Storie allegre/Pipì o lo scimmiottino color di rosa/XII
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XII.
Pipì è fatto Imperatore.
Come mai Pipì si trovava in quella casina solitaria, framezzo i boschi? che cos’era stato di lui, dopo la sua famosa fuga dall’Osteria delle Mosche?
Per rispondere a queste domande bisogna ritornare un passo indietro.
Dovete dunque sapere che lo scimmiottino, appena ebbe rinchiuso a tradimento il povero Nanni nella tasca di Golasecca, si diè a fuggire attraverso gli alberi della foresta, senza curarsi dove sarebbe andato a battere il capo. Il desiderio acutissimo che lo pungeva, era quello di trovare la strada che doveva ricondurlo a casa: ma, invece, correva all’impazzata di qua e di là, dove le gambe e la paura lo portavano. Ad ogni soffio di vento e ad ogni stormir di foglie, gli pareva sempre di aver dietro ai calcagni il terribile capo-masnada, col gatto in tasca. Alla fine, sul far del giorno, incontrò una tribù intera di scimmie, che urlavano, strillavano e si picchiavano fra di loro. Informatosi della cagione di tanto diavoleto, venne a sapere che la tribù si era adunata per eleggere il proprio imperatore.
Allora Pipì, entrato in mezzo alla folla, accennò di voler parlare.
Si fece subito un gran silenzio; e Pipì prese a dire così:
― Miei carissimi confratelli! Sento che volete eleggervi un capo, e che a questo capo volete dare il titolo d’imperatore. Fin qui, nulla di male: perchè oramai si sa che tutti i gusti son gusti, come diceva quel filosofo, che provava piacere a farsi pestare i piedi. Ma finora, fra quanti siamo qui presenti, non ne vedo che uno solo, il quale sia veramente degno di essere nominato imperatore....
― Chi sarebbe mai questo tale? Pronunzia subito il suo nome ― urlarono mille voci.
Pipì abbassò gli occhi, e non rispose nulla.
― Chi sarebbe questo tale? ― ripeterono le solite voci urlando più forte. ― Vogliamo saper il nome.... il nome.... il nome!...
― Volete proprio saperlo? ― disse allora Pipì. ― Mi dispiace di doverlo confessare in pubblico: ma l’unico che sia degno di essere eletto imperatore sono io!
― Viva Pipì! Viva il nostro imperatore! Viva l’imperatore di tutte le scimmie!... ― gridò quella immensa folla, entusiasmandosi e battendo le mani.
Fu portata subito in mezzo alla piazzetta una vecchia seggiola impagliata, che, veduta di dietro somigliava moltissimo a un trono imperiale: e Pipì vi si assise sopra con sussiego e maestà.
Intanto una numerosa fanfara musicale composta di cento cembali e di cento corni di bove, cominciò a sonare l’inno della incoronazione.
Quattro scimmiotti, vestiti da paggi, presentarono al nuovo imperatore un bel vassoio tessuto di giunchi, sul quale vedevasi la corona e lo scettro imperiale.
La corona era fatta di mele lazzarole infilate in un cerchietto di ferro: e lo scettro era una canna di zucchero bell’e candito.
Pipì prese la corona dal vassoio, e dopo averla con molta dignità annusata, se la pose in capo. Quindi afferrò lo scettro, e non potendo reggere alla tentazione, cominciò a succiarlo e a masticarlo; ma, per buona fortuna, uno scimmiotto, che era lì accanto e che faceva da cerimoniere, gli dette nel gomito per avvertirlo dell’atto sconveniente. Allora il nuovo imperatore smesse subito di succiare; e per rimediare allo scandalo dato, pensò bene di durare un quarto d’ora a leccarsi le dita.
In quel mentre si fecero avanti sedici scimmioni, che portavano sulle spalle una magnifica lettiga, adorna di foglie, di fiori e di bellissime frutta.
La scimmia, che faceva la parte di gran cerimoniere, dopo avere strisciato due profondi inchini, disse rispettosamente al nuovo imperatore:
― Maestà, su, da bravo! Ora tocca a voi.
― Tocca a me? E che cosa debbo fare?
― Per amore o per forza, degnatevi di saltare su quella lettiga.
