Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XXII - L'assalto all'hacienda
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CAPITOLO XXII.
John, i due scorridori della prateria ed i due figli del colonnello si erano precipitati fuori della saletta in preda ad una viva commozione, poichè nessuno si aspettava una così rapida comparsa degli Indiani.
I negri ed i meticci, guidati dall’intendente, il quale aveva ormai fatti alzare i tre ponti gettati sopra il fossato, si erano già slanciati sulle palizzate, le quali erano state fornite, internamente, di passaggi sorretti da robuste traverse, per poter meglio difendere la cinta ed accorrere più facilmente là dove il pericolo poteva diventare maggiore.
Tutti erano armati di buonissime carabine, di pistole e di asce, e parevano ben risoluti ad opporre una valida difesa, sapendo anche loro che non avrebbero trovato grazia alcuna da parte dei guerrieri di Caldaia Nera.
Due sentinelle avevano fatto fuoco verso la grande foresta di pini, sul cui margine si erano mostrati alcuni cavalieri rossi: degli esploratori certamente.
L’indian-agent, subito rassicuratosi, si era voltato verso il figlio del colonnello, dicendogli:
— Non sarà di giorno che quei vermi tenteranno l’attacco. Sono venuti ad osservare.
Vedete infatti che si sono affrettati a scomparire fra i grandi alberi.
Per ora si contenteranno di razziare il bestiame dell’hacienda.
— Un migliaio e più di capi, — disse il giovanotto, scuotendo il capo.
— Vostro padre è abbastanza ricco per farne a meno.
— Non dico di no, John. D’altronde mi ero rassegnato a perderli, dopo la dichiarazione di guerra delle tre nazioni.
Mi sarebbe stato impossibile farli guidare attraverso la prateria battuta dalle colonne dei guerrieri rossi.
Che si contentino di portarci via il bestiame.
— No, signor Devandel, — rispose l’indian-agent. — A loro premeranno più le nostre capigliature, ve lo dico io.
— Eppure dovrebbero contentarsi.
— Ah!... Voi non conoscete Caldaia Nera o meglio chi guida le orde degli Sioux.
Ci daranno un attacco furioso, anzi disperato, e non se ne andranno se prima non avranno catturato voi e vostra sorella.
— Tanto ci odiano?
— Eh, signor mio, siete i figli del colonnello Devandel, l’uomo che è sempre stato il più acerrimo nemico della razza rossa e poi.... vi è dell’altro che pel momento non posso dirvi.
Vostro padre non mi avrebbe mandato qui.
— E saranno molti gl’Indiani?
— Due tribù unite!... Avremo molto da fare a sbarazzarci di loro, signor Devandel.
Venti soli uomini a difendere tutta l’hacienda non saranno molti.
— Che cosa mi consigliate di fare, John? Voi siete abituato a queste battaglie. —
L’indian-agent non rispose. Ritto sul pontile interno della palizzata, appoggiato al suo rifle, teneva gli sguardi fissi sulle piantagioni di cotone, biancheggianti di candidi fiocchi.
— Signor Devandel, — chiese improvvisamente, rivolgendosi verso il giovane, il quale attendeva sempre una risposta. — Che cosa fate dei semi del cotone?
— Estraggo dell’olio per alimentare d’inverno le stufe.
— Ne avete una buona provvista?
— Una quindicina di barili e forse più, credo.
— Possedete dei pentoloni o delle caldaie?
— Sì, John.
— Fatele riempire tutte e scaldare per bene. —
Il figlio del colonnello lo guardò con un certo stupore.
— Che cosa volete fare, John? — chiese.
— Quell’olio ben bollente servirà a scaldare a garbo i dorsi degli Arrapahoes e degli Sioux....
Fate presto, signor Devandel. Non mancano che due ore al tramonto e la notte non passerà senza che gl’Indiani tentino un attacco furioso. —
Ad un tratto fece un gesto e si volse verso i due scorridori, che gli stavano dietro chiacchierando con miss Mary.
— E Minnehaha? — disse.
— Chi è? — chiese il figlio del colonnello.
— La piccola indiana.
― Che cosa temete da parte di quella giovane pelle-rossa?
― Voi non la conoscete, signor Devandel.... Giorgio, Harry andate a cercarla, mentre io preparo la difesa.
Pel momento la vostra presenza non è necessaria. —
I due scorridori che sapevano con quale astuta fanciulla avessero da fare, si slanciarono giù dal ponte ed entrarono nel salotto, ma si avvidero subito che Minnehaha era scomparsa.
— By-god!... — esclamò Harry, stringendo le pugna. — Dove sarà scappata quella piccola vipera? Ho più paura quasi di lei che di Caldaia Nera.
Se io fossi stato John l’avrei lasciata legata sul pino a pasto degli urubus....
Giorgio, cerchiamola. —
L’intendente li aveva raggiunti per guidarli.
