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e che faccia meno maraviglia del veder la gente effeminata. Ma lasciando questo, considera primieramente che la voce «margine», in quanto significa «estremitá», «orlo», «riva», ha l’uno e l’altro genere; e secondariamente che «margine» e «margo» non sono due parole, ma una medesima con due varie terminazioni, quella del caso ablativo singolare di «margo» voce latina, e questa del nominativo. Dunque, siccome dicendo, per esempio, «imago» in vece d’«imagine», tu non fai mica una voce mascolina, ma femminina, perché «imagine» è sempre tale; parimente se dirai «margo» in iscambio, non di «margine» sostantivo mascolino, ma di quell’altro «margine» ch’è femminino, avrai «margo» non giá maschio, non giá ermafrodito, ma tutto femmina bella e fatta in un momento, come la sposa di Pigmalione, che fino allo sposalizio era stata di genere neutro. O pure (volendo una trasmutazione piú naturale) come l’amico di Fiordispina; se non che questa similitudine cammina a rovescio del caso nostro in quanto ai generi.

V, 2. Le varie note
[v. 78] dolor non finge.

Cioè «non forma», «non foggia», secondo che suona il verbo «fingere» a considerarlo assolutamente. Non è roba di Crusca. Ma è farina del Rucellai giá citato piú volte. «Indi1 potrai veder, come vid’io, Il nifolo, o proboscide, come hanno Gl’indi elefanti, onde con esso finge [parla dell’ape] sul rugiadoso verde e prende i figli». E dello Speroni2. «Egli al fin trovi una donna ove Amore con maggior magistero e miglior subbietto, conforme agli alti suoi meriti lo voglia fingere ed iscolpire». È similmente del Caro nell’Apologia3; la quale, avanti che uscisse, fu riscontrata coll’uso del parlar fiorentino e ritoccata secondo il bisogno da quel medesimo 4 che nell’Ercolano fece la famosa prova di rannicchiare tutta l’Italia in una porzione di Firenze. «E le [voci] nuove, e le nuovamente finte, e le greche, e le barbare, e le storte dalla prima forma e dal propio significato tal volta?» Dove



  1. Api, v. 986 e seguenti.
  2. Dial. d’Amore. Dialoghi dello Sper., Ven. 1596, p. 25.
  3. Parma 1558, p. 25.
  4. Caro, Lett. famil., ed. Comin. 1734, vol. ii, let. 77, p. 121.