Supplemento alla Storia d'Italia/LXXVII
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Roma, li 4 piovoso anno 5 (23 Gennajo 1797)
LXXVII - Al Generalissimo Bonaparte.
Le lettere del Cardinale Albani, inviato del Papa a Vienna, non sono lusinghiere per Sua Santità, e l’Imperatore nella situazione in cui si trova, vuole che il Papa gli dia del denaro, gli ceda Ferrara, e Comacchio, e confermi tutte le convenzioni stipulate da Giuseppe II relativamente alle materie ecclesiastiche. Voi vedete che Sua Maestà Imperiale mette un alto prezzo all’alleanza che la Corte di Roma ha avuto la sciocchezza di domandargli. Da un’altra parte il Re di Napoli continua a tenere un presidio considerevole in Pontecorvo, il quale appartiene al Papa; ed il Comandante delle truppe napoletane in quella Città ha fatto arrestare il Governator pontificio, per non aver eseguito appuntino una requisizione di 30 cavalli. Il Cardinal Segretario di Stato, che Vienna aveva intimorito, che Napoli aveva guadagnato, e Sua Santità che si accende e si sconcerta per capriccio, si veggono imbarazzati nelle loro operazioni. Si fa loro credere che Alvinzi ha tuttavia una grande armata a Padova, a Bassano, e nei luoghi circonvicini, alla quale arriveranno grandi rinforzi; che noi saremo obbligati di guadagnare un’altra grande battaglia, e di prender Mantova prima di potere attaccare lo stato della Chiesa: a questo modo, si vive nell’inquietudine, ma non havvi ancora gran timore.
Non si lascia di farmi cicalare, e siccome io riduco tutto alla necessità di rispondere per iscritto alla mia nota mi si fa continuamente la promessa di darmi questa risposta, dicendomi «ma il trattato inammissibile proposto con tanto rigore dal Direttorio, ci ha situati fuor di ogni misura, e nella necessità di andar cercando appoggio da per tutto; lo che ci ha impegnati con le altre potenze, ed ha smarrito le menti di una gran parte del Sacro Collegio. Compiacetevi di averci per iscusati se differiam di rispondere: il Papa vuole mettersi in istato di dare una risposta categorica.» Io con fo strepito; conformandomi alle istruzioni ricevute, lascio andar senza manifestarne alcun risentimento tutto quello, a cui non potrei oppormi senza un disturbo. Credo che fra breve mi si darà la risposta in iscritto, la quale ormai è stata differita per quarantaquattro giorni. Se il Direttorio avesse voluto che io fossi entrato in trattative, esso mi avrebbe date le sue istruzioni sopra i punti fondamentali. Che mai si ha in mente di stipulare intorno a Bologna, ed a Ferrara? Che si vuoi rilasciare, o concedere degli antichi dritti, e prerogative di cui godeva in Roma la Francia Cattolica? Sopra quali basi, e quali principj stabilire la riconciliazione, e l’amicizia? Io sento dire a tutto il mondo che non ci ha nulla di sì facile quanto la pace di Roma, ed io non conosco nulla di più difficile. Le condizioni dell’armistizio sono ratificate di una maniera che non lascia al Papa verun pretesto di allontanarsene. Qui vorrebbero esentarsene, o almeno ottenere che fossero sommamente raddolcite.
Il Principe di Belmonte scrive da Parigi, che avendo parlato sovente in favor di Roma al Direttorio, questo abbia risposto, che ad onta di tutto ciò ch’era accaduto, la pace avrebbe potuto aver luogo, se si fosse cominciato dall’eseguire le condizioni dell’armistizio, e che si accorderebbero delle dilazioni al pagamento delle somme convenute. In seguito di queste buone parole, si crede che noi andrem cedendo, e perciò non si pensa che ad ottener sempre cose maggiori. Le Corti hanno delle spie da per tutto incaricate a penetrar la nostra politica. Si cerca parimente di preparar la nostra rovina; e siccome ignoro ciò che il Direttorio avrà potuto decidere in seguito de’ miei lunghi dispacci, e non conosco il suo piano relativamente a Roma, se sorgesse una circostanza favorevole, non ardirei profittarne per combinare un accomodamento. Sono assicurato, che attualmente è in Napoli un inviato di Vienna con pieni poteri, per far rompere al Re di Napoli il suo trattato di pace. Io conosco il carattere timido di Acton; so che la sua armata è desolata da una terribile malattia epidemica: egli non ardirà muoversi; ma è molto facile che la Regina, messa secretamente d’accordo con lui, gridi ch’ella ha in orrore il vostro trattato di pace. Questo appunto è ciò che dà alla politica di Napoli quel viso bifronte.
Al presente un Inglese, come ogni altro straniero, non ottiene qui passaporto per andare a Napoli, che dopo molte difficoltà: egli trova lungo la strada dieci corpi di guardia dove questo passaporto debbe esser vistato; in quello ch’è più vicino alla capitale si fa smontare il viaggiatore di vettura, se gli visitano le tasche, e se ne prendono tutte le carte; giunto in Napoli egli le reclama, ma sovente si trovan perdute; egli ricorre al suo Ministro, non vi è agente straniero che osi mescolarsi in queste sorti di affari; anche quello d’Inghilterra ha rinunciato a far reclami per li suoi individui, perchè non vuole sagrificare a simili dispute l’interesse maggiore, ch’è quello d’aver nelle due Sicilie le provvisioni per le flotte. L’organizzazione di una Repubblica Italiana ne’ paesi da noi conquistati mette in furore e in disperazione tutti i gabinetti d’Italia. La nostra dominazione assicurata con tale mezzo in questa bella contrada, ci fa odiare all’ultimo eccesso da’ nobili, e dal Clero superiore: essa può procurarci un partito incomparabilmente più forte, cioè quello del popolo; ma tutti temono di esser da noi abbandonati, e ciò fa che la nostra sorte sì rimane indecisa in questa penisola dove tutto dipende dall’impedirvi l’entrata de’ Tedeschi. Le buone disposizioni ad organizzarsi in Repubblica, e la straordinaria armonia degl’Italiani, ci promettono una nuova armata repubblicana; ma si prosiegue a far tutto tremando; tutto sembra subordinato alle negoziazioni cominciate, e regna ancora da una parte un timido sentimento di confidenza in noi, e dall’altra il furore il più deciso de’ nostri nemici. E’ importante che si giunga ad una situazione meglio determinata.
Cacault.