Storia di una capinera/XXVIII
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Lunedì, 7 Aprile.
Sorella mia! Hai udito mai i defunti parlare dalla tomba?
Son morta! La tua povera Maria è morta. Mi hanno distesa sul cataletto, m’hanno coperta del drappo mortuario, hanno recitato il requiem, le campane hanno suonato.... Mi pare che qualche cosa di funereo mi pesi sull’anima, e che le mie membra sieno inerti. Fra me e il mondo, la natura, la vita, c’è qualche cosa di più pesante di una lapide, di più muto di una tomba.
È uno spettacolo che atterrisce! La morte fra il rigoglio della vita, fra il tumulto delle passioni, il corpo che vede morire l’anima, la materia che sopravvive allo spirito!
Apro gli occhi come trasognata; spingo lo sguardo nell’immensità, fra quel buio, quel silenzio, quella quiete inerte.... Tutto è ad una immensurabile distanza. Ti vedo come in sogno, al di là dei confini della realtà.... Sei tu che sei svanita nel vuoto, oppure son io che mi son smarrita nel nulla?
Sono ancora sbalordita. Mi pare di aggirarmi in un immenso sepolcreto, mi pare che tutto ciò sia un sogno.... che non debba essere per sempre, che io debba svegliarmi. Ho assistito ad uno spettacolo solenne, ma mi pare che non sia stato per me.... Mi pare che io sia stata presente come tutti gli altri ad un funerale, ad una lugubre cerimonia religiosa, ma che quando tacerà quella musica, quando non suoneranno più quelle campane, quando si spegneranno quei ceri, quando quei preti sfileranno in sagrestia, quando tutta quella gente si leverà per andarsene, debba andarmene anch’io e non abbia a restare sola, qui.... dove ho paura.... Ho visto tutti quei lugubri apparecchi che stringono il cuore, e si trattava di me? Ed ero io che morivo?... Tutta quella gente vestita a festa, tutti quei suoni, tutti quei lumi erano per me?... Ed io ho potuto acconsentire a morire?... Ho voluto morire?...
M’avevano abbigliata da sposa, col velo, la corona, i fiori; m’avevano detto ch’ero bella, Dio mel perdoni!... io ne fui contenta soltanto per lui che mi avrebbe veduta così!... M’affacciarono alla grata della chiesa. Tu mi vedesti; io non vidi nessuno; vidi una nube di incenso, un brulichìo, molte torcie ardevano; udii l’organo che suonava. Poi chiusero la cortina, mi spogliarono di quei belli abiti, mi tolsero il velo, i fiori, mi vestirono della tonaca senza che me ne avvedessi. Io non udivo, non vedevo nulla.... lasciavo fare, ma tremavo talmente che i miei denti scricchiolavano gli uni contro gli altri. Pensavo alla bella veste da sposa di mia sorella, alla cerimonia cui ella avea dovuto assistere senza provare lo sgomento che allora mi invadeva. La cortina fu riaperta. Tutta quella gente era ancora lì, guardava, ascoltava, con un’avida curiosità che mi agghiacciava di inesplicabile terrore. Mi sciolsero i capelli e me li sentii cadere fin sulle mani che tenevo giunte; li raccolsero tutti in un pugno.... e allora si udì uno stridere d’acciaro.... mi parve che mi cogliesse il ribrezzo della febbre, ma era quella sensazione di fresco che provai sul collo allorchè quella cosa fredda s’introdusse fra il volume delle mie chiome; del resto non aveva che un’idea confusa di quanto accadeva. Vidi mio padre che piangeva. Perchè piangeva? Vidi mia madre, Giuditta, Gigi.... Accanto a Giuditta c’era un’altra persona ch’era pallida pallida e mi guardava cogli occhi spalancati. In quel punto lo stridere di quella cosa agghiacciata mi parve che superasse il canto dei preti, il suono dell’organo, i singhiozzi di mio padre. I capelli mi cadevano da tutte le’ parti a ricci, a trecce intere.... e le lagrime mi cadevano dagli occhi.... Allora l’organo si fece mesto, le campane parvemi che piangessero. Mi stesero sul cataletto, mi coprirono della coltre dei trapassati. Tutte quelle figure nere mi circondarono; mi guardavano, pallide, impassibili come spettri, salmodiando, colle torce in mano. La cortina si richiuse. In chiesa si udì lo scalpiccio di tutta quella gente che se ne andava.... Tutti mi abbandonavano.... anche mio padre.... Gli spettri mi abbracciavano, mi baciavano, avevano le labbra fredde e sorridevano senza far rumore.
Tutto ciò significava che io morivo! E com’è bastato questo solo ad addormentare tutti gli affetti che mi bollivano in seno? a soffocarli? Quella cerimonia, quei lumi, quel cataletto, quelle forbici come hanno avuto il potere di lasciarmi il petto vuoto, i sensi inerti? come hanno potuto farmi discender viva nella tomba, far rinunziare a tutti i beni di Dio, l’aria, la luce, la libertà, l’amore?....
Ancora il peccato!... ancora!... dopo morta!... Ma anch’esso morrà. Qui dove c’era il cuore, adesso non c’è più nulla. Sono gli ultimi aneliti di vita, è la lotta dell’anima che non vuol morire. Penso, gemo, mi agito, soffro, ma sarà per poco. Ho passato tutta la notte senza poter chiudere un occhio, senza sognare, senza poter pensare. Che ne hanno fatto di me? che cosa? Ecco quello che domando a me stessa con terrore. Tutta la notte, là, al disopra di quella cortina c’è stato sempre quel volto.... il volto di colui.... mi ha guardato, muto, pallido, cogli occhi spalancati, mentre le forbici stridevano incessantemente fra i miei capelli. Non ho più la forza di piangere: il nulla mi ha invaso.
No! non è vero! quello strano mistero che si è compiuto non mi ha avvicinato a Dio.... mi ha lanciato nel buio, nel vuoto; mi ha annichilito. Non so che cosa ci sia più dentro di me.... È un silenzio che mi spaventa.