Studi storici sul centro di Firenze/Magistrature ed Uffici pubblici che risiedevano nel Centro di Firenze

Giuseppe Conti

Magistrature ed Uffici pubblici che risiedevano nel Centro di Firenze ../Il Palagio dell’Arte della lana - Monumento delle arti IncludiIntestazione 27 maggio 2021 100% Da definire

Il Palagio dell’Arte della lana - Monumento delle arti
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MAGISTRATURE ED UFFIZI PUBBLICI

CHE RISIEDEVANO NEL CENTRO DI FIRENZE


Le Magistrature ed uffizi pubblici che al tempo della Repubblica avevano la loro residenza nel Centro di Firenze che si sta adesso riordinando, erano: il Monte di Pietà, gli Ufficiali della Grascia, la Guardia del Fuoco, la Guardia della Città, gli Ufficiali di Pesce e Carne e gli Ufficiali di Onestà.

Sebbene già sia stato scritto da egregi eruditi su questo soggetto, pur nonostante non sarà inutile ampliare le notizie già date, aggiungendovi alcune particolarità su certi ordinamenti e su certi sistemi in uso a tempo della Repubblica.


Il Monte di Pietà. — Risiedeva in una parte della casa dei Lamberti assegnata a tale uopo dal Comune: fu istituito dai Priori «e loro collegi» in considerazione che «la pestifera voragine e pessimo verme dell’usura» portava alla totale rovina del popolo.

Fu deliberato pertanto che gli officiali del Monte di [p. 126 modifica] Pietà fossero otto cittadini di specchiata vita, ed abili agli onori del Consiglio Generale. Sei di essi dovevano appartenere alle Arti maggiori e due alle minori, senza però che fossero scelti quartiere per quartiere, potendo anche appartenere tutti e otto ad un solo quartiere della città.

Furono mandati a partito quarantotto delle arti maggiori e sedici delle minori; e ne furono eletti sei dai primi che avevano avuto maggior numero di voti, e due dai secondi di maggior partito.

Questo nuovo ufficio andò in vigore il 1° gennaio 1495; ma prima di procedere a nessun atto della loro carica, fecero cantare una messa solenne allo Spirito Santo alla quale pubblicamente intervennero «acciocché la Divina Clemenza prestasse favore di fare ottimamente».

Gli officiali del Monte di Pietà non avevano alcuna remunerazione, ma godevano il privilegio di non aver divieto alcuno, nè durante il tempo che rimanevano in carica, nè dopo.

Prima di avere una stabile residenza nelle case de’ Lamberti, a cui si accedeva dalla Piazza che tuttora conserva il nome di «Piazza del Monte» gli officiali predetti si radunavano dove più loro piaceva e dove tornava loro più comodo, in una delle residenze delle Arti o in altro uffizio, senza che potesse essere ciò loro proibito.

Questi otto cittadini avevano l’obbligo di provvedere ai buon andamento del Monte di Pietà — o, come si diceva, della Carità — con tutte quelle cautele ed a quelle condizioni, che riconoscevano essere necessarie per corrispondere allo scopo.

Elessero questi ufficiali alcuni ministri perchè li coadiuvassero; e ad ogni loro richiesta il Capitano gli assegnava quei fanti che domandavano, e due famigli «del Rotellino» senza che dovessero aver nessun compenso.

Ebbero pure l’incarico, appena entrati in ufficio, di [p. 127 modifica]compilare i capitoli e convenzioni da osservarsi e da servire di norma per il regolare andamento di tale officio.


Offiziali di Grascia. — La istituzione degli Offiziali di Grascia è antichissima, e il loro nome designa chiaramente quale fosse la loro ingerenza.

Era così difficile però il poter comporre questo magistrato, che la Repubblica dovè assegnare agli officiali predetti, tre fiorini il mese di salario per ciascuno.

