Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Ai lettori

Alessandro Spada

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Discorso preliminare

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AI LETTORI





Il ch. Achille Monti, nel suo egregio scritto edito in Roma pe’ tipi del Salviucci nell’anno 1867 e che ha per titolo Memorie intorno la vita del commendatore Giuseppe Spada, tra le altre cose, diceva:

«Ma l’opera che più potrebbe dargli nome durevole è la sua Storia della rivoluzione di Roma e della restaurazione del governo pontificio dal 1 giugno 1846 al 15 luglio 1849, nella quale aveva lo Spada con infinita diligenza ed amore narrati per minuto i molteplici avvenimenti di quegli anni, facendo ricco e pregevole il suo lavoro di molte giudiziose osservazioni e di mille fatti non avvertiti dagli altri storici di quel tempo, e ch’egli sulla faccia de’ luoghi, con accurate ricerche, e giovandosi, per avere notizie, delle persone che il suo stato e il suo animo franco gli avevan dato a conoscere, potè raccogliere per tramandarli a’ futuri; al che fare aveva anche con grande spesa posta insieme una collezione preziosa d’intorno mille volumi di tutti gli scritti e di tutte le opere politiche che allora furon date alle stampe, fra le quali se ne contavan di molte oggimai divenute rarissime.»

Il volume che do ora alle stampe è appunto il primo della Storia di cui parla il Monti, e ch’egli in altro luogo delle suddette Memorie chiama «opera [p. 6 modifica] di gran lena e d’inestimabile pazienza,» e loda siccome «uno scritto ripieno di tanta copia di svariate e curiose notizie tutte fondate sull’autorità di certissimi documenti.»

Nel pubblicare questa Storia, che mio padre incominciò a scrivere nell’anno 1858, credo di adempire un sacro dovere verso di lui, la cui dolce memoria è indelebilmente scolpita nel mio cuore. Egli era solito dire a coloro che lo consigliavan di stamparla: A questo deve pensare Alessandro. Tale sua volontà, tale desiderio ha egli confermato nel suo testamento nel quale peraltro usa a mio riguardo, circa cioè il pubblicare o no per le stampe la sua Storia, parole che provano quel sentir suo delicatissimo che era una delle principali sue doti. Ma non già nel solo desiderio ch’egli aveva di farmi essere l’editore della sua Storia ripongo io il dovere al quale ho detto di voler soddisfare. Questo per me principalmente consiste nell’obbligo che ho, come figlio, di procurare a mio padre fama perenne; ed io porto fiducia che, con la stampa del suo lavoro, gliela procaccerò anche fuori della città che gli diede i natali.

Di fatto vedranno i lettori quanto grande sia stata la sua diligenza nel raccogliere ed ordinare tanti documenti che sarebbero andati dispersi, stante le mutazioni politiche avvenute nel mezzo del 1849, se la sua mano pietosa non gli avesse tolti dal pericolo di esser distrutti, e non gli avesse conservati invece ad utile servigio della storia contemporanea.

Ma, più assai di tutto questo, dovranno i lettori ammirare l’esame coscienzioso, lo studio veramente profondo ch’egli fece intorno gli scritti e le opere politiche, da lui con tanto amore raccolte, all’intento di trarne il racconto de’ fatti dal giugno 1846 al luglio 1849.

Non mi è lecito diffondermi maggiormente in elogi verso il mio genitore. Gl’Italiani, leggendo la sua [p. 7 modifica]Storia, giudicheranno di per sè stessi de’ pregi di che ella va adorna.

Solo mi permetto rivolger loro un consiglio, o piuttosto una viva preghiera.

I lettori, le cui opinioni politiche fosser differenti da quelle professate dal mio buon padre, non si arrestino alla prima pagina, nè gettino lungi da loro il libro sol perchè la mente dell’autore mal si accorda co’ loro pensieri. Le opere non vanno giudicate (massime a questa età che ha in giusto aborrimento l’intolleranza) dopo la lettura di poche linee preliminari, ed alla stregua delle opinioni politiche dell’autore che le dettava; sì bene dopo la intiera e attenta lettura di esse e tenendo conto del valore intrinseco che le informa e le rende pregiate.

La storia politica poi, che è la fedele narrazione degli avvenimenti sociali ch’ebber luogo in un dato tempo ed in un dato paese, allora è buona e degna di lode quando l’autore fu diligente nel raccogliere i vari fatti, ed esatto e veritiero nel ricordarli alle generazioni presenti, e nel tramandarne la memoria a quelle avvenire, affinchè così le une come le altre ne traggano utili ammaestramenti al viver civile.

Ora questi pregi non mancano, per fermo, alla Storia compilata da mio padre; ed essi son per sè sufficienti a raccomandarne la lettura e lo studio anche a coloro che fossero di opinione politica diversa dalla sua. Ai quali poi non credo dover tacere tre cose che, a mio vedere, debbono essere ricordate siccome quelle che sono della massima importanza per uno scrittore d’istorie.

