Sul congiungimento del Mediterraneo all'Adriatico/I
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SUL CONGIUNGIMENTO
DEL
MEDITERRANEO ALL’ADRIATICO
DA LIVORNO AD ANCONA
CON LA FERROVIA METAURENSE
PER AREZZO E FANO
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- «Ancora; congiungere, mercè delle strade ferrate da aprirsi, i due mari Mediterraneo ed Adriatico su due punti, l’uno medio, l’altro estremo della Penisola; ... facilitare eziandio le corrispondenze coll’Oriente, la più remota India e la lontanissima Cina, mercè del più facile, più pronto e men costoso trasporto delle merci e delle persone che colà vanno o ne provengono, più agevolmente facendole pervenire alle altre vie consimili oltremonte pure aperte; ... sembrano, come sono infatti, beneficii immensi, i quali una volta procurati a questa nostra bella e cara patria, debbono oltremodo accrescerne la prosperità. Genova a Venezia ed a Trieste congiunta; Genova istessa e Livorno ad Ancona; Napoli a Manfredonia, a Brindisi ed anche ad Otranto od a Taranto, non solo non si arrecherebbero danno alcuno, ma grandemente moltiplicherebbero gli scambi loro.» (Petitti. Delle strade ferrate italiane, ec. ― Capolago 1845. pag. 107).
I.
Sino dal tempo del primo Napoleone (il quale non volle apprezzare i vantaggi che il vapore applicato alla locomozione sia per acqua sia per terra avrebbe arrecato al commercio, alle industrie, all’arte militare) si era pensato ad aprire una comunicazione tra il Mediterraneo e l’Adriatico nel centro dell’Italia, e precisamente da Livorno ad Ancona; e gl’ingegneri Bossi e Rambaldi ne compilarono il progetto. Caduto il grand’uomo, e ricaduta l’Italia sotto una turba di tirannelli che si chiamavan sovrani per la grazia di Dio, e avevano assunto il compito di tormentare l’italiana famiglia, non si pensò più a quella utilissima opera. Nel 1825 però l’ingegnere Pietro Ferrari, architetto della R. C. A. pubblicò una memoria (Roma, presso Lino Contedini 1825), che portava il titolo — "Dell’apertura di un canale navigabile, che, dall’Adriatico a traverso dell’Italia, sbocchi per due porti nel Mediterraneo". — Così a due diverse epoche e con due diversi mezzi e per direzioni diverse si studiava sin d’allora a formare questo colossale ponte di congiungimento fra i due mari che circondano per lunghissimo tratto la nostra bella penisola. Ed in ambedue i progetti i punti estremi da riunirsi erano Livorno ed Ancona, variando soltanto la direzione; chè pel primo era la valle del Metauro, pel secondo il traforo del monte di Fossato. E questo fra pochi mesi accoglierà nelle sue viscere traforate la locomotiva, e proverà agl’increduli (per mire di municipale interesse) che non era poi tanto restìo a volersi far bucare quanto eglino credevano. La valle del Metauro però attende ancora di essere utilizzata pel tanto desiderato, vantaggioso, indispensabile congiungimento de’ due mari, da Ancona a Livorno per Fano ed Arezzo. Ma ciascuno alla sua volta. Qualche anno indietro non era l’Italia, non era la Nazione che stava in cima de’ pensieri di chi commetteva progetti di ferrovie, ma l’amore del campanile; il quale era in relazione della grandezza dello Stato o della importanza della città di coloro che li commettevano. La Toscana aveva da ordinare le sue ferrovie in maniera che non temessero la concorrenza degli stati limitrofi. Il reame di Napoli studiava di farle tali che non toccassero i confini, perchè la peste ... politica del giorno non lo infettasse. Il Papa (che, come il suo divino maestro, lascerebbe le novantanove pecorelle per cercare di ricondurre all’ovile quella smarrita) ha timore che i lupi per mezzo delle ferrovie s’introducano nella mandria e la divorino, e perciò le dà e le ritoglie, fa mostra di volerle, e gode che ci sian guerre di campanile, perchè così acquista tempo, e Dio farà il resto. E questa volta lo ha fatto; ma per lui non è stato Iddio che ha operato, sibbene la Rivoluzione! I ducati piccoli ed impotenti subivano la volontà dell’Austria che in possesso della Lombardia costruiva ferrovie profittabili al commercio, ma principalmente destinate pe’ movimenti solleciti delle sempre vittoriose sue truppe, fosse pure per farle fuggire. Il Piemonte ..... oh il Piemonte faceva bene i suoi interessi; chè leggeva nel futuro. Il suo Re aveva sempre fissi gli occhi al cielo per vedere se spuntasse il suo astro; e tagliava per lungo e per largo il piccolo ma fiorente regno con ferrovie che dovevano rendere in que’ tempi fiorente il commercio dello stato, e più tardi condurre l’eroico esercito a vincere a Palestro, a Magenta ed a san Martino per fare l’Italia. Eran sette chiesuole in Italia, anzi dirò meglio sette ovili, ed i rispettivi pastori cercavano sempre il maggior bene delle loro pecorelle così che molti di essi per non farle cadere in bocca al lupo le consegnavano legate ai macellai.
Ma suonarono finalmente le trombe del giudizio, e nel bel paese fu fatto unum ovile et unus pastor; però questi non tiene in mano il vincastro ma impugna bravamente una spada.
Ora, cambiate le condizioni d’Italia, lo scopo da prendersi di mira nell’ordinamento delle ferrovie debbe sì veramente essere quello di favorire il commercio per comuni, per provincie, per regioni; ma non debbesi disgiungerne l’altro di facilitare le comunicazioni, accorciarle, assicurarle tra la sede del governo ed i grandi depositi militari e le piazze e le fortezze del regno.
