Storia di Torino (vol 1)/Libro V/Capo IV

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Capo Quarto


Provvisioni del comune in caso di guerra.


Attributo del comune indipendente era di fare a proprio senno e pace e guerra. Piè rinunziò a que­ sto diritto nell’obbedir che fece ad un principe, sebbene procurasse il principe, dopo le prime offese, di metter pace tra i contendenti. Questa facoltà eser­ citata eziandio da baroni e da privati, sol che po­ tessero metter insieme quattro uomini d’arme, non potea venir disdetta alle città che erano stale libere, e conservavano gran parte delle antiche prerogative. Ed infatti nel mese di giugno del 1376, Ibleto, sire di Chalant, scrisse ai Torinesi che, essendo stato offeso dal sire di Quart, gli avea mosso guerra, e chiedea loro, come a’ suoi cari amici, soccorso. Il comune gli mandò dieci clienti che lo aiutassero per giorni quindici.

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Ora parliamo delle provvisioni che si faceano nel caso di guerra, o all’appressarsi delle grandi com­pagnie di ventura che disertavano l’Italia nel secolo xiv. Quando si temeva una guerra grave, si facea ridurre tutto il grano di Grugliasco e del territorio Torinese nella città, entro la quale si riparavano gli uomini di Grugliasco, e talora anche quei di San Mauro e d’Altessano, terre non fortificate. In altri casi di minor pericolo guernivasi la terra di Grugliasco di balestre, affinchè potesse difendersi, e si pregava il conte di Savoia ordinasse ai Rivolesi di soccorrerla in caso di bisogno. Faceansi tagliate e fossi intorno alla città, lunghi talvolta parecchie miglia, come da Caselette a Torino, o da Collegno a Torino. Due grandi fossi mantenevansi sempre allato alla strada che da porta Fibellona conduceva al fiume Po. Rompevansi i guadi del Po e della Dora, s’abbarravano i ponti, si faceano rivellini e barriere in­nanzi alle porte. S’alzava un castelletto di legname chiamato belfredo a S. Martiniano, ai molini della città e in altri siti più importanti e più esposti. Con un’altra macchina di legno, chiamata tornafollo, difendevasi il passo ai ponti di Dora; cioè tanto al grande che a quello di S. Biagio, il ponte di Po era bastantemente difeso dalia torre armata di balestre, e dopo il 1347 d’uno schioppo o piccolo cannone, la quale vedeasi a capo di esso, e dalla bastia o piccola fortezza, con ba­stioni di terra e palizzate, che torreggiava sul monte [p. 366 modifica]che or s’intitola dei Cappuccini. Per difendere il fiume s’armava talvolta un galeone.

Quando le cose eran quiete, la torre che sorgeva; a capo del ponte di Po, dal lato della città, era cu­stodita di notte dal cappellano della vicina chiesuola di S. Leonardo che vi dormiva. Ma in tempo di so­spetto vi si deputavan clienti; e fino a dieci se ne mandavano a guernir la bastia, che d’ordinario non avea più che due guardie. Sul campanile di Sant’Andrea, su quello del duomo, sulla torre del co­mune, sul palazzo de’ Beccuti, più elevato degli altri, poneansi vedette. Altre collocavansi sul campanile della badia di Stura a spese dell’abate, sul palazzo di Lucento, nella torre di Mischie (posta in mezzo ad un bosco, sul colle in ver San Mauro), sul campa­nile di Sassi, sulla torre di Pozzo di Strada. Infine dirizzavansi bicocche, vale a dire guardiole di legno, erette sopra gli alberi, o innalzate su pali e cinte d’un fosso, il tutto a fine di specular da lunge i moti del nemico, de’ quali con segni di bandiere, di fumo o di fuoco davano ragguaglio le vedette esterne alle interne, le più lontane alle più vicine. Due bicoc­che s’alzavano sempre al guado della Pellegrina in riva a Dora (verso Altessano) e ne’ prati di Vanchiglia. Ogni notte facevasi la cerca attorno alle mura, dentro e fuori di esse, e negli edifiziida cui si potea temere qualche nemica insidia: e così nel monistero di S. Solutore maggiore e nel monistero [p. 367 modifica]di Sta Chiara.1 Mandavansi esploratori a cercar le rive di Stura da Borgaro fin dove il fiume mette foce nel Po. Ogni mattina si cercavano i boschi vicini alla città. La notte grosse pattuglie stanziavano in­nanzi al palagio del comune, mentre sei altre cor­revano le strade della città. Ad ogni porta si de­ putavano dieci custodi di provato valore. Per mag­gior pericolo vegliava la quarta parte de’ cittadini. Infine deputavansi esploratori a cavallo a spiar le mosse dei nemici, con avvertenza, dicono gli ordini, che fossero di sangue pacifico, nè paurosi, nè arri­schiati.