I due scorridori visitarono le stanze del primo piano, poi quelle superiori gettando tutto in aria, poi frugarono i solai senza trovare la figlia di Yalla.
— Quella briccona è scappata!... — esclamò Harry, il quale appariva più preoccupato di quello che realmente non fosse, poichè preferiva saperla più lontana che vicina.
Non convinti, passarono nelle scuderie, poi nelle tettoie ingombre di sacchi pieni di maiz e di montagne di cotone, sotto le quali era facile nascondersi, e sempre col medesimo risultato.
— Lasciamola andare, — disse Giorgio. — Se se n’è andata tanto meglio.
— E da quale parte può essere fuggita, se i ponti erano già stati rialzati? — soggiunse Harry.
— Tu sai che le pelli-rosse sono agili come le scimmie. Si sarà arrampicata sulla palizzata e si sarà lasciata cadere nel fossato.
Forse si trova nascosta fra le erbe che ingombrano il fondo. Vada all’inferno!... Tanto peggio per lei se riceverà una buona doccia di olio bollente. —
I due scorridori, convinti ormai, al pari dell’intendente, che la piccola selvaggia avesse approfittato del momento in cui nessuno più pensava a lei, per raggiungere i suoi compatriotti, ritornarono nel cortile dove John ed il figlio del colonnello preparavano febbrilmente la difesa.
Numerosi fuochi ardevano dietro le palizzate e su quelli borbottavano, mandando un puzzo insoffribile, delle caldaie e dei pentoloni pieni d’olio di cotone.
Alcuni negri li alimentavano senza tregua, tenendo in mano delle casseruole dal manico lunghissimo che di quando in quando tuffavano nel recipiente.
Sui ponti delle palizzate avevano intanto preso posto gli altri, insieme ai meticci, i quali mostravano un ardore guerresco veramente ammirabile. Si trattava di difendere le capigliature e poi la pelle.
Sul margine della pineta altri cavalieri indiani erano tornati a mostrarsi, caracollando insolentemente e sparando, più per fare un po’ di baccano che altro, qualche colpo di fucile, senza osare però, almeno pel momento, di avvicinarsi.
Un’altra banda, scendendo lungo la riva del fiume, aveva già razziato gran parte del bestiame, spingendolo verso la foresta, ma i difensori dell’hacienda si erano rassegnati a quella perdita, non avendo forze sufficienti per impedire quelle ruberie.
John si era provato a fare qualche scarica contro quei ladroni, senza alcun risultato, essendo la distanza troppo considerevole ed il terreno ingombro d’alberi.
— Lasciamoli fare, signor Devandel, — aveva detto al figlio del colonnello, il quale vedeva, ad un tratto, sparire sì immensa ricchezza accumulata con tanta pazienza. — Così è la guerra e noi, purtroppo pel momento siamo i più deboli.
Quando le truppe dell’est giungeranno, vedremo come finiranno le tre bellicose tribù. —
Durante la giornata nulla accadde di straordinario, salvo qualche scambio di colpi di fucile, senza risultati apprezzabili; ma quando il sole cominciò a tramontare, gli assediati scorsero, con loro terrore, tutta la fronte della pineta coprirsi di cavalieri.
— By-god!... — esclamò John, il quale li osservava dall’alto d’un ponte, insieme al figlio del colonnello ed ai due scorridori della prateria. — Là ve ne sono non meno di cinquecento.
Scommetterei che Caldaia Nera ha fatto venire anche Mano Sinistra, l’altro capo degli Arrapahoes.
— E gli Sioux di Yalla? — disse Harry. — Non li vedi, John?
— Non sono cieco.
— Ci daranno un attacco formidabile, — osservò il figlio del colonnello, con un sospiro. — Non temo per me, ma per Mary.
— Signor Devandel, non siamo ancora nelle mani di quei vermi rossi, — rispose l’indian-agent. ― Sono molti, troppi anzi, e so quanto sono coraggiosi quei demoni, tuttavia avranno ben da fare prima di mettere i piedi qui dentro.
Le palizzate sono solide e molto alte, il fossato è profondo e poi anche la casa si potrebbe tramutare, lì per lì, in una specie di fortezza.
— Disgraziatamente tutto è stato costruito con legname, e quello che è peggio, eccessivamente infiammabile, poichè noi non ci siamo serviti che dei pini.
― Purtroppo, signor Devandel! Noi ci troviamo come sopra una polveriera, — rispose John. — Se quelle canaglie fanno uso del fuoco, noi tutti arrostiremo con poco piacere.
— Io non credo, camerata, che abbiano intenzione di arrosolarci come bistecche, ― osservò Harry. ― Tu sai che l’Uccello della Notte era stato incaricato di portar l’ordine agli Arrapahoes di prendere vivi i figli del colonnello.
