Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo VIII/Giovanni Mandeville

Giovanni Mandeville

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Capitolo VIII - Giosafatte Barbaro Capitolo IX

[p. 153 modifica]49. Giovanni Mandeville. — Delle relazioni di viaggi pubblicate negli ultimi tempi del Medio Evo, non ve ne ha alcuna che possa competere con quella dell’inglese Giovanni Di Mandeville, per il favore con cui essa venne generalmente accolta da un numero straordinario di lettori, e che non venne meno, dalla fine del secolo XV al principio del secolo XVII, malgrado quaranta e più edizioni in tutte le lingue d’Europa. La ragione di ciò sta precisamente nel carattere favoloso che informa, quasi in ogni capitolo, la relazione del viaggiatore, e rispondeva ammirabilmente al diletto che allora si provava per le storie meravigliose. Tuttavia, dice il più volte citato Vivien de Saint-Martin, riducendo al suo vero valore una rinomanza fondata principalmente sull’ignoranza e sulla credulità, vizi dominanti del Medio Evo, non possiamo disconoscere essere questo libro un curioso monumento della storia geografica del secolo XV, come quello che in sè riassume, per così dire, tutta la geografia popolare di quei tempi. Infatti è ora provato che le sole parti della relazione, le quali si possono considerare come fondate, più o meno, sulla osservazione personale del viaggiatore inglese sono l’Egitto, la Siria e i paesi dell’Eufrate. Per tutto il resto, malgrado le affermazioni del Mandeville, il quale dice di avere veduto la Tartaria, la Persia, l’Armenia, la Libia, l’Etiopia, l’India colle sue innumerabili isole, vale a dire tutto il mondo allora conosciuto, è certo che egli attinse a piene mani negli scritti dei missionari viaggiatori del secolo XIV, e specialmente in quelli di Oderico da Pordenone1.

Quantunque il libro del Mandeville non abbia più in oggi [p. 154 modifica]alcun valore, tuttavia mi pare non inutile accennare qua e là parecchie notizie che non mancano di qualche interesse.

Il Nilo, dice Mandeville, incomincia a crescere quando il Sole entra nel segno del Cancro, raggiunge la sua massima altezza quando il Sole è nel segno della Vergine, e scorre nel suo letto abituale quando il Sole è nella Bilancia. Nel che il viaggiatore inglese poco si allontana da quanto si legge in parecchi luoghi dell’opera di Plinio.

Il gran fiume africano viene, secondo il Mandeville, dal Paradiso terrestre, attraversa i deserti dell’India, e quindi scorre per lungo tratto sotto terra. Risorge ai piedi di un’alta montagna detta Alothe; attraversa l’Etiopia, la Mauretania e l’Egitto in tutta la loro lunghezza, e si getta quindi in mare presso Alessandria. Alcuni autori identificano il monte Alothe del viaggiatore inglese coi Monti della Luna di Tolomeo: meglio fondata pare tuttavia l’opinione di quelli che pongono il monte Alothe nell’Atlante, a ciò indotti da un passo della Imago Mundi di Onorio di Autun (scrittore del secolo XII), in cui è detto: «Geon qui et Nilus iuxta montem Athlantem surgens, mox a terra absorbetur, per quam occulto meatu currens, in littore rubri maris denuo funditur, Aethiopiam circumiens per Aegyptum labitur, in septem ostia divisus, magnum mare iuxta Alexandriam ingreditur»2.

Il Mar Morto, detto altrimenti mare Asfaltite e mare del Diavolo, produce molto allume ed alkatran, vocabolo arabo che significa pece. Esso divide la Giudea dall’Arabia, e sulla riva arabica si innalza la montagna dei Moabiti, detta Karna sulla quale il falso profeta Balaam maledisse, per ordine di Balac re dei Moabiti, al popolo d’Israele.

n Giordano divide la Galilea dall’Idumea, ed è formato dalla unione di due fiumi, Jor e Dan che hanno le loro sorgenti nel Libano: esso attraversa il lago Maron (Merom), e quindi scorre sotto terra inferiormente ad una grande pianura detta [p. 155 modifica]Meldan, cioè mercato, perchè quivi si radunano sovente, per trattare i loro affari, gli abitanti dei dintorni.