Nessuno potrà impugnarmi che Ancona per la sua posizione sia la piazza ed il porto più importante d’Italia sull’Adriatico, come è indubitato che la Spezia addiverrà fra non molto il primo arsenale marittimo e la sede principale dell’armata italiana sul mediterraneo. Fa mestieri pertanto che questi due grandi centri si sostengano e si aiutino reciprocamente. Se la Spezia può fare a meno di Ancona, questa non può essere abbastanza forte senza l’aiuto di quella. — Si badi che non voglio già far viaggiare le navi corazzate per terra. — In fatto, in una guerra che abbia l’Italia con la sua naturale nemica, non è a credersi che l’Adriatico sia sgombro delle costei navi, e sia libero sempre l’accesso alle nostre per rifornire la divisione colà stanziata o per rifornire la piazza di Ancona. Ma non basta. Stabilita provvisoriamente la capitale del regno a Firenze, è colà che trovasi il gran centro d’azione per la difesa dello stato; è da quel centro che debbono partire uomini e cose per condurla energicamente. Non è per la via di Bologna, lì sul naso agli austriaci, che si possano far passare soldati e munizioni per Ancona: supposto anche che quell’antemurale alle invasioni dalla valle del Po sia in nostro potere; è per Genova e Spezia, a Livorno, a Firenze che gli uni e le altre si debbono dirigere. Ma trasportati e carreggiati quelli e queste a Firenze quale sarà la via che terranno per Ancona? Non quella per Bologna, perchè tanto sarebbe stato lo averla presa direttamente da Alessandria. Non resta che procedere per Arezzo, Foligno, Fossato, percorrendo chilometri 421 di ferrovia. Ed è una fortuna che si possa presto avere almeno questa ferrovia.
Ma come ragioni strategiche a bene assicurare la difesa dello Stato, così ragioni commerciali ad accrescere di questo il benessere e la ricchezza richieggono brevità e facilità di comunicazioni. E quando ambidue questi intenti possono con un mezzo solo ottenersi, non è una fortunata circostanza cotesta da non lasciarsi sfuggire, ma anzi da afferrare e trarne subito profitto?
Entro meglio nell’argomento. È innegabile il vantaggio, la necessità di una via tra Livorno ed Ancona sì pel commercio del regno che per quello internazionale. Altrettanto si dica di quella tra la nuova sede del governo e la città dorica, per ragioni strategiche. Alla necessità del commercio si è già provveduto colle linee per Bologna (chilometri 386) e per Foligno (chilom. 421). Al vantaggio però manca ancora qualcosa, comechè sia ovvio che questo è in ragione diretta della brevità delle comunicazioni. Così non accade per provvedere alla difesa dello Stato. Una ferrovia che debba servire a quest’uso, deve avere sì bene il pregio della brevità, ma precipuamente quello della sicurezza! Si può passar sopra alla prima, ma è indispensabile la seconda. Pertanto la ferrovia da Firenze ad Ancona per Foligno ha una incontrastabile superiorità su quella, tra gli stessi estremi, per Bologna, abbenchè minore di 35 chilometri.
Anzi la seconda, come si disse già in principio, può addivenire del tutto inservibile se si guerreggiasse nelle valli circumpadane. Dunque è (non dirò indispensabile) molto utile l’aprimento di una linea ferroviaria tra le due accennate, la quale tenga un giusto mezzo tra loro, e soddisfi ad ambedue le condizioni: militare cioè, e commerciale. Che il commercio ed il benessere dello Stato reclamino altamente una nuova e più breve comunicazione fra i due mari è fatto chiaro dalla nobile gara surta in tutte le città poste sulla linea da Ancona a Bologna, ciascuna delle quali, affinchè la nuova linea vi faccia capo, propone premii a’ costruttori, e stanzia vistose somme per facilitare l’attuazione dell’opera, Provata l’utilità di questa nuova linea dalla insistenza colla quale da tutti è richiesta, si viene a provarne il bisogno. Dunque è mestieri costrurla.
Qui entra l’azione diretta del governo, il quale ponderando bene i vari bisogni dello Stato deve provvedere agli uni senza danneggiare gli altri. Si unisca più direttamente che si può Livorno ad Ancona: ecco quello che chiede il commercio nazionale in genere, il quale non guarda ai vantaggi di queste piuttosto che di quelle città intermedie. Il signor Lesseps ha scavato il canale di Suez in mezzo ad un deserto, e questo mercè quello non sarà più un deserto. Il caso nostro è diverso: qualunque sia la linea tracciata, di quelle proposte, le condizioni dei luoghi traversati non differiscono gran fatto tra loro. Vi ha sempre l’Appennino da traforarsi e regioni montane più o meno aspre da percorrersi finché si possano lungheggiare i fiumi nel versante orientale di quella catena di alpe che divide la penisola. Le linee, fra’ due estremi, sono di chilom. 372 (per Faenza), chilom. 350 (per Forlì) e chilom. 351 (per Fano). Non vi è dunque differenza tale che possa far traboccare la bilancia per una meglio che per un’altra linea senza prima prendere bene ad esame i grandi servigi che la nuova linea deve rendere allo Stato.
Lasciamo da banda il commercio, che con qualunque delle tre ferrovie sarebbe egualmente avvantaggiato (22 chilom. sono un nulla su 372), e guardiamo alla guerra. Signori sì, alla guerra: perchè a questo eterno flagello della società qualche altro sacrificio di vite italiane s’avrà a fare, e presto. E se nemmanco ciò sia per avverarsi, e tutte le questioni pendenti sul tavolo verde riescano a comporsi, potremmo in coscienza asserire che in futuro non avrem guerra mai? Dunque per una guerra prossima o per una rimota si provvegga in tempo.
(continuerà).
A.
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