Supplemento alla Storia d'Italia/LXXVI
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Roma, li 23 nevoso anno 5 (12 Gennajo 1797)
LXXVI - Al General in capo Bonaparte.
Dall’estero, e per la posta straniera si è fatto qui arrivare un libello stampato, che porta per titolo: Lo Stato Pontifìcio agli altri incliti Stati d’Italia.
L’autore vi fa parlare lo Stato del Papa raccontando agli Stati d’Italia la storia di tutto ciò che è accaduto dal principio della rivoluzione, tra il Governo francese, ed il Governo romano; l’esposizione di perfidia, e d’ipocrisia; e le calunnie, e le declamazioni contro i Francesi sono atroci. È chiaro che i materiali di un tale opuscolo sono stati somministrati dal gabinetto di Roma; è un manifesto clandestino, e senz’approvazione, il quale tende ad eccitar gli animi sempre più contro di noi. Egli mi è stato impossibile di avere alla mia disposizione un esemplare di questo libriciattolo, che ho letto. È il più maligno di tutti quelli altri, che si moltiplicano, e si vendono qui, e che avrò cura di farvi pervenire come si andranno pubblicando. Il General Colli inviato al Papa dall’Imperadore con altri officiali per comandare l’armata papale non tarderà ad arrivare. È sicuro che Monsignor Albani scrive da Vienna, esser d’assoluta necessità che le truppe del Papa investano sollecitamente Bologna, e Ferrara, e che il partito imperiale, il quale è qui, sollecita il Governo romano di trovar un pretesto, onde farmi partire. I consiglieri del Papa meno sciocchi sostengono che le truppe pontificie non debbano attaccare, e che non abbiasi a far nulla che possa provocar la guerra, continuando intanto ad armarsi ed a prendere gli espedienti più grandi di difesa: ma non vi ha un solo, il quale sia d’avviso che il Cardinal Segretario di Stato risponda alla mia nota, e s’impegni in una trattativa di pace con noi, la quale farebbe svanire le misure prese dalla parte di Vienna, e sopra tutto quest’odio, e quest’audacia contro i Francesi, che sono considerate come la forza maggiore.
Il ministro di Toscana Angiolini ha ricevuto da Parigi una lettera del P. Corsini, della quale ha cercato di far uso a fin di disporre questa Corte alla pace. Il Marchese Manfredini, dietro la conversazione tenuta con voi, ha pure fatto conoscere che noi la desideriamo, e che si farebbe bene a profittare di questo momento. Il Marchese del Vasto consiglia parimente di venire ad un accomodamento, ma con la intenzione di farne mediatore il suo padrone; ed è difficile che qui si voglia mancar di riguardi un’altra volta alla Spagna, accettando oggi un’altra mediazione. Questi piccoli intrighi possono essi far dimenticare, che io ho offerto la pace offìcialmente, e che questa Corte sdegna di fare per iscritto la minima risposta, senza temere la conseguenza di trovarsi a questo modo impegnata? Fino a che il Papa sarà lontano da ogni idea di saggezza relativamente alla Repubblica francese, non permetterà al suo Gabinetto neanche di rispondere alla mia nota, la quale nondimeno è stringente, presentata a nome del Direttorio, e vostro: non vi è nulla a fare; si è andati al di là di ogni misura. Ci siamo abbandonati ai nostri nemici, ed essi si sono persuasi, che dando tempo agli avvenimenti, potranno ripigliar Bologna, e Ferrara, non pagar nulla di ciò che fu convenuto nell’armistizio, e tenerci nella stessa separazione politica, nella quale sono i Protestanti. Io che potrò mai fare quando si mostra tanta ostinazione a non rispondere alla mia nota? E per qual altro mezzo si potrà riuscire presso un Sovrano che si mette al di sopra delle più semplici convenienze verso la Francia? In simili circostanze la continuazione del mio soggiorno qui, in qualità d’uomo pubblico, che se ne possa dire, è senza dignità. L’onore è offeso rimanendo sì lungo tempo, senza poter nulla rispondere, esposto a beffe, ed ingiurie; e rimaner testimone de’ torti fatti alla Repubblica.
