Storia degli antichi popoli italiani/Prefazione dell'autore
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PREFAZIONE
Dopo ventidue anni da che io posi a luce l’Italia avanti il dominio dei Romani, fattosi cammino nella scienza e nella vita, ritorno a calcare la stessa via porgendo al pubblico, con più maturo giudizio, una Storia degli antichi popoli Italiani. Non sembrerà ambizioso il titolo per me dato a quest’opera qualora si consideri, che lo scopo di essa si è di riempiere, quanto è possibile, uno de’ grandi spazi ancor vacui nell’istoria dell’umanità; porre in nuova luce i fatti e i secoli passati; mostrare le forme sociali, sì differenti dalle nostre, che in quella prisca età reggevano le opinioni ed i costumi de’ padri; esporre col paragone delle dottrine contemporanee divine e umane com’essi partecipavano veramente dell’unica sapienza e civiltà del mondo antico: in fine per quali mutazioni politiche e morali di mano in mano eglino cangiarono di fortune, di condizione e di stato.
Una parte di questa storia è senza dubbio congetturale al pari di tutte l’altre istorie delle nazioni più antiche. Ma non per questo ella parrà aver meno solido fondamento di vero. Ufficio della critica si è di ponderare cautamente non tanto le tradizioni dell’antichità poste avanti da una generazione di scrittori, per lo più ignari del nobile fine della storia, quanto di ricercare nella natura stessa dell’uomo e delle umane cose l’ordine più veritiero dei fatti, e le cause stesse che muovono per leggi immutabili l’umanità nel corso e ricorso della vita sociale. La ragion critica non può tuttavia rinvenire cose nuove; nè tali che facciano cessare ogni controversia, ogni quistione. Può ben ella rimuovere buona parte delle falsità o degli errori, che sì spesso han traviata la storia degli uomini dal retto sentiero: può meglio dare a conoscere e più convenevolmente determinare gli avvenimenti narrati o dubbiosi, o incerti, o insussistenti; ma posti una volta i termini della credenza istorica dee la ragione correre francamente a sua meta, e in questa fermarsi.
Chiunque tiene il numero delle citazioni per arte di ragionare può tralasciare di leggere il mio libro. Ma chi vuol rendersi conto de’ grandi principj e degli ordini che trassero l’uomo tra di noi a vita civile; in che forma vi si radicarono; e di qual maniera vi portarono lungamente buoni frutti a mantenimento della prosperità e quiete interna, e della potenza al di fuori, troverà in questo argomento di storia materia di considerazioni tanto più importanti, quanto è maggiore oggigiorno, in questo secolo di procelle, il bisogno di porgere ad animi travagliati le lezioni salutari dell’esperienza, e di grande avvedutezza di senno. In tanto progresso di forza morale, in tanti movimenti vari della fortuna, corre l’umanità spedita a benavventurosi avanzamenti, ed a quei sommi destini, a cui la conduce una provvidenza eterna. Ma la filosofia, penetrando ella stessa addentro negli studi della erudizione e della storia, ne insegna altresì a ben apprezzare i mezzi di civile miglioramento adoperati dalla sapienza antica, non che a vie meglio dirizzare quelli della intelligenza moderna al sano godimento d’una più perfetta civiltà. E qui considerando, secondo il disegno di queste istorie, quanto l’italica nazione contribuiva fin dai più remoti secoli ad accrescere colle sue proprie forze, e ad estendere per l’Occidente la luce che sorgeva dalle sole regioni dove la religione, l’umanità e la scienza posero sue prime radici, si farà pure manifesto a’ miei lettori di quale e quanta importanza nell’ordine degli umani eventi sieno le nostre civili origini.
Allora che io presi a scrivere dell’Italia non mi sembrava che avessi dovuto, come ho fatto, ritornare al mio argomento primiero. Però dacchè altri documenti classici venuti a luce, e le numerose quanto inaspettate scoperte fattesi in questi ultimi anni per tutto il suolo etrusco, ampliarono la via, dando nuovo e più largo incremento a questi studi, la mia prima opera trovavasi insufficiente al bisogno della scienza istorica.
Per essa io dava opera alla ricerca e al discernimento della verità, oppugnando con franchezza di spirito, pari all’amore del retto, tutto quanto di favoloso, di poetico e di falso, toglieva alla prima storia italica veracità e dignità: io poneva così nuove fondamenta, e posso bene di presente compiacermi di avere il primo dato impulso a’ nuovi studi, che hanno di tanto arricchita e nobilitata non solo la filosofia della storia italiana antica, ma quella ancora del diritto. La nuova opera che presento al pubblico è di tutt’altro tenore. Poichè essa mira non più a demolire, ma sì bene a ricomporre la storia degli uomini, delle opinioni, de’ costumi: in somma, a dimostrare, quanto può l’indagatore, quale si fosse l’essere civile, morale, e intellettuale de’ padri nostri nella prima età, sì intimamente collegata con la civiltà delle più famose nazioni del tempo antico. Ho preso a tal uopo la penna con un sincero amore per la verità, e con zelo per la patria, benchè senza parzialità in favore d’alcun popolo, d’alcuna nazione: senza predilezione per Etruschi, senza rancore contro Greci e Romani; però con affetto grande a tutto ciò ch’è salutare e buono, con odio per tutto quel ch’è dannevole e vergognoso, con rispetto e venerazione per qualunque reggimento sano e proficuo alla felicità del genere umano, con sdegno e con aborrimento infine del mal costume, della rivolta e della tirannia.