La prima è che mio padre fu dotato d’animo, oltre ogni dire, leale e sincero, di che possono fare testimonianza i molti suoi amici ancora superstiti; la seconda che egli fu mai sempre onestissimo; la terza infine è che la sua condizione sociale era del tutto [p. 8 modifica]libera e indipendente dal governo sotto il quale egli dettava l’opera sua.

Le due prime qualità aggiungon quella fede alle sue asserzioni, di che uno storico ha grande bisogno; l’altra deve dare certezza a’ suoi lettori che la penna di mio padre non era possibile fosse venduta ad alcun partito; e questo per uno storico è il più desiderabile d’ogni pregio.

Ciò premesso, credo che forse non sarà discaro a chi legge sapere qualche cosa intorno la vita dello scrittore della Storia che imprendo a pubblicare, nel che fare voglio esser breve, poichè chi fosse vago conoscerne di più può consultare le Memorie sopra menzionate del Monti.

Nacque Giuseppe Spada in Roma il 21 luglio 1796, e, fatti lodevolmente i suoi primi studî, l’anno 1811 entrò nel banco dei Torlonia, ove e per la bontà della sua indole, e per la volontà grandissima di faticare, e pel desiderio, che aveva ardentissimo, di vincere, per modi onesti, i suoi compagni, procacciossi subito la benevolenza del duca Giovanni Torlonia.

Avuto agio il principe Alessandro, figlio del duca, di estimare l’ingegno e la integrità di mio padre, prima lo elesse ad uno dei procuratori della sua rinomata Casa, incarico molto geloso, e poscia nel 1863 a lui e ad altri cedette generosamente il suo banco.

In questi offici, nè quali durò fino al termine di sua vita, egli ebbe opportunità di far conoscere le belle doti dell’animo e della mente così a’ suoi concittadini, come a’ forestieri che da ogni parte venivan diretti e raccomandati a quella Casa, ed a’ quali lo rendeva oltremodo gradito la conoscenza perfetta delle lingue moderne. In essi è ancor fresca la memoria del suo parlar facile, simpatico, affettuoso, e della cura che si prendeva di render loro più bello e piacevole il soggiornare in questa nostra città.

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Nè si creda che le gravi occupazioni del banco lo distogliesser dagli studî più severi delle lingue antiche e delle scienze. «Che anzi per ben quattro anni egli fu preso di così fervente ardor per lo studio, che nel verno si coricava alle ore due della notte, e dopo il breve sonno di sole cinque ore, a mezzanotte levavasi, e si stava fitto alacremente e senza posa allo studio sino alle ore nove della mattina, quando il suo dovere lo richiamava alle occupazioni del banco.» Così il Monti. E veramente dopo questo tempo egli diede vie più chiaro a vedere come gli studî delle lettere, delle arti e delle scienze avevan formato «le sue più dolci consolazioni.»

Attese anche alla archeologia, e, sentendo per questa scienza passione ardentissima, fu uno di que’ giovani che seguirono il professore Lorenzo Re ed il famoso Nibby nelle loro corse archeologiche per le campagne romane.

Le dolcezze della musica lo fecero essere di questa amantissimo; e nominato a socio dell’Accademia filarmonica, presto ne divenne segretario in premio della sua prontezza nel fare tutto ciò che conferir potesse al decoro e progredimento di quell’utile istituto.

Ma gli studî ai quali si sentì più gagliardamente tratto furono, dopo le vicende del 1849, i politici, cui si diede a tutt’uomo. Frutto di questi studî si furono vari diligenti lavori fra’ quali una Cronaca di tutti gli avvenimenti di Roma dal 16 giugno 1846 al 3 luglio 1849, e circa Trecento biografie di personaggi non romani che primeggiarono nella romana rivoluzione di quel tempo così fortunoso. Ma la principale e più degna opera che ei dettò è la Storia, che ora io rendo di ragion pubblica, intorno al cui merito più innanzi ho fatto parola.

Nel 1849 mio padre fu consigliere municipale, e per la sua onoratezza e abilità nelle cose di finanza [p. 10 modifica]ebbe vari onorifici incarichi dal suo governo. Fra i quali mi sembra dover essere ricordato soprattutto quello di uno de’ sindaci e de’ riformatori della banca del nostro Stato «officio assai grave e difficile nel quale egli insieme con altri seppe maneggiarsi maestrevolmente svelando i mali, e proponendo con la usata sua temperanza efficaci rimedi a cessare i danni patiti, e svolgendo in savi e opportuni regolamenti le giovevoli cognizioni che dai molti studi e dalla pratica degli affari avea saputo raccogliere.» Queste osservazioni fa il Monti nelle sue Memorie1.

Egli si occupò di tale bisogna fino alla sua morte, che avvenne il 3 novembre 1867; e tanto seppe venirne in grazia ad ognuno, che i membri della commissione di riforma, ond’egli aveva fatto parte, nella loro Relazione del 17 marzo 1868, letta all’assemblea generale degli azionisti nel medesimo giorno, rendono bella testimonianza a’ suoi meriti con le seguenti parole:

«È così, o signori, che, soddisfatto per quanto ci fu possibile il nostro mandato, vi restituiamo i poteri che ci conferiste e che cessano d’altra parte anche con la chiusura della sessione dell’assemblea del 1867. Nel che fare non possiamo astenerci dal lasciare espresso in questa relazione il più vivo rammarico per la perdita che nel corso de’ nostri lavori facemmo dell’ottimo collega nostro Giuseppe Spada, il Nestore della romana finanza; uomo che vivamente sentendo la forza del proprio dovere, sebbene grave di anni, fino agli ultimi giorni di sua vita partecipò assai utilmente ai nostri lavori.»

[p. 11 modifica]La franchezza del suo carattere e le rare doti dell’animo suo fecero desiderare l’amicizia di lui non pure a quelli della sua condizione, ma sì anche a persone di un grado assai più illustre del suo. Ed alcuni sovrani, presi dalle sue molte virtù, lo fregiaron d’ordini cavallereschi.

Nudrì nel cuore la gratitudine in un modo tanto più lodevole, quanto più è rara; e ce ne lasciò un’ultima prova nel suo testamento in cui dettò parole affettuosissime verso il principe Torlonia, dal quale aveva ricevuto benefizi che mai non pose in dimenticanza.

Fu ottimo cittadino, e la sua morte fu universalmente pianta da tutti i buoni. Della famiglia fu amorosissimo. La morte di una cara figlia, di 19 anni, che amava con tutta l’anima, lasciò profonda ferita nel suo cuore, che più non rimarginò. A me pure portò grande amore, ed il ricordo che ne conservo vivissimo e la memoria delle parole affettuose e solenni che quell’uomo giusto mi rivolse, due giorni prima della sua morte, mi risuonan sempre alle orecchie. E se mi fanno, oggi come allora, sgorgare dagli occhi lagrime abbondanti, danno però al mio spirito una quiete, una serenità che, a parer mio, formano il patrimonio più dovizioso che un padre possa lasciare ai figliuoli.

«Fu lo Spada d’alta e adusta persona, di volto bello e piacente, di facile eloquio, di modi nobilmente cortesi che lo rendevan grato ed amabile sino a’ più ritrosi e più schivi; fu d’animo oltremodo pietoso, e della sua larghezza e dell’amor suo ebbero a provare, per dirlo col poeta, più oltre che le fronde assaissimi ch’eran tocchi non tanto dal generoso soccorso, quanto dalla modestia tutta cristiana ond’egli sapeva velare i suoi benefici: in ciò assai diverso da molti de’ moderni, che [p. 12 modifica]dimentichi forse o non curanti del precetto dell’evangelo, delle loro beneficenze fanno in ogni luogo risuonar le novelle. Fu amantissimo del decoro e dello splendore di Roma nostra, della quale ebbe sommamente a cuore la verace grandezza; e questa noi riputiamo lode non punto volgare oggidì che pur troppo un soverchio e smodato amor di noi stessi ci tien fitti coll’animo nel fango de’ privati nostri guadagni, senza punto affannarci se la patria non si mantiene in altezza di fama. Consapevole dei propri difetti, che a tutti ne fu conceduta la nostra parte, era mite e benigno inverso gli altrui, né mai usciva dal suo labbro voce men che savia e discreta intorno la vita e il costume di chicchessia; affabile e molto alla mano con tutti, fu sempre accomodato alle voglie degli amici, e del conversar domestico desideroso.»

Pongo fine alle mie parole con queste bellissime del Monti. E a te, padre mio, che ho amato e riverito quanto mai non so dire, sono grato pel nobile esempio di virtù che in vita mi desti. E poiché per mio bene e conforto su questa misera terra non mi fu concesso godere più a lungo di questo esempio; pur desso fu così splendido, che mi rende oltremodo lieto e superbo di potermi dire tuo figlio.


Roma, 1 Luglio 1868.



Alessandro Spada.    

  1. Si posson leggere tanto la Relazione dei sindacatori sopra la banca dello stato pontificio e suo bilancio dell’anno 1866 in data del 15 maggio 1867, letta e distribuita nell’adunanza generale de’ soci il 6 giugno 1867, quanto la Relazione della commissione di riforma, in data del 26 luglio 1867, letta all’assemblea generale degli azionisti il 29 detto.