― È vero, e Mano Sinistra doveva essere l’esecutore della cattura insieme a Caldaia Nera.
— Tanto ci odiano gli Sioux? — disse il giovane Devandel.
— Pare, — rispose John.
— E perchè vorrebbero prenderci vivi?
— Chi lo sa?
— Per tenerci come ostaggi?
— Bisognerebbe chiederlo a quei furfanti, signor Devandel.
— Non potremo sperare su nessun soccorso?
— Toglietevi dal cervello l’idea che qualche colonna di volontari dalle frontiere giunga fino a noi.
Tutta la prateria è nelle mani degl’Indiani, e ci vorrà del tempo prima che il Governo lanci al di là dell’Arkansas le sue truppe.
Sulla California non ci contate. Dalla Sierra Nevada non scenderà un soldato.
— Quello che mi dite, John, non è incoraggiante.
— Lo so, signor Devandel, ma io non voglio farvi brillare delle speranze irrealizzabili.
Noi non possiamo ormai più contare che sul valore dei nostri uomini e sui colpi dei nostri rifles....
To’!... Che cosa fanno quei vermi?
— Si direbbe che esplorano, — disse Harry.
Parecchi drappelli di cavalieri si erano staccati dal corpo principale, spingendosi in varie direzioni.
Alcuni seguivano la riva del Weber ed altri attraversavano, a corsa sfrenata, le piantagioni di cotone, massacrando senza misericordia i raccolti già assai promettenti.
Erano tutti armati di carabine e di tomahawah, però alcuni portavano ancora le lance e gli scudi di pelle di bisonte e di bufalo.
Abilissimi cavalieri, facevano superare ai loro svelti mustani, pieni d’impeto e di fuoco, le stecconate che cingevano le piantagioni, facendo fuggire stormi di tacchini ormai addomesticati e che i negri ed i meticci della fattoria non avevano avuto il tempo di raccogliere nel vasto cortile.
Gli altri erano rimasti fermi sulla fronte della pineta, spiegati su una doppia linea. Dinanzi a loro vi erano Yalla, il gambusino, o meglio Nuvola Rossa e due Capi, riconoscibili per l’incomodo, quantunque pittoresco, trofeo di penne di tacchino selvatico che scendeva lungo il loro dorso.
Dovevano essere Caldaia Nera e Mano Sinistra, i due grandi sakems degli Arrapahoes, che si disputavano i territorî situati all’est ed all’ovest del Lago Salato, già famosissimi pel loro ardimento e per la loro crudeltà.
I drappelli descrissero un largo giro intorno all’hacienda, tenendosi fuori di portata dai rifles, poi si ripiegarono verso la pineta dopo aver mandato, per tre volte, con un frastuono spaventevole, il loro grido di guerra.
Tutti i negri ed i meticci erano accorsi sui ponti, pronti a respingere l’attacco. Anche Mary aveva raggiunto il fratello, armata d’una leggiera carabina e d’un paio di pistole, essendo, come tutte le fanciulle delle frontiere del Far-West, un’abilissima tiratrice.
Le tenebre erano calate, però la luce non mancava intorno all’hacienda, continuando i fuochi ad ardere sotto le caldaie ed i pentoloni pieni d’olio già bollente.
In lontananza il tuono brontolava sordamente, in mezzo alle densissime nubi volteggianti al di sopra del gran Lago Salato, formate dalla straordinaria evaporazione.
— Si prepara una pessima notte, — disse John, il quale non aveva lasciato un solo momento il suo osservatorio, accontentandosi di cenare con una tortilla e mezza dozzina di uova sode di tacchino, inaffiate con un mezzo fiasco di mezcal. — Avremo l’uragano sulle nostre teste ed i vermi rossi di fronte.
Bah!... Vedremo se domani mattina avremo ancora le nostre capigliature. —
Alcuni colpi di fucile, seguiti da clamori altissimi, lo avvertirono che gl’Indiani si preparavano a tentare l’attacco dell’hacienda.
Parecchi drappelli di cavalieri, approfittando della profonda oscurità, si erano spinti fin dietro le cinte delle piantagioni, e dopo di aver fatto coricare i loro mustani, avevano cominciato a sparare, per decimare i difensori dei ponti.
— Che nessuno risponda!... — comandò John. — Le munizioni sono troppo preziose per sprecarle, e poi io conto più sull’olio che sul piombo. —
Per una buona mezz’ora gl’Indiani continuarono a schioppettare, ma essendo più abili ad adoperare l’arco che la carabina, non ottennero altro successo che quello di produrre un gran fracasso.
D’altronde la cinta era formata di grossi tronchi bene uniti, difficili ad attraversarsi, specialmente alla distanza di cinque o seicento passi.
Credendo però di aver fatto dei vuoti, le pelli-rosse non tardarono a rimontare sui loro mustani.
