava dall’altro lato. Era la vigilia degli Ognissanti. Da due giorni e due notti [p. 185 modifica]non avevo più riposato un minuto. Le cure che la malattia richiedeva erano faticose, ed io consentivo a dividerle con Welfard, ma non a cederle a nessuno. Ero in uno stato di abbattimento; indebolita, convulsa. Il babbo, che aveva appena un filo di voce, mi accennò di accostarmi, e tenendomi abbracciata colle poche forze che gli restavano, mi disse:

«— Riposati un poco nella poltrona, mia cara. Mi farà bene a vederti dormire; e Gualfardo mi veglierà. Poi soggiunse:

«— Tuo marito mi veglierà; — e ci guardò entrambi con un sorriso di gioia celeste.

«— Ma tu come stai, babbo? gli chiesi con un senso di paura che non potevo spiegarmi. E se avesti bisogno di me?

«— Tuo marito ti sveglierebbe; dille che si riposi, Gualfardo; diglielo tu. E lo fissava coll’occhio pieno d’ansietà, come se desiderasse ardentemente di vedermi dormire.

«Gualfardo, che lo comprese meglio di me, ed indovinò che voleva togliermi al supremo dolore di vederlo morire, strinse il mio capo sul suo cuore, e baciandomi in fronte, mi disse:

«— Sì, Fulvia; dormi. Io ti sveglierò: — e mi condusse alla poltrona, mi accomodò i cuscini, mi coperse con uno scialle, poi tornò presso il babbo.

«All’istante il sonno mi vinse. Un sonno profondo, [p. 186 modifica]senza sogni. Non so quanto tempo durasse. Quando mi svegliai ero nella mia camera, sulla stessa poltrona. Accanto a me era seduta la vecchia serva del babbo. E sulle mie ginocchia un pezzo di carta su cui era scritto a matita:

— «Coraggio, Fulvia. Non ha voluto che lo vedeste morire; non vuole che lo vediate più. Ha desiderato di rimanere per sempre nella vostra memoria come lo vedeste ieri sera quando vi baciò e vi sorrise. Obbedite e siate forte. Lo spirito del povero babbo vi vede e vi benedice. — Io l’accompagnerò fino all’ultimo. Farò come se fosse mio padre. Non uscite dalla vostra camera.

«Welfard

«Dopo tante veglie e fatiche la natura aveva vinto, ed avevo dormito l’intera notte ed una parte del mattino. Povero, caro babbo! Aveva avuto l’eroismo di pensare ad addormentarmi, perchè non lo vedessi morire. Santi eroi dell’affetto, della famiglia! A codesti non si fanno monumenti, e statue. Ma hanno un monumento nel cuore dei superstiti che hanno amato; e se i loro spiriti possono vederlo, devono esserne più consolati.