Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo IX

Capitolo IX

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CAPITOLO IX.

[Anno 1846]


Avvenimenti occorsi in Roma dal 7 al 31 decembre 1846. — Gli universitarî a santi Apostoli. — Inondazione di Roma del 10. — Primo numero del Contemporaneo, o numero di saggio pubblicato il 13. — Concistoro segreto del 21. — Eletti cardinali i prelati Baluffi e Marini. — Clamori contro il secondo. — Dimostrazione al Santo Padre il 26 pel suo onomastico. — Circolare Gizzi del 30, e disposizione a favore dei dementi. — Digressione sullo spirito pubblico nelle provincie divenuto favorevole a Roma in seguito dell’atto del perdono. — Gli esagerati soli persistono nei loro sentimenti ostili al papato. — Quali n’erano i capi. — Sonetto antipapale del Ricciardi. — Componimenti in verso e in prosa, ed altri scritti venuti in luce nel secondo semestre del 1846.


Narreremo in questo nono capitolo tutto ciò che occorse in Roma dal 7 decembre all’ultimo dell’anno, ed, incominciando dal detto giorno, vigilia dell’immacolato concepimento di Maria Vergine, diremo che il Santo Padre si recò nella chiesa de’ santi XII Apostoli per chiudervi gli esercizi novendiali.

Il tempo era orribile. Uno spaventoso uragano scoppiò, precisamente nel momento in cui il Santo Padre recavasi alla detta chiesa. Quando chi ’l crederebbe? Se gli presentano sulla piazza de’ santi XII Apostoli circa duecento giovani quasi tutti dell’università, per supplicare la Santità Sua, affinchè si degnasse di permettere, che da ora innanai le biblioteche pubbliche fossero aperte anche nei giorni di vacanza. Il Santo Padre annuì alla domanda.1

Sembrò però a molti assai strano il loro procedere pei seguenti motivi:

Il primo perchè potevasi scegliere un altro giorno, un altro luogo, un altro momento; stante che, vedutili il Santo [p. 143 modifica]Padre bagnati non solo, ma grondanti d’acqua era egli presumibile che, per un oggetto simile, non volesse compiacerli?

Il secondo perchè parve esagerata tanta smania per lo studio in un momento come quello nel quale, se poco studiavano nei giorni feriali, tanto meno avrebbero studiato la festa.

Il terzo per il modo col quale fu domandata la grazia. Difatti fosse stata pure una bellissima giornata, quel presentarsi improvvisamente al sovrano in numero di duecento circa ebbe meno l’apparenza di un richiedere sommesso, che quella di volere esercitare una pressura, se pure non voglia chiamarsi violenza. Ma di ciò basti.

Aveva Sua Santità ricevuto la mattina in udienza il principe di Chimay inviatole espressamente per complimentarla da parte di S. M. il re dei Belgi.2

Il giorno 10 fu memorando per una terribile inondazione del Tevere, le cui aicque in seguito delle pioggie stemperate dei giorni antecedenti, e della fusione delle nevi cagionata dal continuato spirare dei venti australi, salirono a metri 16, 25 sopra il pelo delle acque basse, cosicchè non fu inferiore che di centimetri 17 a quella famosa del 1805.

Mercè i provvedimenti adottati dall’autorità non vi furono gravi disastri, nè perdite di vite da deplorare. Si provvide a tutto; l’operosità in molti fu tragrande, esemplare. Si adoperarono molto il principe Aldobrandini, e il cav. Don Giovanni dei principi Chigi, e lo stesso Ciceruacchio fu uno dei più attivi, ed operosi, e salvò molti miseri dalla fame. Ottenne anche la debita lode in quella occasione il principe Borghese per le sue elargizioni.3

Siccome peraltro la sospensione del lavoro ed i guasti cagionati dalle acque produssero danni non pochi, una commissione venne eletta da Sua Santità il giorno 11 per [p. 144 modifica]la raccolta, e distribuzione delle spontanee largizioni. Essa fu composta di vari prelati, due parrochi, e parecchi nobili romani. 4

Era opinione assai radicata in Roma che simili alluvioni prodotte unicamente da particolari condizioni atmosferiche avessero la loro origine o dall’impedimento dei ponti, o dalla tortuosità e irregolarità delle sponde; ma sopratutto dal rigurgito e opposizioni del mare, quasi che non permettesse alla piena delle acque del Tevere di versarsi nel suo seno.

Questa erronea opinione porterebbe per legittima conseguenza che so la colluttazione fra le acque del fiume, e quelle del mare fosse alla foce di Fiumicino, cioè nel punto della sua immissione nel Mediterraneo, colà dove il letto del fiume è 30 palmi più basso che in Roma, dovrebbero risentirsene i più terribili effetti, mentre al contrario egli è appunto colà che la piena non si fa sentire, e le acque non debordano, anzi nel seno del mare, senza colluttazione, si riversano.

In una parola, se di là venisse la causa, là i primi effetti dovrebbero risentirsi; eppure accade tutto al contrailo.

L’alluvione ci viene dal su in giù, ossia dai versanti degli Appennini, e basta avere occhi per avvedersene, e la sarebbe pure cosa strana se contro le leggi della natura gli effetti che si risentono nella parte più bassa del bacino del Tevere dovessero propagarsi, e comunicarsi nella parte più alta.

E pure questa opinione assurda ingannò molti eruditi e scienziati, e non ostante gli aurei trattati del Castiglione, del Beni, del Lambardi, e per ultimo degl’ingegneri Chiesa e Gamberini che, per calmare le inquietudini di papa Benedetto XIV, esaminarono funditus questa materia, e ne produssero analogo rapporto nel 1746, aveva ed ha ancora molti partigiani, imperocchè le apparenze, più che la ragione e la scienza, dominano le menti degli uomini.

[p. 145 modifica] Non crediamo diffonderci ulteriormente in siffatta digressione, bastandoci di aver dato un cenno di ciò, come di una strana opinione invalsa, e che in allora fu il tema di tutte le conversazioni. Chiunque poi voglia acquistare su di ciò più maturi giudizi non avrà che a consultare le opere sovraccennate, non che una dissertazione di Francesco Spada pubblicata nel 1843.5

Nella seconda decina di dicembre non essendo occorse cose notevoli, slam giunti al 21, nel quale giorno il Santo Padre tenne concistoro segreto in cui provvide a otto Chiese vescovili, una arcivescovile, conferì un vescovato in partibus e creò cardinali:

Monsignore Gaetano Baluffi, anconitano, arcivescovo, vescovo d’Imola;

Monsignore Pietro Marini, romano, governatore di Roma. Due personaggi egualmente illustri per probità e per dottrina; celebre il primo per le sue opere pubblicate; onorato, e considerato il secondo come uno dei luminari della legislatura.

Si approvò, o almeno non eccitò clamori per parte dei liberali la prima scelta, ma la seconda si vituperò apertamente e fu cagione che si suscitasse una tempesta. Andiamo a svolgerne i motivi.

Forti sempre nel principio stabilito, che applausi e biasimi partivan tutti dalle stesse sorgenti, faremo riflettere che da vari mesi era il Marini in uggia ai liberali per certi propositi che se gli attribuivano, contrarî non in genere, ma in ispecie all’amnistia, quasi che avesse premunito di andare piano con gente sul cui ravvedimento poco era a sperare.

Veniva accresciuta la odiosità di questi propositi dalla presunzione fondata che niuno meglio di lui, come governatore di Roma, e direttore generale di polizia, non che [p. 146 modifica]depositario dei processi politici, dovesse conoscere di simili segreti. Da ciò il desiderio di soffocarne la voce, deprimerlo, e metterlo in fama d’inonesto, menzognero, e peggio.

Si aggiunga, che come delitto capitale attribuivasegli, ed era vero, che avesse fatto arrestare una sera al caffè nuovo un giovinetto che a dritta e a sinistra vendeva un opuscolo intitolato le stragi di Tarnow, opuscolo ingiurioso non solo, ma eccitante all’odio contro la potenza austriaca, e che, come in seguito ci raccontò il Montanelli, era stato da lui stesso fatto pubblicare a tal fine. Si aggiungeva pure che il Marini avesse assoggettato ad una multa di cento scudi il tipografo Natali che lo diede alle stampe.

Gli antecedenti della sua vita, l’onestà, la carità, la dottrina, la cultura dello spirito, la gentilezza de’ modi, e lo essersi distinto con lode di tutta Roma nell’esercizio del carico di uditore di Rota, furono tutti titoli che a nulla valsero, e posti tutti in un fascio, venner gittati nel fango.

Si usò non solo di gridare a piena gola contro il Marini, ma con turpe consiglio si prostituirono le suore del Parnaso, facendo dire loro cose di cui arrossirebbe la più spudorata meretrice.

Le lodi poi e gli applausi prodigati dagli uomini del movimento a quel Papa venerando che recentemente erasi eletto, che fino allora si era portato alle stelle, e che con tante farse combinate erasi voluto immortalare, quasi diremmo, divinizzare, non valsero a rattenerli per rispetto almeno, se non per gratitudine, dal prorompere in cosiffatte grida dissennate che se ferivano l’eletto, venivano a riflettere per conseguenza sopra l’elettore che era lo stesso papa. E si giunse tant’oltre, che si minacciò di sospendere le feste preparate in onore del Santo Padre pel primo dell’anno.

Parve in somma che la scelta del Marini fosse tale un delitto da controbilanciare tutto il bene, e tutte le gesta [p. 147 modifica]gloriose del pontefice, e tale quasi da fargli demeritare tutti gli atti di ossequio che il mondo venivagli tributando.

Sono questi episodi storici meritevoli di essere ricordati e pure dagli altri cronisti venner lasciati sotto silenzio. Ma la storia deve dire il vero in tutta la sua pienezza, se si vuole che ammaestri, e chi sentì come noi il frastuono scandaloso di quelle voci, apprese a non dare peso a quelle manifestazioni che non dal retto sentire e dalla sana ragione emanavano, ma sibbene dallo arti subdole di partiti, e di sette.6 Ma su questo triste argomento abbiam detto forse più che non meritasse. Passiamo ad altro.

Recossi il pontefice la sera del 24, vigilia del santo Natale, nella patriarcale basilica di santa Maria Maggiore, per compirvi la cerimonia di uso, e pontificò il giorno seguente nella basilica di san Pietro in Vaticano. Inutile dire che il concorso di gente fu insolito in ambedue le chiese. La descrizione può leggersi nel Diario di Roma.7

La mattina del giorno 26 monsignor Grassellini siciliano, eletto dal Santo Padre a nuovo governatore di Roma, prese possesso di questo carico cospicuo.

La sera poi, come è uso, nella qualifica di presidente della deputazione dei pubblici spettacoli, recossi alla prima rappresentazione nel teatro Apollo, e trattò di lauti rinfreschi gli intervenuti al secondo e terzo ordine, come si soleva praticare dai suoi predecessori.

Furono immensi e replicati gli evviva e gli applausi alla sua comparsa in teatro, parte dei quali furono naturali e sinceri, perchè diretti ad onorare l’uomo probo, colto, e di svegliato ingegno, parte suscitati artificiosamente come significativi di biasimo pel governatore passato Marini. Si fece menzione di tale applauso nei primi numeri del Contemporaneo.8

[p. 148 modifica]Pochi momenti prima all’insaputa della popolazione, e direm quasi per sorpresa, si vide muovere dalla piazza del Popolo una processione composta di giovani con faci accese e recarsi al Quirinale. Era la vigilia di san Giovanni ed il Santo Padre chiamandosi innanzi il pontificato Giovanni, si vollero con ciò anticipare nella vigilia le felicitazioni per la sua festa. Benedì il Santo Padre, come al solito, chi trovavasi sulla piazza del Quirinale. La stagione invernale però, e la coincidenza coll’apertura dei teatri, ne fecero una dimostrazione di non molta importanza, ed alla quale la vera popolazione romana prese poca, o niuna parte, quantunque vi si associasse qualche persona ragguardevole.

L’ultimo atto governativo che chiuse l’anno 1846, fu una circolare dell’eminentissimo Gizzi, contenente alcune disposizioni in favore dei dementi.9

Prima di chiudere per parte nostra l’anno 1846, diremo però alcun che sullo spirito delle provincie, ove intanto eransi operati dei cambiamenti nel personale dei legati, che eran preposti a governarle.

In Bologna difatti fu sostituito all’eminentissimo Vannicelli il cardinale Amat.

In Ferrara il cardinale Giacchi al cardinale Ugolini, e nella provincia di Urbino e Pesaro fu inviato il cardinale Ferretti in sostituzione del cardinale Della Genga.

Piacquero in genere questi cambiamenti nelle provincie perchè più consentanei ai loro desideri. Ora dunque diremo che quell’ammansimento degli animi che noi con vera effusione di cuore preconizzavamo, siccome conseguenza a sperarsi dall’atto del perdono, si venne a verificare in quel tempo, ossia nel secondo semestre 1846, nelle Provincie settentrionali dello stato pontificio. Esse ne furono soprammodo allietate, e ne avevano ben ragione, imperocchè, avendo in esse più che nelle altre provincia allignato i germi di ostilità alla sede di Pietro, ebbero un numero maggiore di compromessi nelle rivolture [p. 149 modifica]passate, e questi vennero tutti a risentire i benefici effetti dell’atto in discorso. Questi germi erano in parte ingeniti nel suolo delle Romagne, abitate da uomini d’indole calda e risentita, ma franchi, aperti, amanti della sincerità, nemici della ipocrisia, cupidi di libertà; in parte ancora perchè avevan gustato la regolare amministrazione del regno italico sotto l’impero del primo Napoleone, e goduta quella meteora di libertà che li visitò nel 1831; in parte finalmente perchè il famoso lord Byron dopo la restaurazione fece lunga residenza nel Ravennate, ed è voce che vi profondesse i suoi tesori, e vi esercitasse la sua influenza per propagarvi le idee liberali che informano il britannico impero. Ad esso si attribuì pure se non la introduzione, il maggiore sviluppo di quelle consorterie politiche, che in linguaggio di setta nomansi vendite carbomaresche. Fra queste distinguevansi quelle che andavano sotto il nome dei difensori della patria, dei figli di Marte, i figli di Bruto, dei riformati muratori, dei maestri perfetti, i Guelfi, degli Adelfi, ed altre sotto altre denominazioni.

Ma se lord Byron operò in tale guisa, vuolsi pure che il facesse nello scopo di rendere quelle popolazioni meno fiere e selvaggie, e di ridurle a cultura di spirito e gentilezza di modi. Non sembra però che raggiungesse lo scopo perchè il nobile lord non andò esente da qualche pericolo nella propria persona, sicchè, scandalizzato ed afflitto pel poco costrutto che ritrasse dai suoi tentativi, trovossi perfino costretto di collocare una sua figlietta nel monastero di Bagnacavallo; e queste cose egli stesso pubblicò nel 1821 in un Diario, ed in una lettera diretta al suo amico Hoppner.10

Queste circostanze riunite per tanto costituivano delle Romagne un paese, quasi nemico del tutto alla pontificia dizione, e che più ostile divenne in seguito pei rigori che le polizie astiose e severe vi esercitarono a preservazione di propria salvezza negli anni decorsi.

[p. 150 modifica]Egli è però uu fatto, che, vuoi per la generosità dell’atto di amnistia, che a molti Romagnoli schiudendo le porte dei domestici focolari li restituiva alle delizie della patria, e della famiglia, vuoi per le speranze di leggi più miti, o di più liberi ordinamenti, vuoi infine perchè così era l’andazzo delle cose in quel tempo, avevan deposto se non tutti, almeno una grandissima parte dei Romagnoli, gli accenti del livore, e le armi della vendetta, riducendosi e ritemprandosi a più mansueta natura.

8e non che esisteva pur troppo una fazione più ardente, che mal sofferendo di riconoscere sotto l’aspetto di grazia ciò che riteneva essere atto di giustizia, qualificava di codardo timore la umanità, e la clemenza.

Essa guastò tutto. Furono i suoi seguaci il flagello di loro stessi e degli altri. Attossicarono essi soli le sorgenti del bene, distornarono i più miti dalla adottata sottomissione, proverbiarono, e vituperarono come vili quelli che accontentavansi di materiali miglioramenti, e come fanciulli inesperti quei che tenevan lor dietro. Respinsero sconoscenti il bacio dell’amore, e rinfocolaron più ardenti le ire, e le vendette sanguinose, è crudeli.

Non altro per essi vedevasi che l’unione, e la indipendenza d’Italia dal giogo dell’Austria. Indegno di reggere di una parte dell’Italia l’impero, chi non avesse in cima de’ suoi pensieri uno scopo sì sacrosanto.

Poco ad essi caleva e di riforme di codici, e di strade ferrate, e di migliorate finanze, se non si raggiungeva questo scopo. Questo, questo solo, avevan fitto nel capo, e come nemico d’Italia consideravano chi con essi non divideva cosiffatta opinione.

Ciò per altro non potersi sperare dal papa, dicevano. Che se egli, a patto di farsi capo (in apparenza e servo in sostanza) della rivoluzione, tale si fosse appalesato, a questo sol patto doversi tollerare. Se no, doverlo sbalzare dal seggio, governasse pure come Tito o Marco Aurelio.

Capo o simbolo di questa fìrazione non grande, ma [p. 151 modifica]audace e coraggiosa, alla quale sembra che aderissero gli uomini d’idee repubblicane, come un avvocato Gabussi bolognese, ed un Lizabe Ruffoni di Ferrara, che fu poi segretario di Mazzini, può considerarsi quel Giuseppe Ricciardi, di cui abbiam parlato di sopra, il quale, al vedere che Pio IX esitava ad impugnare animoso il brando contro r Austria, come avrebbe voluto, prorompeva nei seguenti accenti che ritraono al vivo a quale patto soltanto avrebbe tollerato sul capo di Pio IX la tiara del pontefice, e nella sua mano lo scettro del regnante. Essi furon dettati in Parigi il 17 febbraio del 1847, cioè sette mesi dopo l’atto dell’amnistia.


Sonetto


Padre comun, dei popoli pastore,
Folgore all’empio, e usbergo all’innocente
Ti gridi al mondo, e al grido ingannatore
Crede il volgo, e s’inchina umilmente.
Non io, che muto veggoti al dolore,
Muto allo strazio di famosa gente,
Dove romper la verga all’oppressore
Dovresti nelle man sanguinolente!
Dunque l’antico scellerato patto,
Cui Roma stringe e la regal genia.
Tu pur vuoi salvo e applaudi al gran misfatto?
E te chiamerà santo Italia mia?
Ah solo a chi dei popoli al riscatto
Surga, il nome di santo Italia dia!


Del resto, siccome però i più eran contenti, e siccome da per tutto eran manifestazioni di gioia e di allegria, ovunque eransi celebrate feste, e tripudi e accademie, e sonetti e opuscoli eransi pubblicati, e tutti allusivi alle [p. 152 modifica]circostanze; la fazione ostile pareva per un momento se non estinta, ammutolita e depressa, e può dirsi, salvo qualche diceria fra il borgo e la città di Faenza, e qualche manifestazione ostile al cardinal Vannicelli in Bologna, lo spirito di quelle popolazioni parve migliorato di molto, e non piccolo argomento di soddisfazione fu ciò pel pontefice, e per la curia romana, non piccolo preludio di liete speranze per i generosi abitanti di Roma.

Ei fu per altro alle grida della fazione esagerata che si dovette il richiamo del Vannicelli, e dell’Ugolini, e del Della Genga, i quali non parvero essersi mostrati favorevolissimi all’atto di amnistia, o almeno per tali furono inesattamente rappresentati, mentre levossi al cielo monsignor Pecci vescovo di Gubbio, e il cardinale Cadolini arcivescovo di Ferrara, per la sua pastorale del 25 luglio, e il cardinal De Angelis arcivescovo di Fermo, per la sua notificazione del 16 settembre 1846.

Sommavan gli amnistiati, che in virtù dell’atto del perdono rientrare potevano nelle provincie, a sei o settecento circa come dall’elenco che esiste; 12 e se non tutti, la massima parte vi rientrarono.

Lo avere impedito la diffusione delle circolari della segreteria di stato in tutte le città, salvo Bologna, lo avere fatto quasi ammutolire le polizie, i consigli di prudenza, e di tolleranza che venivan da Roma, la mollezza in alcune autorità governative delle provincie, e la paura nelle altre, tutto contribuì a far si che i liberali risorti non avesser di che lagnarsi e potessero a loro belP agio darsi in braccio alla espansione della gioia, e gli esagerati adoprarsi in una più libera diffusione dei loro sentimenti; ma la conclusione si fu che, non essendo essi avversati nè apertamente nè ascosamente dalle autorità, non poteva esservi conflitto o malcontento là ove non appalesavasi resistenza veruna.

Questo lasciar fare pertanto sia in Roma sia nelle provincie, dette libero sfogo alla gioia, fosse pure in parte [p. 153 modifica]vera, e in parie fittizia, che allora manifestossi in tutta la estensione degli stati pontifici, e di ciò fan prova i molti opuscoli contenenti narrazioni, raccolte di poesie, discorsi ec. che pubblicaronsi nell’anno 1846. Ed affinchè meglio se ne conosca lo spirito, ne sottoponiamo l’elenco ai nostri lettori.

Elenco degli stampati che pubblicaransi nell' anno 1846.


Num. 1. — Adunanza solenne tenuta dagli Arcadi per in esaltazione al pontificato di Sua Santità papa Pio IX il 3 decembre 1846. vol. I. in-8.

Num. 2. — Feste fatte in Ancona ad onore dell’immortale Pio IX. Componimenti poetici, e relazione di Alessandro Alessandrini vol. I. in-8.

Num. 3. — Gerardi Filippo M. Il perdono; feste del popolo romano, ed altri popoli, e città vol. I. ìn-8.

Num. 4. — Il trionfo della clemenza di Nostro Signore papa Pio IX. Roma 1846. vol. I. in-12.

Num. 5. — Pizzoli avvocato. Orazione alla Santità di papa Pio IX vol. I. in-16. Miscell. vol. I. n. 1.

Num. 6. — Borgatti avvocato Francesco. Le feste di Roma e Bologna. Roma in-12. Miscell. vol. I. n. 2.

Num. 7. — Reali D. Eusebio. Un effetto del perdono di Pio IX. Lugo in-12. Miscell. vol. I. n. 3.

Num. 8. — Muzzarelli monsignore. Ottave. — Gando abbate. Sonetto. Roma in-8. Miscellanee vol. I. n. 4.

Num. 9. — Bassi p. Ugo. Canto della madre di Pio IX. in-8. Miscell. vol. I. n. 5.

Num. 10. — I Senigagliesi ai Romani, versi sull’amnistia. Senigallia in-8. Miscell. vol. I. n. 7.

Num. 11. — Feste di Ferrara, e Faenza, Civitavecchia e Castelfranco pel perdono, e pastorale delF eminentissimo Cadolini. Roma in-8. Miscell. vol. I. n. 8.

Num. 12. — Gennarelli. Festa dell’8 settembre in Roma, e salmo dell’avv. Fracassetti Roma in-8. Misceli, vol. I. n. 9.

[p. 154 modifica]Num. 13. — Riflessioni sopra un articolo della in-8. 1846. Miscell. vol. I. n. 10.

Num. 14. — Ilario Parlaschietto, e Saturnio Malauguri Dialoghetto. Montefiascone in-8. 1846. Miscell. vol. I. n. 11.

Num. 15. — Feste popolari e sacre in Perugia. Perugia in-8. opuscolo di pag. 36. Miscell. vol. I. n. 12.

Num. 10. — Pensieri di un Romano, devoto alla Santità di Pio IX nel terminare dell’anno 1846: in-8. Miscell. volume I. n. 14.

Num. 17. — Gigli Ottavio. Le feste del popolo romano dal 17 luglio 1846, al 1. gennaio 1847. in-8. Miscell. volume II. n. 1.

Num. 18. — D'Azeglio Massimo. Lettera. Italia 1846. in-16. Miscell. vol. VII. n. 3.

Num. 19. — Indirizzo a monsignore Janni, uditore santissimo, e Ruffini fiscale, che fa seguito agli Ultimi casi di Romagna di Massimo d’Azeglio 1846 in-16. (quest’opuscolo, secondo il Montanelli vol. I. pag. 130. delle sue Memorie, è di Aurelio Saffi, quello stesso che nel 1849 fu triumviro con Mazzini. Miscell. vol. VII. n. 4.

Num. 20. — Ai sudditi pontifici. Opuscolo di pag. 24. Rimini 1846 in-32. Miscell. vol. VIII. n. 4.

Num. 21. — Feste in Tivoli, e gita dell’immortale Pio IX del 14 ottobre 1846. Roma in-8. Miscell. volume IX. n. 1.

Num. 22. — Pantaleoni Dom. Il motu-proprio del 16 luglio 1846 a Macerata. Loreto 1846 in-12. Miscell. volume XII. n. 2.

Num. 23. — Documenti storici intorno alcuni fatti d’arme degl’Italiani a Monte Video, pubblicazione a beneficio dei danneggiati dal terremoto del 14 agosto 1846 in-8. Miscell. vol. XII. n. 6.

Num. 24. — Cappi conte Alessandro. Ravenna nel 23 agosto 1846. Ravenna 1846 in-8. Miscell. vol. XII. n. 6.

Num. 25. — Roma nel giorno 8 settembre 1846, lettera di un curato di campagna. Livorno 1846, opuscolo in-12 [p. 155 modifica]di pag. 116, pregevolissimo per la quantità dei documenti. Miscell. vol. XII n. 7.

Num. 26. — Fracassetti. A Pio IX. Salmo. Loreto settembre 1846, in-8. Miscell. vol. XII n. 8.

Num. 27. — Gita di N. S. Papa Pio IX a Tivoli il 14 ottobre 1846. in-8. Miscell. vol. XII n. 9.

Num. 28. — Cantata in Orvieto per il Possesso, in-8. Miscell. vol. XII n. 10.

Num. 29. — Zauli-Saiani. Prose e poesie al teatro Alibert gli 11 novembre; quelle di Sterbini vengon dopo. Miscell. vol. XII n. 11.

Num. 30. — Prose e poesie di alcuni Forlivesi a Pio IX. Forlì 1846, op. in-8 gr. di pag. 52. Miscell. vol. XII n. 13.

Num. 31. — Gli Anconitani ai Sinigagliesi 29 settembre 1846, in.l6. Miscell. vol. XII n. 14.

Num. 32. — Armandi colonnello. Lettera. Roma 1846. in-8 rarissimo. Miscell. vol. XV n. 1.

Num. 33. — Solenne adunanza tenuta dagli accademici della Immacolata Concezione il 16 agosto 1846. Roma 1846, opuscolo in-8. di pag. 114 Miscell. vol. XVI n. 1.

Num. 34. — Rosetti Canonico. Discorso a Pio IX. Roma 1846, in-12. Miscell. vol. XVI ni 2.

Num. 35. — Borgogno. La Provvidenza di Dio nella esaltazione di Pio IX. Roma, 1846, in-8. Miscell. vol. XXn n. 1.

Num. 36. — Canzone alla Santità di N, S. papa Pio IX. in-8. Miscell. vol. XXII n. 2.

Num. 37. — Merolli P. Per la coronazione e amnistia di Pio IX, rime. 1846. in-8. Miscell. vol. XXII n. 3.

Num. 38. — Golfleri D. Gaetano. Salmo ad onore di Pio IX. Fermo 1846, in-8. Miscell. vol. XXII n. 4.

Num. 39. — Alquante parole intorno a Gioberti, in-12. Miscell. vol. XXIII n. 1.

Num. 40. — Del sentimento nazionale in Italia, ragionamento di un Siciliano. 1846. in-8. Il Montanelli nel I vol. pag. 205 dice ch’è dell’avv. Gio. Fabrizi. Misceli. vol. XXIII n. 2.

[p. 156 modifica]Num, 41. — Sterbini Pietro. Discorso al teatro Alibert la sera dell’11 novembre 1846. in-8. Miscellanee vol. XXIV. n. 1.

Num. 42. — Bruschi Gaetano. Sulla necessità di educare il popolo. Bologna 1846. in-8. Miscell. vol. XXIV n. 2.

Num. 43. — Meucci Filippo. La Lega Lombarda. 1846, in-16. Miscell. vol. XXVIII n. 2.

Num. 44. — Raccolta di atti officiali, e di scritti relativi alla vertenza fra l’Austria e il Piemonte. Opuscolo in-16 di pag. 222. Miscell. vol. XXVIII. n. 3.

Num. 45. — Nel possesso dell’immortale Pio IX, inno. Bastia 1846. È un opuscolo di pag. 12 tutto allusivo alle future grandezze di Roma ed alla unione d’Italia. Miscell. vol. XXVIII n. 5.

Num. 46. — Appendice al libro d’Azeglio sugli ultimi casi di Romagna, o indirizzo al successore di Gregorio XVI, scritto per cura di un galantuomo. Italia giugno 1846; opuscolo in 16 di pag. 104, contenente lamenti sul governo passato. Miscell. vol. XXXIII n. 1.

Num. 47. — Documenti diplomatici. Opuscolo di pag. 24 in-16; sembra pubblicato nel 1846. Miscell. vol. XXXIII, n. 2.

Num. 48. — Bandini P. Carmi di lode. Roma 1846 in 8. Miscell. vol. XXXIII n. 3.

Num. 49. — L’anno 1846, poesie. Salmo di due diversi in 16. Miscell. vol. XXXIII n. 4.

Num. 50. — Canto sul perdono. Roma 1846 in 8. Miscell. vol. XXXIII n. 5.

Num. 51. — Giordani Pietro. Lettera relativa a Pio IX, 8 agosto 1846. in 8 Miscell. vol. XXXIII n. 6.

Num. 52. — I primordi del pontificato di Pio IX, Firenze 1846 in 8. Miscell. vol. XXXIII n. 7.

Num. 53. — Matthey. L’otto settembre 1846, inno popolare in 8. Miscell. vol. XXXOOO n. 8.

Num. 54. — Poche parole sulla circolare pubblicata in Roma il 24 agosto 1846, Italia 1846 in 12. Miscell. vol. XXXIII n. 9.

[p. 157 modifica]Num. 55. — Checchetelli. La festa degli 8 settembre 1846. Miscell. vol. XXXIII. n. 10.

Num. 56. — A Pio IX pontefice massimo, canzone. Capolago, agosto 1846. in-24. Miscell. vol. XXXIII n. 11.

Num. 67. — Fiori sparsi sulla tomba di Gregorio XVI. Losanna 1846. in-16. È una raccolta di poesie ingiuriose alla sua memoria. Miscell. vol. LVI. n. 4.

Num. 58. — Scritti vari sul governo di Pio IX. Ancona in-16 Miscell. vol. LVI. n. 7.







Note

  1. Vedi Contemporaneo del 12 decembre 1846, n. 1, o num. di saggio
  2. Vedi il Diario di Roma del 15 decembre 1846.
  3. Vedasi il Diario del 12. L’Album n. 43. dell’anno 1846 pag. 357. La storia del Ranalli, vol. I, pag. 77. Il primo numero di saggio del Contemporaneo’, 12 decembre 1846.
  4. Vedi Diario del 16.
  5. Vedi Spada Francesco Di una falsa opinione comunemente abbracciata in Roma drea le inondazioni del Tevere, Roma, Menicanti, 1843, in un opuscolo in-8 di 24 pagina.
  6. Vedi Ranalli, vol. I. pag. 81.
  7. Vedi il Diario di Roma, del 29 decembre 1846.
  8. Vedi il Contemporaneo n. 1 e 2, dei 2 e 9 gennaio 1847.
  9. Vedi il vol. I, Motu-proprio, n. 6.
  10. Vedi Gigliucci, Memorie della rivoluzione romana, vol. I, pag. 44.
  11. Estratto da un opuscolo stampato a Losanna intitolato Cracovia, Carmi di Gabriele Rossetti, Pepoli, Nardini, Ricciardi 1847 in-12.; vedilo nel vol. III, delle nostre Miscellanee, n. 10.
  12. Vedilo nello Miscellanee, vol. XV, n. 10.