Io ho preservato la mia persona dagl’insulti, e dalle soperchierie mettendo un’attenzione indefessa a scansarne le occasioni; ma in tutto ciò che riguarda la nazione non posso né ignorare le offese, né esservi insensibile; la continuazione della nostra pazienza conturba l’anima, e spinge all’inconsiderazione. Io desidererei di essere autorizzato a partir di Roma, di andare a Livorno, a Bologna, a Ferrara, a Modena, e sino al quartier generale per conferir con voi; la rottura non andrebbe al di là di quel che è al presente; partendomene senza rumore, o minaccia, potrei continuare a corrispondere con questo Governo sopra i piccoli oggetti correnti, ed ordinarj. Dopo aver preso nel mio viaggio conoscenza dei paesi da noi conquistati, e dopo che voi mi avrete comunicato i vostri lumi, ritornerò al mio posto che mi è destinato in Firenze, dove potrei con la convenevole dignità rendermi utile e per ciò che riguarda le nuove conquiste della Repubblica, adempiendo, il meglio che mi sarà possibile, il piccolo ministero della Toscana, di cui conosco perfettamente gli affari, e lo spirito della Corte. Io son penetrato di quanta importanza sarebbe per l’armata d’Italia lo strappar dal Papa i 16,000,000 ch’egli vi deve in forza dell’armistizio, o almeno una parte. Questo denaro è necessario per accelerare le operazioni di Mantova su l’Adige, e su la Brenta. Se alla primavera l’armata vittoriosa dovesse entrare in Germania per finire una volta la guerra con l’Imperatore, i milioni del Papa le sarebbero tanto più necessarj. Quanto desidererei di poterglieli far pagare senz’obbligarla ad una diversione per venirli essa stessa a cercare!
I nostri nemici conoscono quanto questo denaro ci sarebbe necessario, e il Vice-re Elliot ch’è stato qui, e tutti gli agenti de’ coalizzati, ed anche quelli delle potenze neutre d’Italia, non vogliono farci ricevere questo soccorso, sperando che per mancanza di mezzi noi saremo obbligati a ripassar le Alpi. Questa Corte che ci odia, e ci aborre, e per la quale la perdita di Bologna, e di Ferrara, e le contribuzioni dell’armistizio sono oggetti di grandissima considerazione, non vuole neppure sentir parlare che essa abbia a dar la minima cosa. Se le circostanze ulteriori saranno così imponenti da deciderla a questo gran sagrificio, non dubitate, che allora M. Caleppi non venga a cercarmi dovunque io mi sia; la mia presenza qui non giova a nulla, e forse invece è di nocumento: essa ha l’apparenza di un desiderio troppo grande di pace, ma qui ben si conosce esser, piuttosto il desiderio di farci pagare in conformità del trattato d’armistizio. Non posso credere che anche dopo l’arrivo di Colli il Papa possa attaccare Bologna, e Ferrara; egli ancor non ha 12,000 uomini di truppe, e sino al presente non ne ha fatto passare in Romagna che circa 6,000 al più; questa non è certamente un’armata formidabile. Bologna ha il suo piccolo partito di malcontenti, i quali scrivono qui che le truppe papali ci sarebbero ben ricevute; questi malcontenti sono molto più numerosi a Ferrara, da dove fanno sapere la stessa cosa: ecco quel che sopratutto inanimisce la Corte di Roma ad armare, ed a fare avvicinare le sue truppe alle due Legazioni.
Qui si prova gran dispetto che i popoli di qua dal Po si sieno ordinati in Repubblica, ma non si è ancora nel caso d’opporvisi. Si predica una Crociata contro il repubblicanismo, si stendono le braccia all’Imperatore, ma qual guadagno si ha in mente di fare con questa pretesa alleanza? Egli piuttosto doveva dimandare la medesima cosa che il Papa sollecita: perché gli Austriaci faranno senza di Roma tutto ciò che potranno per cacciar via i Francesi d’Italia, e se essi vi riescono, il Papa è salvato senza che abbia bisogno di compromettersi; ma se in vece saranno scacciati gli Austriaci, come ve ne ha tutta l’apparenza, i farfalloni del Papa, che resterà solo in faccia d’un nemico giustamente irritato, metteranno la sua tiara nel più gran pericolo. Se la Corte di Vienna sospetta, che voi potreste, dopo la vittoria che abbiam ragione di sperare contro Alvinzi, entrare in Germania, il suo piano sarà di far passare nello Stato ecclesiastico un’armata per riunirsi ai soldati del Papa, che diverrebbero i suoi, e forse ancora in Napoli, la fede del cui Governo cesserà difficilmente d’esser sospetta. Si potrebbe anche riuscire a ripigliarci l’Italia sino alle Alpi: tutti i gabinetti di questa contrada si riunirebbero ben volentieri contro di noi, se fosser sicuri della riuscita. Si dice che nell’ultima vostra conferenza col Marchese Manfredini, voi gli avete chiesto un imprestito dalla Toscana, e gli avete offerto di procacciare al Gran Duca la Legazione di Urbino. Ciò potrebbe ben riuscire se il Gran Duca attuale fosse ambizioso: ma come aspettar da un fratello dell’Imperatore, soccorsi contro Vienna?
Non vi è Stato in Italia, che sia disposto a far imprestiti senza la forza, perché il voto ardente di tutti i gabinetti di questa contrada, è di vederci ripassar le Alpi.
Cacault.