Storia dei fatti de' Langobardi/Vita di Paolo Diacono

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Paolo Diacono - Storia dei fatti de’ Langobardi (789)
Traduzione dal latino di Quirico Viviani (1826-1828)
Vita di Paolo Diacono
Tavole Indice II


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VITA

DI

PAOLO DIACONO

COMPILATA

DIETRO AUTENTICHE TESTIMONIANZE

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Paolo Diacono di Aquileja nacque in Cividale del Friuli1 da Varnefrido e Teodelinda Longobardi. Era questa famiglia agiata secondo que’ tempi, e quattro età prima di Paolo s’era in Cividale stabilita. Noi non conosciamo di certo nè l’anno in che nacque Paolo, nè quello della sua morte; puossi però con fondamento congetturare esser nato circa il 720, e morto circa il 799.

Benchè in que’ secoli i nobili, singolarmente Longobardi, non fossero soliti attendere allo studio (che reputavasi effemminatezza), ma all’armi unicamente, tuttavia Paolo per buona fortuna de’ secoli avvenire, e per impulso del proprio talento, si diede ad apprendere i primi rudimenti delle lettere, e come è credibile, nella sua stessa città, alla scuola di Flaviano, il quale a’ quei giorni quivi insegnava grammatica. [p. 172 modifica]

Passati i primi anni dell’adolescenza, fino dalla quale avea dimostrato l’ottima indole, i dolci costumi, e la facilità del suo ingegno, fu dal re Ratchisio chiamato in corte, per educarlo egli, sotto i proprj occhi, colla maggior diligenza. Quivi dallo stesso re apprese non solo la maniera del vivere civile e cristiano, ma fu ancora provveduto di maestri, che nelle sacre scienze lo istruirono, ed in cui divenne uno de’ più intelligenti, e più saputi uomini di quel secolo. Quindi può credersi, che fra questi studj, ed in mezzo a questa educazione egli sentisse la vocazione per lo stato ecclesiastico, nel quale poscia ebbe largo campo di servire alle pie intenzioni de’ suoi re, ed alla Metropolitana chiesa d’Aquileja nel grado onorevole di Diacono2.

Toltosi al mondo il re Ratchisio, e di re grande fattosi semplice e povero monaco in monte Casino, gli fu successore sul trono de’ Longobardi il fratello Astolfo, duca del Friuli.

Che Paolo abbiasi conservata la grazia reale come di Astolfo, così del successore di lui Desiderio, è più che verisimile. Anzi [p. 173 modifica]Ercheniperto, continuatore della storia dei Longobardi, di Paolo ci lasciò memoria, essere stato molto caro a Desiderio, ed avere presso lui avuto il carico d’intimo consigliere3, e quello pure di cancelliere4.

Questi uffizj onorevoli nelle corti d’Astolfo e di Desiderio fecero il Diacono illustre e rinomato; ed i più dotti critici affermano, Paolo essere stato uno de’ principali, e più graditi consiglieri di quest’ultimo re, ed essere stato con lui condotto in Francia da Carlo Magno, allorchè disfatto dai fondamenti il regno Longobardo, e presa Pavia, che ne era la capitale, divenne padrone, e re dell’Italia.

Non sono però gli scrittori d’accordo, ove si tratti di stabilire, perchè Paolo dalla Francia si ritornasse in Italia, e quando entrasse nella congregazione Benedettina in monte Casino.