Nell’Armenia, che il Mandeville chiama Ermonye, si innalza l’Ararat, perpetuamente coperto di neve. Sulla sua cima è l’arca di Noè, la quale, quando è bel tempo, è visibile alla distanza di sette miglia, conformemente a quanto si legge nella relazione di Haitho: «Et licet propter abundantiam nivium, quae semper in ilio monte reperiuntur tam hieme quam aestate nemo valet ascendere montem illum, semper tamen apparet in eius cacumine quoddam nigrum quod ab hominibus dicitur esse arca».

Tre strade principali conducono alla Terra Santa: la prima, per Joppe, Rames (Ramatha), Lydda o Diospolis, Emmaus, e il monte Modin, mena a Gerusalemme 3. La seconda parte da Costantinopoli, attraversa il braccio di San Giorgio (Vedi pag. 51), e tocca successivamente Pulveral (Paurae o Paurace, non lungi dalla imboccatura dell’Halys nel mar Nero), Cynople (Sinopolis, l’antica Sinope) e molti altri luoghi, di cui è impossibile stabilire la corrispondenza con quelli della Geografia moderna. La terza strada passa per Tursolt (antica Tarsus), il fiume Farfar che sbocca in mare al disotto di Antiochia, Lacuth (Laodicaea), Geble, Tortosa, Gamela (Homs, l’antica Emesa), Maubek (Malbec), Tripoli, Berytus, Akkon, Kaiphas o Castellum Peregrinorum, Caesarea, Joppe ed Emmaus. Ma, aggiunge il Mandeville, si può eziandio giungere a Gerusalemme sempre per la via di terra, cioè attraversando la Tartaria (!), paese sterile e sabbioso, ma abbondante di bestiame, privo di alberi, e soggetto durante la state a temporali e a grandinate spaventose.

Le notizie che il Mandeville dà sulla Etiopia paiono tratte specialmente dal luogo di Isidoro di Siviglia, nel quale si legge: [p. 156 modifica]«Duae sunt Aethiopiae, una circa solis ortum, altera circa occasum in Mauretania. Extra tres autem partes orbis quarta pars trans oceanum interior est in meridie quae solis ardore nobis incognita, in cuius finibus Antipodes fabulose inhabitare produntur»4. Realmente il viaggiatore inglese divide l’Etiopia in orientale e meridionale, ma certamente questa divisione si appoggia sopra un malinteso, giacchè in tutti gli altri autori che trattano della Etiopia si parla sempre di una Etiopia orientale e di una Etiopia occidentale. Così, ad es., in Plinio, in Onorio di Autun, in Vincenzo di Beauvais.

Nella Etiopia scorre un fiume, le cui acque sono molto calde nella notte, molto fredde di giorno. Pressochè tutti gli scrittori pongono questo fiume nel paese dei Garamanti: così, ad es. Solino, il quale dice: «Garamanticum oppidum est Debris fonte miro; qui denique alternis vicibus die frigeat, nocte ferveat, ac per eadem venarum commercia, interdum ignito vapore aestuet, interdum glaciali horrore algescat»5.

Come nelle lontane e sconosciute terre dell’Etiopia gli antichi scrittori ponevano volentieri la dimora di esseri favolosi, così pure il Mandeville, che, a proposito degli abitanti di quella terza parte del Mondo antico, parla degli uomini da una sola gamba, e tuttavia velocissimi al salto, i quali uomini erano detti Sciapodi, perchè, quando è maggiore il caldo del Sole, essi stanno in terra supini, e con l’ombra de’ piedi si proteggono da’ raggi solari6. Nella Etiopia i fanciulli sono di colore bianco, ma diventano neri invecchiando: lo stesso si trova negli antichi autori, ma concordemente applicato a certe tribù della regione indiana. Solino, tra essi, dice: «Apud Ctesiam legitur... esse rursum gentem alteram, quae in inventa sit cana, nigrescat in senectute»7.

Nella stessa parte del mondo trovasi il paese di Saba, già [p. 157 modifica]soggetto ad uno dei tre re Magi. Così dice difatti la leggenda; se non che questo paese di Saba è posto da alcuni nel lontano Oriente e nell’India.

Nell’India sono in uso quelle navi soltanto che non hanno ferro di sorta, poichè questo metallo sarebbe attratto dalla calamita che si trova in mare. Presso gli Indiani e gli Arabi molte tradizioni marittime parlano di isole funeste ai navigatori, perchè la loro potenza magnetica attraeva a sè il ferro che serviva ad unire l’una coll’altra le diverse parti della nave, oppure la rendevano immobile8.