― E quando sarò saltato lassù, dove mi condurrete?
― Al palazzo imperiale, dov’è la vostra residenza e il vostro letto. ―
Pipì, a queste parole, fece una certa smorfia, che tradotta in lingua parlata, pareva che volesse significare: «A dir la verità, io dormirei più volentieri sopra un ramo d’albero, come ho fatto finora, che sopra un letto imperiale.» Tant’è vero, che rivoltosi al gran cerimoniere gli domandò con tono agrodolce:
― Scusate, amico: io sono il vostro imperatore, non è vero?
― Verissimo.
― E che cosa vuol dire imperatore?
― Vuol dire che voi siete una scimmia che comandate a tutte le altre scimmie, e che ogni vostro cenno e desiderio dev’essere immediatamente obbedito.
― Quand’è così, dichiaro francamente che, invece di andare in lettiga, preferisco di camminare a piedi.
― Mi dispiace, Maestà: ma voi non potete farlo.
― Perchè non posso farlo?
― Perchè un imperatore, che cammina a piedi, non è più un imperatore. Camminando a piedi, diventa una scimmia come tutte le altre scimmie.
― Eppure avete detto che ogni mio desiderio dev’essere contentato.
― Verissimo. Ricordatevi, però, Maestà, che la più bella prerogativa che abbiano i regnanti, è quella di non poter far nulla a modo loro.
― Ho capito, e vi ringrazio ― disse Pipì. E spiccato un salto, andò a sedersi sulla lettiga.
La fanfara, allora, cominciò a sonare alla viv’aria, e l’immenso corteggio si mosse con grand’ordine e con solennissima pompa.
Giunto al palazzo, l’imperatore si assise subito ad una tavola bell’e apparecchiata nella gran sala da pranzo. Il povero Pipì, sebbene fosse diventato imperatore, aveva un appetito che somigliava moltissimo alla fame, come un fratello potrebbe somigliare a una sorella: ma non riuscì a contentare il brontolio del suo stomaco, perchè i vassoi pieni d’ogni ghiottoneria, appena portati in tavola, erano subito vuotati e spolverati dai commensali, che gli facevano corona.
Il pranzo finì: e lo scimmiottino aveva più fame di prima.
― Pazienza! ― disse fra sè e sè. ― Ora me ne anderò a letto, e dormendo mi dimenticherò che non ho mangiato. ―
Detto fatto, entrò nella camera imperiale; e dopo poco russava come un ghiro.
Quand’ecco che sul più bello si trovò svegliato da una sinfonia indiavolata di cembali e di corni e da migliaia e migliaia di voci, che gridavano:
― Viva l’imperatore! Fuori l’imperatore!
― Maestà, ― disse il gran cerimoniere, entrando in camera ― alzatevi e affacciatevi al balcone. I vostri sudditi vogliono vedervi.
― Peccato! ― brontolò Pipì, stropicciandosi gli occhi. ― Dormivo così bene! ―
E sbadigliando e barcollando si affacciò al balcone.
― Viva il nostro imperatore! ― gridò novamente quell’immensa folla di scimmiotti radunati sotto le finestre della reggia.
― Grazie, amici, ― rispose Pipì, dimenando la testa in atto di salutare. Sento che avete una bellissima voce, e me ne rallegro tanto con voi. E non avendo altro da dirvi, buona notte e ci rivedremo domani. ―
A queste parole, la folla si sciolse tranquillamente, e Pipì tornò ad accovacciarsi sul suo letto imperiale.
Ma in quel mentre che stava lì per riprendere il sonno, ecco una nuova sinfonia di corni, di cembali e di urli popolari.
― Che cos’è stato? ― domandò alzando il capo.
― Maestà, ― rispose il gran cerimoniere, entrando in camera ― i vostri sudditi desiderano vedervi un’altra volta. Degnatevi affacciarvi al balcone.
― Eccomi subito, ― disse Pipì. ― Pregate intanto i miei amici a concedermi un minuto di tempo, tanto che io possa lavarmi il viso. ―
Passò un minuto, ne passarono due, cinque, venti, e l’imperatore non si vedeva apparire.
Andarono allora a cercarlo in camera, e non lo trovarono più. L’imperatore era sparito.