Nella oscurità de’ tempi, e nella fallacia delle narrazioni dei Cronachisti5 difficilissimo è il ritrovare la vera cagione della disgrazia del nostro autore. Ma per la [p. 174 modifica]impronta non equivoca che porta la storia del carattere di Carlo Magno, non si può apporre che a mera invenzione degli scrittori di quei secoli sanguinosi l'asserzione, che un sì gran re abbia condannato Paolo ad essere tagliato le mani, e privato degli occhi, come reo di congiura. Nè tampoco si può supporre, che il Diacono Longobardo si macchiasse di tanto delitto: bensì è da credersi, ch'egli abbia penato d'imprudenza, e che prevalendosi dell'affetto dimostratogli dal re vincitore, abbia risvegliato ne' suoi desideri e speranze di vedere ricomposte le cose del regno fondato da' suoi maggiori. Un re della tempra di Carlo Magno dovea concitarsi al solo sospetto che si potesse immaginare una cosa contraria ai vasti disegni della sua mente; e non è meraviglia, che per impeto momentaneo di sdegno lo abbia egli relegalo in luogo, dove non potesse più a lui essere pericoloso. Noi però senza progredire più oltre ci atterremo soltanto a quello che è certo; cioè, che il Diacono dimorato avendo non poco in Francia, amato e stimato, dovette poi infelicemente ritornare esule in Italia; dove trattenutosi qualche tempo nell'isola di Tremiti, finalmente trovò la via di fuggirsene a Benevento. Fu quivi ricevuto a [p. 175 modifica]braccia aperte da Arichi, dalla consorte di lui Adelperga (cui era notissimo per la servitù prestata al padre di lei Desiderio), e da tutti i suoi connazionali Longobardi. Stette qualche anno presso questo re, facilmente in qualità di suo primo ministro, molto tempo però impiegando ne’ favoriti suoi studj. Componeva nelle ore dell’ozio bellissimi poemetti latini, coi quali onorava il suo principe, la consorte di lui, e le magnifiche opere e fabbriche loro così sacre come profane. Questi poetici componimenti di Paolo s’ebbero in tale considerazione nella rozzezza e barbarie dei due secoli susseguenti, che non si dubitò di uguagliarlo a Virgilio ed a Catone. In Benevento stessa, ad istanza della principessa Adelperga, come afferma l’Ostiense, fece la continuazione al compendio della storia Romana d’Eutropio, ed inserì nella stessa molte notizie tratte dalla storia civile ed ecclesiastica. E forse quivi diede anche mano al compendio del Vocabolario di Festo, che indirizzò a Carlo Magno con lettera in fronte.

Venne finalmente a morte il principe Arichi, e cinque o sei giorni dopo anche il suo figliuolo Romoaldo. La morte di questi due principi fece nell’anima di Paolo profonda impressione. Considerò seriamente l’ [p. 176 modifica]instabilità delle cose mondane, e deliberò di ritirarsi a vivere in un ordine religioso que’ pochi anni che gli potevano rimanere. Elesse a tal fine il più florido ed il più celebre istituto che allora si fosse; quello di s. Benedetto; e tra monasteri di quest’ordine a quello si volse di monte Casino, che il beato Patriarca avea colla sua presenza santificato. Professò vita monastica sotto la pastorale vigilanza dell’abate Teodomaro, a nome del quale scrisse a Carlo Magno la epistola, che il P. Mabillon ascrive a quest’anno medesimo del suo noviziato. L’avanzare che Paolo faceva nella perfezione andava di pari passo col fervore, con che egli aveva deliberato di ascendere di virtù in virtù. Giunse a possedere in grado eminente l’umiltà, la pazienza, la semplicità, e la carità6; venne ad essere tenuto per l’esemplare perfetto di vita spirituale e santa da tutto quel numeroso congresso di monaci, che sempre vantarono giustamente d’essere i primogeniti ed i più scelti discepoli del santo Patriarca Benedetto, e donde uscirono per lo più i riformatori della vita monacale non [p. 177 modifica]solo per l’Italia, ma per la Francia e per altri regni della terra; ed arrivò a tal fama di vita esemplare e perfetta, che il santo vescovo di Napoli Stefano gl’inviò alcuni chierici a monte Casino, acciocchè da lui acquistassero la cognizione delle scienze sacre e dei libri ecclesiastici, per istruzione e norma del vivere chiericale santo e perfetto7.