Gli abitanti di Chana (Thana in Odorico da Pordenone), adorano il fuoco, i serpenti, gli alberi: è pure oggetto della loro venerazione la prima persona che essi incontrano al mattino. Questa circostanza è pure accennata da Marco Polo: «Essi (quelli del regno di Felech nella Giava Minore) adorano molte cose, perchè quando alcuno si leva su la mattina, adora la prima cosa ch’ei vede per tutto quel dì» 9.

La città di Polomba (Polumbum in Odorico) è situata nelle vicinanze di una grande montagna. Ai piedi di questa scaturisce una sorgente, la quale cangia di gusto ogni giorno. Chi beve tre volte di quest’acqua a digiuno, guarisce da ogni malattia, e rimane sempre in perfetta salute.

Il Mandeville si ferma volentieri alla descrizione delle meraviglie che Odorico da Pordenone, come si è detto, si trattiene dallo esporre nella sua relazione. Egli passa successivamente in rivista i giganti da un solo occhio nel mezzo del petto (Arimaspi degli antichi, così in Erodoto, III, 116 e IV, 13); gli uomini senza testa, e cogli occhi nelle spalle; gli individui dalla faccia perfettamente piatta, senza naso e senza bocca; i pigmei, alti non più di tre spanne, i quali non vivono al di là di otto anni, e sono industriosissimi, specialmente nel fabbricare stoffe di seta e di cotone; i giganti di trenta piedi di [p. 158 modifica]altezza, i quali abitano in un’isola dell’Asia centrale, mentre i discendenti dai rami primogeniti della famiglia, stanziati in un’isola non lontana, eccedevano di venti piedi quella statura.

Nel paese di Cadilla, ad oriente del Catai, si raccolgono frutti della grandezza e della forma di una zucca, i quali, giunti a maturità, si aprono nel mezzo e lasciano vedere nell’interno un piccolo animale dotato di carne, di ossa e di sangue. Questi animali rassomigliano ad agnelli senza lana, e si mangiano col frutto.

Al regno del Prete Gianni il Mandeville dà il nome di Pentoxyria. Egli ebbe la fortuna di vedere questo Principe cristiano, seduto sul trono e circondato da 12 arcivescovi e 220 vescovi, in un palazzo le cui porte erano di sardonico, le sbarre d’avorio, le finestre di cristallo di rocca, le tavole di smeraldo, e illuminato di notte tempo non da lampade, ma da giganteschi carbonchi.

E, per finirla con queste enormità che il Medio Evo amava e raccoglieva con infantile trasporto, giacchè allora le moltitudini non credevano che le cose incredibili o quasi, e, entusiaste per il fantastico, nulla curavano di ciò che è veramente utile e grande10, accenniamo ancora alle imprese del duca Oggero il Danese, contemporaneo di Carlo Magno, che il Mandeville vide dipinte sulle pareti del reale palazzo di Giava, ed al mare di sabbia che occupa una vasta estensione nel paese soggetto al Prete Gianni, e nel quale le onde si innalzano e si abbassano a somiglianza delle onde dell’Oceano. La qual cosa potrebbe alludere alle dune mobili che caratterizzano non di rado i deserti sabbiosi dell’Asia e dell’Africa: ma il Mandeville aggiunge che in quell’Oceano di sabbia sbocca un fiume di roccie, il quale, abbonda, come l’Oceano stesso, di pesce eccellente.


Note

  1. Histoire de la gèographie, pag. 281.
  2. Si paragoni questa descrizione del Nilo in Onorio di Autun con quella che leggesi in Plinio, libro V, 52, e nella Parte prima, pag. 78.
  3. Conformemente alla credenza popolare allora in voga, il Mandeville pone Gerusalemme nel centro del mondo, e lo prova dicendo che avendo piantata un’asta verticalmente nel terreno riconobbe che a mezzogiorno, nel tempo degli equinozi, essa non gettava ombra da alcuna parte.
  4. Isid., Etym., lib. V, 16, 17.
  5. Solin., cap. XXIX, 1.
  6. Cfr. Plin., Hist nat., VII, 2.
  7. Solin., cap. LII, 28.
  8. Humboldt, Cosmos, IV, pag. 51.
  9. Marco Polo, I viaggi, lib. III, cap. 12.
  10. Branca, op. cit., pag. 62.