Anche il grosso delle due bande si era fatto innanzi per l’attacco decisivo, guidato dai sottocapi.
Per un altro po’ la moschetteria rimbombò furiosissima, poi i cinque o seicento cavalieri lanciarono i loro mustani a corsa sfrenata, saltando le barriere delle piantagioni, e si diressero risolutamente verso l’hacienda, empiendo l’aria di urla terrificanti.
Giunti a dugento metri, i rossi guerrieri, in colonna, si misero a galoppare intorno alle palizzate, descrivendo un largo giro e continuando a sparare.
I difensori della fattoria a loro volta avevano aperto il fuoco, colla speranza di assottigliare quei demoni.
Negri e meticci gareggiavano, esponendosi audacemente ai colpi degli avversarî, incoraggiati dalla presenza dell’indian-agent, dei due scorridori della prateria, del loro padroncino e di miss Mary; ma ci voleva ben altro per arrestare gl’indomiti cavalieri della prateria!
Anche se alcuni cadevano, gli altri continuavano la loro corsa, sparando senza interruzione e restringendo, a poco a poco, sempre più il cerchio.
L’hacienda si trovava ormai come chiusa in una morsa di ferro e di fuoco.
Harry e Giorgio, dopo aver fatti parecchi colpi fortunati, avevano raggiunto John, il quale sparava senza posa, fra i due figli del colonnello.
— Dobbiamo lasciarli venire? — chiese il primo. — Siamo troppo pochi per tener testa al loro fuoco.
Già tre o quattro negri sono caduti. —
L’indian-agent si era messa rabbiosamente la mano nei capelli.
— Hai ragione, camerata, — rispose dopo qualche istante di silenzio. — Sarebbe meglio provare sulle loro carni se l’olio è ben caldo.
— E Yalla?
— Non l’hai veduta tu?
— No, John.
— È lei che guida la carica fra Mano Sinistra e Caldaia Nera ed il gambusino la segue.
Ho sparato tre volte su di lei senza poterla colpire. Si direbbe che il Grande Spirito protegge quella terribile donna.
— Devo far sospendere il fuoco?
— Sì, Harry. Fingiamo di essere ormai a corto di munizioni e lasciamo che montino all’assalto.
— Ma quando si accorgeranno del fossato si arresteranno.
— Io spero che vi discendano, — rispose John — e quello sarà il buon momento per arrosolare le loro carni coll’olio bollente....
Va’, Harry, fa rallentare a poco a poco il fuoco. —
Lo scorridore si slanciò attraverso i ponti della cinta portando l’ordine ai negri ed ai meticci.
Qualche minuto dopo la moschetteria, che prima era nutritissima da parte dei difensori, cominciò ad indebolirsi fino quasi a cessare del tutto.
Gl’Indiani, i quali non avevano rallentato un solo momento la loro corsa furiosa, nè il loro fuoco, credendo che i difensori dell’hacienda avessero realmente esaurite le loro munizioni, strinsero velocemente il cerchio giungendo ben presto sul margine del fossato che percorsero sempre a galoppo sfrenato, non cessando di sparare.
Ad un tratto cinquanta e più guerrieri si gettarono, senza rallentare, a terra, lasciando che i loro cavalli continuassero la corsa, ed impugnati i tomahawahs, le tremende scuri di guerra delle quali si servono con abilità straordinaria, si gettarono nel fossato con la speranza di rimontare la riva opposta e di raggiungere le palizzate.
Era il momento atteso da John.
Mentre una parte dei difensori, guidati dai due scorridori e dal figlio del colonnello, riprendevano il fuoco infernale con una intensità spaventevole, alcuni negri salirono frettolosamente sui ponti, portando le caldaie ed i pentoloni.
Torrenti d’olio bollente furono versati nel fossato e specialmente addosso ai rossi guerrieri che stavano attraversandolo di corsa.
Urla spaventevoli, che non avevano più nulla d’umano, si alzavano dinanzi alle palizzate.
La doccia fiammeggiante era precipitata su un gruppo di guerrieri che già avevano raggiunta la scarpata opposta del fossato, investendoli completamente.
I disgraziati, orribilmente ustionati, cadono l’uno sull’altro coi capelli in fiamme, la pelle a brandelli, urlando in modo da far pietà, e si contorcono come serpenti in mezzo alle erbe ed al fango che coprono il fondo del fossato.
Nessuno ormai certo può salvarli, nè potrebbero battere in ritirata, perchè l’olio ha bruciato loro perfino gli occhi.
I loro compagni, vedendo che altre caldaie stanno per vuotarsi, s’arrestano, colpiti da un terrore impossibile a descriversi, poi riattraversano d’un colpo solo il fossato e risalgono la scarpata opposta, mandando urla terribili.
L’assalto è arrestato di colpo e l’hacienda pel momento è salva. Fino a quando?