Storie allegre/Pipì o lo scimmiottino color di rosa/XI
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XI.
Golasecca, dopo essere stato accecato, ritrova lo Scimmiottino color di Rosa.
Lo scimmiottino poteva essersi allontanato dall’Osteria delle Mosche appena un cento di passi, quando l’oste Moccolino, saltando giù dal letto e affacciandosi a capo della scala, gridò, con quanta ne aveva in gola:
― Ehi, maestro Golasecca; se volete partire, spicciatevi, perchè fra poco è giorno!
― Me ne vado subito, ― replicò il capo-masnada ― e la cena ve la pagherò al mio ritorno.
― Padron mio riveritissimo! Buon viaggio, e scarpe larghe! ―
Golasecca cercò al buio la sua giacca: e dopo averla trovata e messa addosso, portò subito la mano sulla tasca per assicurarsi dello scimmiottino.
Ma nel far questa mossa, cacciò un grido acutissimo di dolore, sentendosi portar via la pelle della mano da una terribile unghiata.
― Brigante d’uno scimmiotto! Ti diverti anche a graffiarmi? Guai a te, se ti provi a ripeter lo scherzo! Faccio giuro di strapparti tutte le unghie, a una a una!... ―
E così dicendo, uscì dall’osteria, e chiuse la porta dietro di sè.
Dopo aver fatto tre ore di strada, tornò a guardarsi la mano, e vide che la mano sanguinava sempre. Allora andò su tutte le furie, e tanto per avere un po’ di sfogo, tirò sulla tasca un solennissimo pugno.
― Gnaooo! ― grido di dentro una voce, con miagolio lamentevole.
― Ah! ti prendi gioco di me! Ti diverti a farmi il verso del gatto?... To’! Allora prendi anche questo!
E giù un secondo pugno, più forte del primo.
― Gnaooo.... gnaooo.... gnaooo.... ― ripetè la solita voce con un miagolio bizzoso e arrabbiato.
― Dunque non vuoi smettere? Dunque non vuoi farla finita? ―
E stava già per lasciar cascare il terzo pugno, quando, invece, si diè a guaire come un can frustato, a cagione di un’altra unghiata traditora, che gli aveva lacerato tutto il fianco in modo da far compassione.
Allora Golasecca, fuori di sè dal dolore, perse la pazienza; e tirate fuori un paio di forbici arrotate, borbottò minacciosamente fra i denti:
— Ora, ora, ti guarisco io dalla malattia delle unghie. Da oggi in là, brutto scimmiottino, sta’ pur sicuro che non graffierai nemmeno la bollita! —
E levatasi la giacca, e sbottonati i bottoni della tasca, si preparava a ficcarci le mani.... quando tutt’a un tratto, uscì fuori un grosso gatto soriano, che avventatosi colle zampe agli occhi del capo-masnada, non c’era verso che volesse staccarsi. Era Nanni, il gatto dell’oste Moccolino.
Alla fine si staccò, e fuggì via per i campi.
Golasecca, urlando dalla rabbia e dallo spasimo, avrebbe voluto inseguirlo: ma lo sciagurato non ci vedeva più! I feroci unghioli del gatto lo avevano accecato!
Golasecca vagò per cento giorni e cento notti in mezzo ai boschi, senza incontrar mai un pastore o un taglialegna, da potergli domandare la strada per ritornare a casa. Una volta, quando i lupi lo vedevano di lontano, se la davano a gambe per la gran paura che avevano di lui; ora sapendolo cieco e incapace a difendersi, gli facevano mille lazzi e mille dispetti. Una volta, gli uccelli e le lepri, all’avvicinarsi di questo spaventoso cacciatore, sparivano come tante ombre: ora gli stessi passerotti, perfino i passerotti di nido, passandogli accanto, gli sbattevano per divertimento le loro ali sul naso, e le lepri e i leprottini gli ballavano fra i piedi la polca e la tarantella. Che bel coraggio! e che bella bravura, non è vero, miei piccoli lettori?... Eppure è così: anche fra i ragazzi, se ne trovano pur troppo di questi passerotti e di questi leprottini, che si prendono mille confidenze sguaiate con tutti quegli infelici, che per ragione di età e di malanni non possono più difendersi nè farsi rispettare.
Fatto sta che una notte, mentre Golasecca andava giù per una viottola, fra gli alberi altissimi della foresta, cercando al tasto chiocciole e lumache per mettere insieme un po’ di cena, si trovò sbarrata la strada dal muro di una piccola casa.
Bussò, tutto contento, alla porta.
― Chi è? ― domandò una voce di dentro.
― Sono un povero cieco, smarrito nel bosco, che cerca un po’ di ricovero per passar la nottata.
― Povero ciechino! Entrate pure! ― ripetè quella voce: e la porta si aprì.
Lascio ora pensare a voi come rimase il nostro amico Pipì, quando si accorse di aver ricevuto in casa il suo tremendo persecutore.