Sul congiungimento del Mediterraneo all'Adriatico/III

Seconda parte

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II
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SUL CONGIUNGIMENTO


DEL


MEDITERRANEO ALL’ADRIATICO


DA LIVORNO AD ANCONA


CON LA FERROVIA METAURENSE


PER AREZZO E FANO


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(Seguito alla pag. 105. )

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II.


Dissi — guardiamo alla guerra. — E mentre si pubblicava quello scritto, i fogli italiani riportavano che la Commissione di difesa dello stato aveva terminato gli studi su tale importante argomento; che era addivenuta a conclusioni, e che per metterle ad atto dimanderà alla Nazione 300 milioni! E’ sembra dunque una quistione cotesta da non gettarsi là tra quelle di niun conto, come se fosse proposta, per esempio, da me o da altri che al par di me non abbiano, come suol dirsi, voce in capitolo. Ora potrà mai supporsi che nella difesa dello stato l’ordinamento delle ferrovie non v’entri per nulla? In Prussia "non solo i sott’uffiziali d’ogni arma saranno istruiti nel servizio delle ferrovie, per adoperarli in caso di bisogno nei trasporti militari, ma venne ordinato, e già ebbe principio d’esecuzione, che anche soldati che mostrino a ciò attitudine siano resi abili a condurre locomotive, e riparare le macchine. Questa disposizione tende a rendere per questa parte i trasporti militari indipendenti dalle amministrazioni ordinarie, ed è di grande importanza [p. 9 modifica]"specialmente in paese nemico." ( L’Esercito, anno III, numero 123, pag. 524). E se così operasi in Prussia; in Italia, se avranno a farsi nuove ferrovie, non dovranno queste, almeno le principali, essere ordinate in maniera che concorrano a completare il colossale progetto della difesa dello stato? Ed il Governo stesso, che fa questo progetto di difesa, avrebbe a concorrere nelle spese di una linea, la quale non secondasse le sue mire, non fosse in armonia co’ mezzi che ha giudicato adatti ad ottenere il suo intento? Si fortificheranno (per dire qualcosa di ciò che intendo significhi provvedere alla difesa dello stato) alcuni punti più accessibili sul litorale; si faranno cinte e bastioni a qualche città più esposta per salvarla da un colpo di mano del nemico; s’innalzerà qualche opera nei passaggi più facili dell’Appennino; si forniranno abbondevolmente le munizioni di armi e le provviste di tutte sorte. E dopo tutto questo, non si penserà punto a’ modi di facilmente, sollecitamente e con tutta sicurezza accedere ai luoghi muniti, per non lasciarne i difensori alla mercè di Dio, e per rifornire quelli e questi di tutto ciò che la importanza del luogo ed i bisogni della difesa richieggano? Ecco dunque le strade indispensabili nell’ordinamento generale di difesa dello stato. Ed ecco il Governo nell’obbligo di non dimenticarle, e nel diritto anzi di regolarne il tracciato, quando se ne propongano di tali che possano col mentovato sistema di difesa connettersi, e dai proponenti gli si dimandi che vi concorra col danaro della Nazione. Oggi si griderà che nello stato non florido in cui si trova l’Erario, il Governo non può pensare a cotesti sussidi per ferrovie, io lo ammetto; ma quando fosse giunto il momento del bisogno, si griderebbe più forte contro chi non afferrò la bella occasione di conciliare insieme, quando ben si poteva, gl’interessi commerciali e gli strategici. Ed i primi a segnalare allora questo dannoso risultamento saranno forse quelli stessi che più alzarono la voce per impugnare (e sia pure con buonissime intenzioni ) la utilità, o la necessità dell’opera. Dunque (poiché gridi non mancheranno mai) si lasci gridare prima, ingiustamente, affinchè non si faccia, per non avere poi il rammarico ed il danno di sentir gridare dopo, e giustamente, perchè non fu fatta quest’opera che conciliasse insieme due principali interessi della Nazione. Di quanta importanza pertanto sia nel caso nostro un maturo esame della nuova ferrovia per la unione più breve, più diretta, [p. 10 modifica]

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più sicura di Ancona a Livorno, (ed io dirò più giustamente di Ancona a Firenze), sarà dimostrato qui appresso.

La forma della nostra Italia, oltre alla soverchia estensione del litorale che richiede copiosissimi mezzi di difesa, ha l’inconveniente di essere di tale lunghezza da rendere difficile il potere sollecitamente trasportare corpi di esercito sui punti estremi, se, come è ovvio il supporre, il nemico in quelli ci minacciasse, scegliendo i meno guardati od i più facilmente accessibili. Dalla mentovata forma avviene anche facilità all’aggressore di potersi cacciare nel bel mezzo della Penisola, se gli riesce di dividere le nostre forze, accennando di volere operare contemporaneamente nelle parti estreme di essa. Ma col trasferimento provvisorio della capitale a Firenze, a questo pericolo si è pienamente riparato; poiché, essendo colà il nerbo dell’azione del Governo, da quel punto centrale è facilissima cosa lo accorrere in tutti i luoghi minacciati. Al difetto poi della soverchia lunghezza ha riparato in qualche modo la natura stessa con l’Appennino che tutta la spartisce longitudinalmente, e con contrafforti che da quello normalmente si spiccano, e mano a mano digradandosi giungono sino al mare, formando così tante barriere da potervi operare validissime difese.

Uno di cotesti propugnacoli innalzati provvidamente dalla natura sta presso a Cattolica procedendo da Rimini. Quivi pianura da combattervi all’aperto, e collinette ed altipiani da postarvi artiglierie, e dirupi tagliati a picco, che bagnano il piede nel mare, da servire di naturali insuperabili trinceramenti.

Ora poniamo un caso: Il nemico accenna ad occupare il Parmense, i nostri gli fanno testa; egli rinforzatosi ritenta, i nostri tengono fermo. Ma intanto che fa tutti questi tentativi da tal parte, e mostra con grande apparato di forze quello essere il suo punto obbiettivo; intanto, dissi, gettati i ponti sul Po, lo valica sotto Ferrara, e con poderoso corpo si spinge nella bassa Romagna. E Bologna, mi si dirà, colle sue munitissime fortificazioni non varrà a trattenerlo? No. Questo corpo nemico non vuole impacciarsi con fortezze, perchè ha una più importante missione da compiere, quella cioè di correre, disertare, incendiare quanto più paese può, farvi insomma una guerra alla Urban, avanzandosi dirittamente sulle Marche. Ed ecco un chiamare ovunque aita aita, un gridare accorr’uomo, chè un nuovo Attila colle sue orde di Unni del secolo XIX minaccia sobissare il nostro [p. 11 modifica]paese. Ma vi siano pure timidi che fuggano, vili che preghino non mancheranno, perdio, animosi che dian di piglio alle armi, non mancherà l’esercito per tagliare a mezzo la corsa trionfale alle orde invaditrici. Si raccoglieranno pertanto dai dintorni truppe sui luoghi minacciati, si faranno altrove apprestamenti di difesa. Così il nemico non avanza, ma non indietreggia; i nostri non ancora abbastanza in numero non possono arrischiarsi a commettere battaglia, ed è molto se possono tenere in rispetto il nemico.

Finalmente la campagna è aperta; si fanno giornate, il nostro esercito vince, ma l’oste non si dà per vinta; invia nuovi reggimenti, stringe Bologna, minaccia Ancona con l'armata, e nel tempo stesso spinge avanti un corpo numeroso nelle Romagne mirando a quella piazza.

Ancona, in verità, non è ora facile preda pel primo che si attenti d’impossessarsene nè dalla parte di mare, nè da quella di terra come la era qualche anno indietro. Nulladimeno, ove si giungesse a serrarla in una cerchia di armati, non sarebbe da maravigliare se priva di soccorsi sfinita cadesse. Dunque Armata ed Esercito, ciascuno per la sua parte, debbono impedire che il nemico le si avvicini, debbono dargli battaglia lontano da essa; e, quando la sorte delle armi loro fosse contraria, raccogliersi da ultimo dentro que’ munitissimi baluardi per farvi una ostinata difesa.

Eccoci al momento di approfittare delle posizioni presso a Cattolica, che forti per natura possono ridursi fortissime e inespugnabili con l’arte. In quelle dunque si raccoglieranno poderosi corpi dell’esercito italiano con tutta sorta d’artiglierie che il luogo e lo scopo della difesa comportino. Ma donde, per qual via si avranno armi ed armati? I luoghi da’ quali possono inviarsi i soccorsi sono Genova e la Spezia. Le artiglierie, le munizioni da Alessandria non potranno inviarsi che a Genova, ed alla Spezia, donde a Livorno ed a Firenze. La ferrovia per Piacenza o sarà in mano al nemico, o da esso minacciata così da vicino da dover noi rinunziare a servircene. Ecco dunque la capitale centro di deposito di armi e di armati, che per le ferrovie, da quella dipartentisi, verranno inviati sul luogo ove si deve combattere.

Ora l’unica via per trasportare sì le une che gli altri è quella che prendendo le mosse dalla nuova capitale per Arezzo e [p. 12 modifica]Foligno procede ad Ancona, donde lungheggiando il mare si avvia verso il supposto luogo di concentramento di un corpo dell’Esercito italiano. Come la via per Bologna (e già ne dissi il perchè) sarebbe inservibile per tale bisogna, così inservibile istessamente sarebbe qualunque altra che, condotta da Firenze allo Adriatico, fosse interposta a Bologna ed alla Cattolica, avvegnaché questa fosse brevissima. Non è la brevità che faccia solo mestieri in tale frangente, è la facoltà di potersene servire con sicurezza; e questa mancherà sempre ove la linea ferroviaria si trovi fra’ due mentovati estremi. E non vuo’ nemmanco accennare che una qualunque di codeste linee servirebbe egregiamente al nemico per nostro danno; chè chiunque abbia fior di senno lo può di leggieri comprendere. Dunque l’interesse dello stato è quello di avere una linea di congiungimento fra l’Adriatico e Firenze totalmente al coperto dalle offese del nemico, il quale tenti avanzare per le Romagne nelle Marche per ridursi presso Ancona.

Quando pendeva indecisa la quistione sul proseguimento della ferrovia dallo sbocco della galleria di Fossato verso l’Adriatico, o meglio da Fabriano ad Ancona; e coloro che propugnavano la linea per la valle dell’Esino e per quella del Potenza vantavano (ognuno alla sua volta) la superiorità de’ rispettivi tracciati; i difensori della linea per la valle del Potenza, con colpo maestro per far traboccare dalla loro parte la bilancia, posero in campo la ragione strategica che, dicevano essi, era tutta in loro favore. Allora appunto la loro causa fu spacciata; chè i dotti, a’ quali fu affidato il sentenziare, videro bene come avvantaggiando il commercio colla brevità del tracciato per l’Esino rendevano eziandio le condizioni strategiche assai migliori con questa che non lo fossero con quella linea. Se non che la Commissione Governativa ad assicurare la ferrovia dalle offese di mare (13 chil. dalle Casebruciate ad Ancona), stabilì che si facesse una variante, la quale prendendo le mosse a Chiaravalle traversasse l’Esino "per recarsi a Castelferretti, donde per la Valle Lunga, tenendosi sempre a ridosso della catena di colline che fiancheggiano la spiaggia, si entrerebbe poi in Ancona mediante una galleria di metri 2500 circa, sotto la posizione fortificata di Montagnolo.1 — Che tale variante esigendo però

[p. 13 modifica]"nuovi lavori ed accurati studii, ed un tempo considerevole per l’eseguimento dei relativi lavori, si limiterebbe per ora la variante stessa al tratto da Chiaravalle a Castelferretti per indi congiugnere questo punto con Falconara sulla strada di Bologna―Ancona mediante un tronco provvisorio (Italia Militare, 6 Decembre 1862)."

Dopo una decisione di tal genere, è egli mai possibile che possa approvarsi, pe’ rapporti strategici, una ferrovia che faccia capo tra gli estremi sovrammenzionati, la quale, in caso di guerra guerreggiata tra essi, non a noi ma soltanto al nemico sarebbe vantaggiosa? Se per evitare le offese dalla banda del mare nel brevissimo tratto dalle Casebruciate ad Ancona (13 chil.) il Governo non esitò punto a decretare una variante del costo di cinque milioni di lire, mentre la congiunzione tra Chiaravalle e Casebruciate non ne avrebbe importato che sole 676,940; potrebbe questi ora approvare come strategica una ferrovia che dovunque sbocchi sulla linea Ancona-Bologna al di là di Rimini lascia poi per novantuno chilometri la strada lungo il litorale esposta a quelle offese dal mare, dalle quali con ingente sacrificio di danaro si è stabilito di porsi a riparo per un tratto di soli tredici chilometri? E per soprammercato il Governo dovrebbe sovvenire alle spese di questa opera, dalla quale dopo l’aggravio delle finanze del Regno, risulterebbe inutilità non solo, ma danno eziandio, proprio nei momenti di supremo bisogno del Paese, quando cioè si tratta della sua salvezza o della sua rovina? Le ferrovie sono, come la perfezione delle armi, uno dei potentissimi fattori delle vittorie nelle campagne moderne. Con quelle si fanno in breve tempo trovar muniti

