Storia dei fatti de' Langobardi/Prefazione
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Traduzione dal latino di Quirico Viviani (1826-1828)
Libro I | ► |
PREFAZIONE
La storia di Paolo Diacono contiene le memorie originali di quei Longobardi, che dalle selve del settentrione vennero a stabilirsi sotto il nostro cielo, e mescolati colle generazioni degl’italiani crearono un popolo nuovo nella storia moderna.
In poche parole la storia de’ Longobardi è la storia de’ nostri padri, e perciò essa ci appartiene molto più che non quella delle antiche nazioni Greca e Romana. Gli scrittori tutti eruditi e sagaci, fra quali primeggiano il Muratori ed il Gibbon, concordano pienamente nell’opinione, che (fatte le debite eccezioni ad alcuni favolosi racconti, de’ quali non è monda alcuna opera istorica) la narrazione fatta da Paolo delle gesta e delle istituzioni della nazione Longobarda, debba ritenersi per fedele, e sola veracemente autorevole. Gli Annali d’Italia, e la Storia della grandezza e della decadenza de’ Romani durante il periodo storico di più di due secoli, mostrano ad ogni passo la sincerità di questo giudizio, e manifestano chiaramente col fatto, che senza l’opera del nostro Diacono povera sarebbe ed ignuda questa parte della storia Italica. L’originale di Paolo fu, com’era di dovere, pubblicato in parecchie edizioni del secolo decimo sesto, dietro l’autorità di molti codici; ma un testo così prezioso per gl’Italiani meritava d’essere fatto conoscere anco in una lingua che ripete il principio del suo sviluppo, e l’origine di gran numero dei suoi vocaboli dalla mutazione morale e politica, che avvenne in Italia dopo la ruina dell’impero Romano. Forse a tale scopo mirando Lodovico Domenichi voltò in lingua volgare l’opera di cui parliamo, e la fece di pubblico diritto colle stampe del Giolito nel 1548. Ma il fatto (se m’è lecito il dirlo) non corrispose alla buona intenzione; perchè il Domenichi, oltre all’aver seguito un testo infedele, adoperò certa sintassi e certi modi di dire, che alterano e stravolgono ad ogni linea, anche dov’è più ovvio, il senso dell’originale. E questa sentenza è pienamente confermata dal pubblico, che lasciò in una quasi totale dimenticanza l’opera del Domenichi.
Vedendo adunque permanente questo vuoto nell’italiana letteratura, mi venne in animo di tentar di supplirvi con una nuova versione italiana dell’istorico Longobardo. Se io sia o no riuscito nel mio divisamento, non tocca a me il deciderlo; ma ad uomini dotti e colti nella lingua italiana, al giudizio de’ quali interamente mi affido. A me spetta solo il dar contezza de’ modi tenuti nell’esecuzione del mio lavoro.
Io ho esaminato accuratamente le più stimate edizioni latine del Paolo Diacono: e fattine i dovuti confronti, mi sono appigliato alla Plantiniana del 1595. Con questa poi ho ragguagliate parecchie varianti lezioni tratte da codici manoscritti; e dove mi parve che le varianti fossero più conformi all’indole dell’autore, ho preferito sempre il senso di queste a quello della lezione comune.
La traduzione fu accompagnata da note critiche illustrative, nelle quali sono dichiarate con tutta esattezza le fonti delle notizie di cui mi sono giovato. Queste note hanno più oggetti; cioè:
1. di segnare le differenti lezioni de’ codici, per giustificare la scelta fattane dal traduttore.
2. di stabilire l’ordine della cronologia dove trovasi errato.
3. di far conoscere l’indole e i costumi della nazione Longobarda.
4. di metter in evidenza i caratteri di alcuni grandi personaggi, de’ quali l’autore non dà che un’imperfetta notizia.
Quanto allo stile da me seguito nella versione del testo, ho procurato di adattarmi possibilmente al tenore della lingua italiana nella sua prima semplicità. Paolo Diacono, benchè vissuto in tempi, ne’ quali egli era quasi il solo che avesse familiarità colle lettere, ha nondimeno uno scrivere che non è privo di eleganza, come latino; e dall’altro canto ha molto dell’andamento dell’antico italiano. Onde io nel convertirlo nel nostro idioma ho creduto ben fatto di attenermi fedelmente alla natura dell’espressione; schivando per quanto ho potuto la servile pedanteria delle parole antiquate ed oscure, perchè, secondo il mio parere, la chiarezza è la primaria qualità dello stile. Nei nomi proprj particolarmente delle città, ho servito molto all’originale per far osservare con l’opportuna corrispondenza de’ nomi notati a piè di pagina, e che sono oggi in uso, le alterazioni a cui andarono soggette queste voci nel passaggio da una ad un’altra lingua.
Or dirò dello stile delle annotazioni. Quelle che sono di pura erudizione, le ho trattate col solito modo de’ commentatori; nelle altre dove si deve far uso della critica, ho cercato di trarre profitto dai lumi e dalla filosofia del presente secolo. A maggiore utilità poi e diletto de’ leggitori ho deliberato di aggiungere all’opera alcune digressioni, che servono a maggiore rischiarimento di certi punti della storia di Paolo; alle quali digressioni darà fine la vita dell’autore, e la serie cronologica dei re Longobardi.
Esposto l’ordine del mio lavoro non chiedo altro da chi leggerà se non che conforto per quei vantaggi, che potesse aver partorito la mia fatica, e indulgenza per gli errori che avessero potuto sfuggirmi; il che mi sarà facilmente concesso da chi sa che alcun’opera d’uomo non può essere in tutto e in ogni sua parte perfetta.