Il Magistrato della Grascia si componeva di cinque cittadini di popolo e guelfi, ed avevan divieto da tutti gli uffizi; si radunavano due volte la settimana in una casa accanto all’Arte degli Albergatori, nel vicolo che si chiama oggi Via Lontamorti. Quelli offiziali che non intervenivano alle adunanze, oltre alla perdita del salario, eran condannati alla pena di cinquanta lire per ogni volta!


La Guardia del Fuoco. — Fu questa guardia riordinata nel 1415, ma esisteva da moltissimi anni. Una delle prime residenze della Guardia del fuoco, fu la torre che sorgeva già presso l’angolo del Ghetto in faccia a S. Maria in Campidoglio. In quella casa, come nelle altre che ebbero dopo per loro residenza, erano obbligati a dormire la notte per essere pronti a qualunque segnale di fuoco, e vi tenevano le «loro masserizie» che consistevano in sei scale «a scalone» varii «mannaioni» della lunghezza di otto a venti braccia, ossia da quasi cinque metri a dodici. Otto bigoncioli «con gli orecchi» per infilarvi il bastone e portarli a spalla in due, pieni d’acqua. Dieci bigoncie assai grandi piene d’acqua da tenere sempre pronte pei bisogni. Dodici bigoncioli coi [p. 128 modifica]manichi, altri dieci col manico lungo come quelli che usavano allora i tintori, e quaranta secchie. Due secchioni grandi di rame coi cerchi e armature di ferro per attinger l’acqua; due «ramponi» ossia uncini di ferro, uno più grande e uno più piccolo, infilati in certe pertiche lunghe con più campanelle per introdurvi le funi e che servivano per atterrare le muraglie. Dieci graffi di ferro messi in aste grandi e lunghe; dieci forchetti di ferro; dodici scure; sei sacchi di panno di lino legati in cima a certe mazze lunghe, che servivano «intinti nell’acqua» per buttar sopra al fuoco per spegnerlo; sei lumiere di ferro con l'aste di legno e cinquanta panelli,

Questo è tutto il materiale che costituiva, come oggi si direbbe, l'arsenale della Guardia del fuoco, la quale era costituita come appresso: I Gonfalonieri delle sedici compagnie della città, eleggevano quattro uomini, di qualunque quartiere si fossero, ed erano chiamati «capo-dieci» perchè ciascuno di loro aveva sotto i suoi ordini altri nove uomini, scelti tanti per quartiere; e quattro avevano il titolo di maestri, e gli altri cinque di manovali. In tutto il numero, cioè dei quaranta componenti la Guardia del fuoco, dovevano esservi almeno cinque fra legnaioli e scalpellini. Oltre questi quaranta vi erano due «rassegne» ossia «lanternari» e venti porti, eletti cinque per quartiere purché avessero esercitato sempre tale professione; e la metà di essi doveva ogni notte star vigilante nella loro casa, tenendo i lumi accesi per essere pronti a qualunque evenienza. Era pure destinato alla Guardia del fuoco un notaro che accorreva esso pure sul luogo dell’incendio per «rassegnare gli uomini che dovevano spegnere il fuoco, e poter ragguagliare il Gonfaloniere di giustizia per castigare chi fosse mancato».

La elezione di tutta la Guardia del fuoco, delle rassegne, dei porti e del notaro, durava soltanto quattro mesi; [p. 129 modifica]spirati i quali i Gonfalonieri delle compagnie procedevano alla nuova elezione.

I salari erano stabiliti nella seguente misura:

II capo-dieci aveva cinque soldi per ogni notte; i maestri e i porti tre soldi; ed i manuali due. Le rassegne avevano due lire al mese per ciascuno. Per ogni incendio al quale fossero accorsi, ricevevano di soprappiù, quindici soldi i capo dieci, i maestri ed i porti; ed i manuali dieci soldi; le rassegne dieci soldi ed il notaro che non aveva salario fisso, venti soldi per ogni volta che si recava sul posto dell’incendio.