[p. 14 modifica]posti importanti che possono supporsi formar l’obbiettivo dei nemici; con queste si fulminano, si disordinano le truppe, mentre i loro capi stanno consultando il modo di ordinarle. Le ferrovie come servono ad avvantaggiare il commercio, istessamente valgono a minorare i danni della guerra; e se favorendo quello si accresce la ricchezza dello stato, conducendo questa, quando si è costretti a farla, colla più possibile sollecitudine, si vengono ad evitare mali maggiori. Dunque le ferrovie formano parte anch’esse dei mezzi necessari ad attuare un bene ideato sistema di difesa dello stato. Perciò appunto io credo che nel Regno italiano debbano queste essere ordinate di maniera che nel mentre abbiano ad essere utili pel riguardo commerciale, non possono essere menomamente dannose per quello militare o strategico. E ciò intendo sia detto in genere per qualunque linea ferroviaria costrutta a spese di società private. Ma quando si tratti di linee principali che abbiansi a costruire col concorso dello Stato, queste debbono onninamente soddisfare a tutte condizioni di pubblico interesse di una nazione industre, agricola, commerciante, e specialmente per quello militare. Ricordo che a’ tempi del governo papale vi furono sostenitori di una ferrovia pel vantaggio dei fedeli che volevano visitare un celebre santuario. Ora che l’Italia va in sollucchero all’odore della polvere, bisogna pensare ai Soldati che, fedeli al Re ed alla Patria, difendono il Santuario della libertà, della indipendenza, della Nazione, e sul suo altare fanno olocausto delle vite loro in mezzo a vortici di fumo innalzantisi al cielo da tutt’altri arnesi che non sono turiboli.

Poniamo il caso che una società qualunque si proponesse costruire una ferrovia, la quale attraversasse in qualche dato punto le fortificazioni di alcuna Piazza del Regno, e ne interrompesse le reciproche comunicazioni con patente svantaggio di esse. Domando io, non ha forse il Governo pieno diritto d’impedire questa ferrovia, o per lo meno di subordinarne la concessione per quel tratto a certe condizioni che valgano, alla occorrenza, a rimuovere dalla Piazza qualunque pericolo di nemica offesa?2 Ora, se è innegabile che il Governo abbia questo diritto, avrà anche l’altro, mi pare, di rifiutarsi a [p. 15 modifica]qualunque concorso nella spesa della costruzione di una ferrovia, la quale, avvegnachè vantaggiosissima dal lato commerciale, sia di nessun utile dal lato strategico, quando non fosse per avventura dannosa, e ciò nel mentre appunto si può con una sola linea conciliare il vantaggio e la necessità, tanto pel primo quanto pel secondo rapporto.

Dunque concludo: Una ferrovia che congiunga Ancona a Livorno, o (ciò che torna lo stesso ed è più giusto) tra Ancona e Firenze, più breve delle due già esistenti per Bologna (chilometri 386), e per Arezzo-Foligno (chilom. 421), è necessaria al commercio? Ebbene la si faccia, ed il Governo ne incoraggi e sovvenga col danaro della Nazione la grandiosa impresa, ma a patto soltanto che la sia una linea la quale agl’interessi commerciali accoppii quelli riguardanti le operazioni militari o strategiche per la difesa dello stato. È così che sarebbero veracemente e potentemente promossi i principali interessi della Nazione.

A.





Note

  1. Oppositore sino dal 1856 della linea per la Valle Potenza (ed in vari opuscoli svolsi le ragioni che mi facevano difendere il tracciato del decreto di concessione per la Valle Esina), null’altro volli di meglio che vedere gli avversari scendere sul terreno per combattere con ragioni strategiche sui vantaggi di una piuttosto che di un’altra linea. E terminavo il mio ultimo scritto su tale argomento (Torino, Tip. G. Baglione, 1862, pag. 10), colle seguenti parole: «Do fino a questo scritto col ripetere che ho ferma credenza che il tracciato esino sia il preferito, perchè per la diresa di Ancona nulla influirebbe una ferrovia più o meno coperta dalle offese di mare, se il lito adriatico non sarà potentemente munito con batterie corazzate, stabili o galleggianti, ed il commercio sarebbe grandemente danneggiato se la ferrovia dovesse assolutamente passare per Ancona per proseguire a Bologna. Dovendosi poi fare una variante alla linea Esina, questa non potrà essere mai nè quella proposta dal Municipio di Jesi (che io disapprovai altamente) per Polverigi’, perchè troppo lunga; nè quella proposta dalla prima Commissione per Castelferretti a Falconara, perchè resteranno sempre più di otto chilometri di strada lungo il mare ad Ancona. L'unica variante strategica sarebbe soltanto quella proposta da me per Castelferretti, fosso della breccia, valle lunga, tunnel la Madonna del Carmine e Montagnolo con sbocco ad un chilometro dal mare ed a tre circa da Ancona, difeso dalle batterie dello Scrima.» La definitiva decisione della Commissione ha provato se io mi apponessi, o manco, nella proposta del mio tracciato.
  2. Nella costruzione della ferrovia da Bologna a Piacenza fu dal duca Francesco IV obbligata la società, non rammento bene se a Modena od a Reggio, a farla passare sotto il comando delle fortificazioni, abbenchè se ne viziasse in tal modo l’andamento.