Ampliando qui distesamente un argomento di storia per me trattato altra volta, avverrà che alcune cose già da me dette vi sieno qua e là replicate, quanto sol comportava o l’unità del soggetto, o l’ordine degli eventi, o la conformità di cose descritte. Per taluni che discorrono intorno alle italiche antichità è facile assai nello scrivere trarsi innanzi con sentenze pubblicate da altri, figurandosi aver fatta un’opera compilando le altrui. Benchè di questa taccia vadano immuni quei valenti, che per acute indagini hanno dato alla storia italica, dopo il principio di questo secolo, maggiore ampiezza, lustro e utilità. Di che bastino, per tacer d’altri, i nomi illustri di un Niebhur e di O. Muller. Ma io tengo per vero, che nella scienza delle sue nazionali storie non abbia Italia lezioni da ricevere di fuori. Ella pensa da se profondamente, poichè ella in questo tanto efficacemente s’adopera; e perchè innanzi a chiunque altro ella ha saputo, già gran tempo, porre le basi della sua propria storia critica, rischiararla, e illustrarla, per opera massimamente del nostro Vico. Può e vuole l’Italia, sopra qualche punto, giovarsi della erudizione altrui; ma tanto per la sua filosofia, quanto per il suo nazionale spirito, e per ingegno, ella non ha d’uopo che di se stessa. Noi apprezziamo e laudiamo di buona voglia lo straniere onorando: però non senza sorriso d’indulgenza vediamo tuttodì ritornarci a casa in altra lingua quelle medesime dottrine che sono, per inalienabile retaggio, patrimonio di questa terra.
Non ignoro che alcune mie opinioni dissentono da quelle divolgate per altri scrittori. Non per questo io le condanno; ma guidato nella composizione di quest’opera unicamente dall’amor del vero, e da spirito scevro affatto da parte, non ho detto cosa di cui non avessi intera persuasione. La diversità delle opinioni nelle materie congetturali giova ella stessa alla ricerca della verità, non meno che al progresso della scienza. Tutta volta in un secolo di tanta luce critica è tempo ormai di togliere l’antica storia italiana da quella tal miseria, cui si trova assoggettata, di andar sempre vagando nelle indagini delle nostre origini, di che sente noia e stanchezza; e ciò per solo fatto di scrittori, che peccano del vizio dei sofisti, con rimettere in campo qualunque combattuta ipotesi, e porre sempre in quistione quella ragion filosofica dei fatti umani, in che l’intelletto si riposa. A questo fine principalissimo di tor via dall’indefinito e dal vago l’istoria de’ secoli più lontani, e non di meno sì tanto importanti a bene comprendersi, tende soprattutto l’opera presente. I principj meno incerti della civiltà italica, le vicende maggiori dei popoli nostrali, la loro mischianza cogli stranieri, e le grandi conseguenze civili e morali che indi ne derivarono, sono qui esposte e collegate insieme con legge d’unità fondamentale, e con quella maggiore evidenza, o più tosto criterio di verità, che può ottenersi dalla probabilità istorica. Non tutte le cose narrate, non tutti gli avvenimenti, non tutti i fatti parranno sicuri o certi ugualmente: ma, son elleno forse più avverate o più certe le storie che abbiamo delle grandi monarchie dell’Asia, dell’Egitto e della Grecia nelle sue età primitive?
Parte essenzialissima del mio lavoro sono i copiosi monumenti figurati, per me raccolti ed esposti nell’Atlante. Per essi molte cose che nella mia precedente opera avevo toccate a modo di congettura, ha preso in questa faccia di vero. La forza di autorità che portano in se cotesti nazionali monumenti rende non solo ragione di fatti importanti, ma dà pure alle volte fondamento del mio dir nelle storie. Poichè in questa sorta di documenti trovansi più che altrove con sicurezza di verità segnali della credenza, delle opinioni e dei costumi del popolo. La storia medesima delle arti del disegno, sì strettamente congiunta con quella dello spirito umano, vi troverà esemplari di gran valore, e monumenti d’ogni maniera dell’arte italica fedelmente rappresentati. A ottenere questo intento grave in vero è stato il peso della mia fatica, e tale che per condurla al suo termine mi fece mestieri di tollerare le più grandi difficoltà, somma spesa, viaggi e disagi molti. Di averle superate queste difficoltà senz’ajuto di nessuna sorte, e senza sussidio altrui, io son lieto. È stato questo per me questo un lavoro di puro affetto e di genio; sostenuto soltanto per la brama di far cosa onorevole alla patria ed a me. Movendo di nuovo la penna per più illustrare questo bel tema di storia, non indegno certo della filosofia del nostro secolo, ho dovuto di necessità interrompere la dettatura di un’altra mia opera eminentemente nazionale, da gran tempo ordita: voglio dire la Storia del commercio delle repubbliche marittime Italiane. Se il cielo mi concede vita e salute; se i tempi sien meno infausti, o gli animi men turbati; non dispero poter porgere a’ miei connazionali quest’ultimo tributo di gratitudine e d’affetto.