Per «ogni offizio» ossia per la durata di ciascuna elezione, i Gonfalonieri delle Compagnie che costituivano il «Magistrato e capo di questa gente» potevano spendere fino a cinquanta lire, ma però per una volta tanto, «per masserizie necessarie alla estinzione dei fuochi, per risarcire le secchie, per comprar candele, panelli, olio e simiglianti cose».

Queste provvisioni ed emolumenti venivan pagati liberamente senza ritenzione alcuna dal Camarlingo di Camera, subito che era passato lo stanziamento dai Gonfalonieri di Compagnia. Tutti i dubbi, difficoltà e differenze che fussero occorse sopra tali materie, dovevano essere decisi dai Gonfalonieri suddetti.

Allorché si presentava il bisogno che la Guardia del fuoco dovesse prestar l’opera sua, i capo-dieci ed i maestri indossavano una «sopravvesta» di canovaccio o di cuoio — che facevano a loro spese — e sul davanti avevano dipinto una mannaia e di dietro il segno del quartiere. I porti pure avevano una «sopravvesta» simile; ma tanto da una parte che dall’altra vi avevano dipinta in rosso una secchia: in capo avevano una celata di ferro. I manuali non avevano sopravvesta ma la sola celata, ed appena si sentiva suonare a fuoco alcuna campana o tromba, dovevan subito [p. 130 modifica]correre alla casa della loro residenza a munirsi di tutti gli istrumenti cioè: «coltelli, seghe, scure, pali di ferro, picconi, aste, mannaie, ecc.»



Custodi e Guardie della Città. — Dai Gonfalonieri delle Compagnie venivano eletti seicento uomini tanti per quartiere, con l'incarico di far guardia alla città durante la notte. Ma soltanto una metà per ciascuna notte era obbligata a far questa guardia per dare scambievolmente riposo all'altra metà. La elezione di questi uomini, che si chiamavano anche custodi della città, durava per sei mesi; spirati i quali si procedeva dai Gonfalonieri a nuova elezione. Avevano di salario venti soldi il mese, ma dovevan dare ai Gonfalonieri stessi buoni mallevadori che rimanessero responsabili sul conto loro, garantissero della loro onestà e che avrebbero fatto buona guardia non solo, ma anche « di emendare li danni che di notte fussero stati fatti per le contrade assegnate alla loro custodia» . Cominciava la guardia dopo il terzo suono della campana ed era permesso ai componenti di essa di portare armi se loro piaceva, come pure d'andare col lume o senza. Non potevano però, fino a giorno, muoversi dal posto loro assegnato. Per agevolare il loro compito di far guardia alle case ed alle botteghe, era ordinato dalla Repubblica che in tutti i chiassi e vie scure, come pure dov' erano logge e portici, fosse tenuta una lanterna accesa per tutta la notte a spese dei vicini -, e se per caso passando per uno di questi la «famiglia,» o birri, ne avessero trovata qualcuna spenta veniva subito condannato chi aveva avuto l'incarico di accenderla. Nè soltanto vigilavano per la città ogni notte trecento di [p. 131 modifica]essi custodi o guardie, ma anche molte Università ed Arti avevano guardie per conto proprio.

L'Arte della Seta ne teneva dieci pagate col retratto di certe tasse che pagavano gli Artefici di dett'Arte, i di cui Consoli eleggevano queste guardie che dovevano vigilare in Por Santa Maria, in Calimara, in Porta Rossa e nei luoghi vicini.

I Consoli dei Rigattieri eleggevano essi pure quattro o cinque guardie per il servizio della notte che sorvegliavano in mercato vecchio da S. Maria sopra Porta e dove si vendevano i pannillini, ed alla residenza dell'Arte dei Rigattieri. Anche l' Arte dei Medici e Speziali che aveva la sua residenza nella torre dei Caponsacchi accanto alle case degli Amieri sulla piazza di Mercato Vecchio teneva per la notte quel numero di guardie che i consoli di detta arte reputavano a mano a mano necessarie e guardavano Por Santa Maria fino a metà del Ponte Vecchio, via Calimara, dall'angolo di S. Andrea fino alle case dei Medici e il lato settentrionale della piazza di Mercato Vecchio fino a S. Pier Buonconsiglio.



Offiziali di pesce e carne. — Questi offiziali erano in numero di sei, dovevano essere cittadini popolani e guelfi e dovevano essere estratti dalle Borse, per ciò ordinate, ed in maniera che al far la «Tratta dei nuovi sempre ne rimaneva in magistrato due de' vecchi.» Essi avevano illimitata autorità sopra la vendita della carne e del pesce; avevan l'obbligo di far sì che la città fosse sempre copiosamente provvista tanto dell'una che dell'altro e ne stabilivano essi i prezzi.

Ogni questione in proposito veniva decisa dagli Offiziali di pesce e carne e sentenziavano inappellabilmente. Faceva [p. 132 modifica] parte del loro magistrato un notaro estratto a sorte dalle Borse de’ Giudici e Notari ed avevano cinque fiorini il mese di provvisione. Avevano pure uno scrivano con sei fiorini il mese, due nunzii con provvisione di dieci lire il mese per ciascuno, un camarlingo con cinque fiorini il mese; e tutti eletti dagli «Offiziali» predetti.

Tanto essi però che gli altri detti al loro «Offizio» rimanevano in carica per un anno soltanto ed entravano in ufficio sempre nel mese di Giugno.


Il Magistrato dell’onestà aveva la sua residenza sulla Piazza de’ Tre Re e da questo prese il nome di vicolo dell’ Onestà che tuttora conserva, la viuzza che da Via dei Calzaioli mette alla piazza predetta.

Gli ufficiali dell’Onestà erano otto cittadini popolani e Guelfi, estratti due per ciascun quartiere.

I cittadini che venivano estratti a quest’uffizio non potevano in nessun modo e sotto qualsiasi pretesto rinunziare.

Godevano mentre erano del magistrato il privilegio di poter andar fuori la notte soli, o con un compagno tanto con il lume che senza, ma dovevano portar seco sempre la patente firmata dal Cancelliere del Comune.

Avevano un notaro e potevano eleggersi altri «ministri » quando il buon andamento del loro uffizio lo avesse richiesto.

Gli Officiali dell’Onestà avevano ogni suprema autorità sopra le donne pubbliche; e spettava ad essi il designare i luoghi ove dovevano abitare: concedevano ad esse i «bullettini» che rilasciavano pure ai mezzani che nei bandi della Signoria venivano senza tanti complimenti designati col loro vero nome: stabilivano infine la tassa e i prezzi alle meretrici «in quel modo che stimavano ragionevole e giusto». [p. 133 modifica]I famigli addetti a questo magistrato si chiamavano Salta, ma non potevano togliere dal postribolo assegnato, per catturarla, nessuna donna benché per cose gravissime senza espressa licenza del Magistrato che doveva esser data per iscritto e non a voce.

Fino dai tempi della Repubblica nel 1328 furon circondate da mura assai alte merlate a guisa di fortezza alcune catapecchie dove furono obbligate a vivere le baldracche, e la Signoria su quelle mura faceva dipingere a capo all’ingiù con una mitra in testa i traditori della patria.

Quella località fu detta il «Gran Postribolo» o «la casa del Postribolo» rimaneva nell’interno del Ghetto nella località detta volgarmente «le cortaccie». Quivi venivan frustate ignude le donne di buona famiglia che si rendevan degne del gran postribolo. Anzi alcune di queste venivan condotte sul ponte a S. Trinità ed il boia le calava in Arno dando loro tre tuffi nell’acqua per simboleggiare così l’esemplare lavacro della macchia fatta all’onore della famiglia da esse vilipeso colla pessima condotta. Sennonché il rimedio apparisce peggiore del male, poiché si dava la massima e più sfacciata pubblicità ad uno scandalo che per il riguardo appunto dovuto i parenti di tali donne doveva esser con ogni cura occultato.

Giuseppe Conti.