In questo sacro ritiro, comunque Paolo dato si fosse allo spirito ed all’esercizio della perfezione, non perdette di mira i passati suoi studj; anzi operò che questi gli servissero per sollevare lo spirito di mezzo alle assidue occupazioni del religioso suo stato. Perciò s’accinse a scrivere la storia de’ suoi Longobardi, o ad istanza dei principi di Benevento, oppure per secondare la propria inclinazione, e l’amore innato pe' suoi, o per la gloria della sua nazione. Quivi scrisse la vita di papa Gregorio il grande, ed un’Omelia aggiunse alle quarantanove di Beda: e probabilmente dettò la storia dei vescovi di Pavia: comentò ed illustrò per comandamento dell’abate Teodemaro la regola fatta a’ suoi monaci dal santo lor Patriarca; [p. 178 modifica]celebrò con in diversi inni e cantici la vita ed i miracoli di questo santo; e ad onore degli altri santi, de’ quali fra l'anno si fanno le feste8; altre molte lettere scrisse in prosa ed in versi agli amici ed a'principi, che lo aveano in grandissima estimazione.

Dappoichè Paolo in monte Casino visse sempre impiegato negli studj nominati, e dappoichè diede prova in quegli anni d’una vita esemplare e santa, omai giunto in età avanzata fu chiamato da Dio a riposare in seno all’eternità. Venne posto sulla tomba di lui un epitafio9, che rammenta in parte le sue opere, ed i cui versi acrostici formano colle iniziali questo elogio: Paulus Laevita Doctor praeclarus et insons. Questo epitafio in cui a Paolo si dà l’attributo di Venerande, e di Sacer, da cui viene pienamente collocato fra beati nel cielo, e coronato di stelle, ed in cui l’autore alle preghiere di esso si raccomanda, ci fa manifestamente intendere, che Paolo per la sua [p. 179 modifica]vita innocente, e per la sua cristiana perfezione, quando passò da questa vita, era dai suoi monaci tenuto in concetto di santo.

Erchemperto dice, che ai tempi del re Desiderio Paolo Diacono fioriya nell’arte grammaticale. Dalle quali parole, se non vuolsi intendere, che Paolo fosse pubblico maestro di lingua latina appresso il re nella città reale di Pavia, come piace ad alcuni, si conosce almeno ch’ei possedeva la maniera di ben parlare e bene scrivere latinamente.

Molte furono sì in versi che in prosa le opere di lui; e molte altre nobili fatiche di questo insigne letterato (come affermano il Padre Arnoldo Wion e Gio: Battista Mari) e in versi, e in prosa aspettano di venire cavate dalla polvere e dalle tenebre, per servire a maggiormente illustrare il nome del Diacono, e quello del Friuli.


  1. Paolo stesso: storia de’ Longobardi lib. IV. cap. 38.
  2. Ved. l’epitaffio composto al Diacono dal suo discepolo Ilderico, presso Lirutti.
  3. Ercheniperto, nonchè l’anonimo Salernitano nel suo cronico al cap. IX.
  4. Lione Ostiense nella Cronaca Casinese lib. I. cap. XV.
  5. Giovanni Monaco, e Arderico, presso il Murat. Rer. Ital. Tom. I. lib. I. pag. 365.
  6. L’anonimo Salernitano nella sua Cronaca al cap. 27. Ilderico nel suo epitafio a Paolo ec.
  7. Giovanni diacono nella Cronaca dei vescovi Napoletani tom. I. part. II. pag. 312.
  8. Fu Paolo uno de’ più eleganti poeti che il mondo avesse in quel secolo. Il P. Wion, ed i dotti comunemente attribuiscono al Diacono l’inno che si canta nella festa di S. Gio: Battista: Ut queant laxis resonare fibris etc.
  9. Scritto dal suo grato discepolo Ilderico, e portalo per intiero dal Lirutti.