Era inoltre comandato ad ogni cittadino d’andar armato di lancia, spontone o balestra.

Quando la campana suonava a stormo, tutti i cit­tadini abili all’arme, dovean correre sulla piazza del comune, e far capo al gonfalone di S. Giovanni Bat­tista. Se dovea moversi l’oste generale, siccome la città sarebbe rimasta indifesa, scriveasi ai signori di Beinasco, vassalli del comune, che, secondo gli antichi patti, venissero a pigliar le guardia delle porte di Torino. Se uno o due soli quartieri (clapa) dovean marciare, gittavansi i dadi per sapere a quale convenisse di partir prima; ma in settembre del 1343 si provvide che i quartieri di porta Posteria e di porta Doranea (tutto il lato settentrionale della città) andassero all’esercito di Candiolo, e che nella prima successiva mossa andassero gli altri due (porta [p. 368 modifica]Marmorea e porta Nuova) senza niun gioco di fortuna (sine aliquo ludo). L’esercito procedeva con questo ordine. Alla testa era il gonfalone di S. Giovanni Battista e quello del quartiere o de’ quartieri che an­davano in oste. Intorno ad essi quattro savi, spezie di commissari, coll’autorità di far precetti e d’impor pene. V’erano ai fianchi e di dietro quattro guardacampi deputati ad impedire le diserzioni e le fughe. Poi ogni dieci, ogni venticinque ed ogni cinquanta soldati aveano un capo.

L’esercito si componeva di milizie e di clienti. Le prime corrispondevano alle cavallate dei Fiorentini, ed erano ciascuna di due uomini a cavallo, cioè di un cavallo e di un ronzino; col quale ultimo nome dee intendersi non altro che un cavallo di piccola taglia. Le milizie erano armate di tutto punto. I clienti erano fanti che ne’ tempi antichi non porta­vano che lancia o spada, scudo e cervelliera; ma che più tardi usarono anche coprirsi il busto con un pettorale. Andava coll’esercito la salmeria ne­cessaria. Quando era in marcia l’oste generale dei cittadini, i tribunali eran chiusi. Tutti gli affari necessariamente sospesi, non rimanendo che vecchi, donne e fanciulli.

Non trovo che il carroccio sia mai stato in uso a Torino.

Nel secolo xiv cominciò ad increscere general­mente ai comuni quel doversi togliere all’uffizio, [p. 369 modifica]all’arte, alle faccende domestiche per ogni moto di guerra, e però con tanta frequenza; onde pigliaron l’uso di condurre al loro soldo contestabili con piccole compagnie d’armati, e talora, per nostra sciagura, anche alcuna di quelle grandi compagnie di ventura che tanto terrore inspiravano per la dia­bolica loro crudeltà, rapacità e perfidia ai popoli, sicché li chiamavano figliuoli di Belial. Ma di ciò meglio in altro luogo.


Note

  1. [p. 378 modifica]Nel 1348 si vietò ai minori danni quindici d’andar alla guardia delle mura ed alla scaravayta.