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più un imperatore. Camminando a piedi, diventa una scimmia come tutte le altre scimmie.
― Eppure avete detto che ogni mio desiderio dev’essere contentato.
― Verissimo. Ricordatevi, però, Maestà, che la più bella prerogativa che abbiano i regnanti, è quella di non poter far nulla a modo loro.
― Ho capito, e vi ringrazio ― disse Pipì. E spiccato un salto, andò a sedersi sulla lettiga.
La fanfara, allora, cominciò a sonare alla viv’aria, e l’immenso corteggio si mosse con grand’ordine e con solennissima pompa.
Giunto al palazzo, l’imperatore si assise subito ad una tavola bell’e apparecchiata nella gran sala da pranzo. Il povero Pipì, sebbene fosse diventato imperatore, aveva un appetito che somigliava moltissimo alla fame, come un fratello potrebbe somigliare a una sorella: ma non riuscì a contentare il brontolio del suo stomaco, perchè i vassoi pieni d’ogni ghiottoneria, appena portati in tavola, erano subito vuotati e spolverati dai commensali, che gli facevano corona.
Il pranzo finì: e lo scimmiottino aveva più fame di prima.
― Pazienza! ― disse fra sè e sè. ― Ora me ne anderò a letto, e dormendo mi dimenticherò che non ho mangiato. ―
Detto fatto, entrò nella camera imperiale; e dopo poco russava come un ghiro.
Quand’ecco che sul più bello si trovò svegliato da una sinfonia indiavolata di cembali e di corni e da migliaia e migliaia di voci, che gridavano: