Pagina:Leopardi, Giacomo – Canti, 1938 – BEIC 1857225.djvu/212: differenze tra le versioni

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e che faccia meno maraviglia del veder la gente effeminata. Ma lasciando questo, considera primieramente che la voce «margine», in quanto significa «estremità», «orlo», «riva», ha l’uno e l’altro genere; e secondariamente che «margine» e «margo» non sono due parole, ma una medesima con due varie terminazioni, quella del caso ablativo singolare di «''margo''» voce latina, e questa del nominativo. Dunque, siccome dicendo, per esempio, «imago» in vece d’«imagine», tu non fai mica una voce mascolina, ma femminina, perché «imagine» è sempre tale; parimente se dirai «margo» in iscambio, non di «margine» sostantivo mascolino, ma di quell’altro «margine» ch’è femminino, avrai «margo» non già maschio, non già ermafrodito, ma tutto femmina bella e fatta in un momento, come la sposa di Pigmalione, che fino allo sposalizio era stata di genere neutro. O pure (volendo una trasmutazione piú naturale) come l’amico di Fiordispina; se non che questa similitudine cammina a rovescio del caso nostro in quanto ai generi.
e che faccia meno maraviglia del veder la gente effeminata. Ma lasciando questo, considera primieramente che la voce «margine», in quanto significa «estremitá», «orlo», «riva», ha l’uno e l’altro genere; e secondariamente che «margine» e «margo» non sono due parole, ma una medesima con due varie terminazioni, quella del caso ablativo singolare di «''margo''» voce latina, e questa del nominativo. Dunque, siccome dicendo, per esempio, «imago» in vece d’«imagine», tu non fai mica una voce mascolina, ma femminina, perché «imagine» è sempre tale; parimente se dirai «margo» in iscambio, non di «margine» sostantivo mascolino, ma di quell’altro «margine» ch’è femminino, avrai «margo» non giá maschio, non giá ermafrodito, ma tutto femmina bella e fatta in un momento, come la sposa di Pigmalione, che fino allo sposalizio era stata di genere neutro. O pure (volendo una trasmutazione piú naturale) come l’amico di Fiordispina; se non che questa similitudine cammina a rovescio del caso nostro in quanto ai generi.
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|width=70px|V. 2.||Le varie note
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|[v. 78]||dolor non finge.
|[v. 78]||dolor non finge.
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Cioè «non forma», «non foggia», secondo che suona il verbo «fingere» a considerarlo assolutamente. Non è roba di Crusca. Ma è farina del {{AutoreCitato|Giovanni Rucellai|Rucellai}} già citato piú volte. «Indi<ref>''Api'', v. 986 e seguenti.</ref> potrai veder, come vid’io, Il nifolo, o proboscide, come hanno Gl’indi elefanti, onde con esso {{spaziato|finge}} [parla dell’ape] sul rugiadoso verde e prende i figli». E dello {{AutoreCitato|Sperone Speroni|Speroni}}<ref>''Dial. d’Amore''. ''Dialoghi'' dello Sper., Ven. 1596, p. 25.</ref>. «Egli al fin trovi una donna ove Amore con maggior magistero e miglior subbietto, conforme agli alti suoi meriti lo voglia {{spaziato|fingere}} ed iscolpire». E similmente del
Cioè «non forma», «non foggia», secondo che suona il verbo «fingere» a considerarlo assolutamente. Non è roba di Crusca. Ma è farina del {{AutoreCitato|Giovanni Rucellai|Rucellai}} giá citato piú volte. «Indi<ref>''{{TestoCitato|Le api|Api}}'', v. 986 e seguenti.</ref> potrai veder, come vid’io, Il nifolo, o proboscide, come hanno Gl’indi elefanti, onde con esso {{spaziato|finge}} [parla dell’ape] sul rugiadoso verde e prende i figli». E dello {{AutoreCitato|Sperone Speroni|Speroni}}<ref>''{{TestoAssente|Dial. d’Amore}}''. ''{{TestoAssente|Dialoghi}}'' dello Sper., Ven. 1596, p. 25.</ref>. «Egli al fin trovi una donna ove Amore con maggior magistero e miglior subbietto, conforme agli alti suoi meriti lo voglia {{spaziato|fingere}} ed iscolpire». É similmente del
{{AutoreCitato|Annibale Caro|Caro}} nell’''Apologia''<ref>Parma 1558, p. 25.</ref>; la quale, avanti che uscisse, fu riscontrata coll’uso del parlar fiorentino e ritoccata secondo il bisogno da quel medesimo <ref>Caro, ''Lett. famil.'', ed. Comin. 1734, vol. {{Sc|ii}}, let. 77, p. 121.</ref> che nell’''Ercolano'' fece la famosa prova di rannicchiare tutta l’Italia in una porzione di Firenze. «E le [voci] nuove, e le nuovamente {{spaziato|finte}}, e le greche, e le barbare, e le storte dalla prima forma e dal propio significato tal volta?» Dove
{{AutoreCitato|Annibale Caro|Caro}} nell’''Apologia''<ref>Parma 1558, p. 25.</ref>; la quale, avanti che uscisse, fu riscontrata coll’uso del parlar fiorentino e ritoccata secondo il bisogno da quel medesimo <ref>Caro, ''{{TestoAssente|Lett. famil}}.'', ed. Comin. 1734, vol. {{Sc|ii}}, let. 77, p. 121.</ref> che nell’''{{TestoAssente|Ercolano}}'' fece la famosa prova di rannicchiare tutta l’Italia in una porzione di Firenze. «E le [voci] nuove, e le nuovamente {{spaziato|finte}}, e le greche, e le barbare, e le storte dalla prima forma e dal propio significato tal volta?» Dove
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