Specchio di vera penitenza/Trattato della superbia/Capitolo secondo
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CAPITOLO SECONDO.
Dove si dimostra donde la superbia nasce.
La seconda cosa che bisogna dire della superbia, si dond’ella nasce. E dicono i savi ch’ ella nasce principalmente dall’amore propio, o vero (ch’ è una medesima cosa) dalla propia volontà dell’uomo, secondo la quale l’uomo piace a sé stesso, e la quale, stanziando, contraddice alla volontà di Dio. Onde santo Agostino, nel libro della Città di Dio, dice ch’ e’ superbi s’appellano a sé medesimi piacenti; cioè a dire che si compiacciono secondo la loro propia volontà: la quale cosa molto dispiace a Dio, al quale si conviene la propria volontà. Onde che adempie la propria volontà, toglie a Dio quello ch’è suo propio, e pecca per superbia; come fece il primo Angelo1 e ’l primo uomo. Onde la superbia nacque in quello altissimo luogo del cielo empireo,2 e di quello nobile e alto lignaggio della angelica natura; e non trovando niun’altra creatura a suo paraggio, alla quale, per sua condizione altiera maritare si potesse, al padre suo, del quale era nata, non ligittimamente si maritò. La qual cosa, però che fu fatta contro a suo volere, tanto ebbe per male il sommo principe Iddio, che l’uno e l’altro cacciò di cielo, isbandeggiandoli di tutto il suo reame, sanza mai potervi ritornare; e fecegli abitanti sanza termine3 nello scuro e doloroso regno dello ’nferno: dove non legittimi figliuoli ma figliuole inlegittime ingenerate, la madre insieme con loro per tutto il mondo, di volere dello incestuoso padre, svergognatamente discorrendo, traggono ogni uomo, di qualunche condizione e stato sia, che trarre si lasci, quali cogl’impudichi sguardi, quali con disonesti sembianti, quali con disideroso diletto e quali4 colle promesse larghe, sotto nome di ligittimo matrimonio, al loro abbominevole adultèro, del quale è nata e continovamente nasce quella generazione adultera de’ crudeli e scostumati vizi, che tutto il mondo ha già corrotto e guasto. Nasce ancora la superbia nell’uomo da’ beni della grazia. Beni naturali sono o nel corpo o nell’anima, o comune all’uno e all’altro.5 Nel corpo sì com’è sanità, fortezza, allegrezza, bellezza, nobilità, libertà, essere destro e accorto, bene costumato, giocondo, bello parlatore, avvenente, bene complessionato, piacente, orrevole, appariscente e adorno. Beni naturali dell’anima sono: nobile ingegno collo intelletto sottile, buona memoria, naturale disposizione e attitudine alle vertudi, alle scienze, all’arti; senno, avvedimento, discrezione, prudenza, solerzia, buono giudicio; sapere bene eleggere e prendere il migliore partito, buona immaginativa, buona apprensiva,6 buona riminiscenzia, buona ritenitiva, essere sollecito e studioso. Beni della fortuna sono le cose che sono fuori di noi, che non sono in podestà dell’uomo, e possonsi perdere, o voglia altri o no: come sono le ricchezze, le delizie, gli stati,le degnitadi, la fama, l’onore, la grazia umana, la gloria mondana. I beni della grazia sono: la grazia di Dio, colla carità, coll’umiltà e coll’atre virtudi; la sapienza col dono della profezia, delle lingue, del fare miracoli, cogli altri doni dello Spirito Santo. Di tutti questi beni nasce spesse volte la superbia; chè l’uomo sentendosi avere alcuna bontade, e non riconoscendola da Dio umilmente, dal quale è ogni bene, se ne leva in superbia, imputando quella cotale bontade alla sua propia virtude e a suo merito, vantandosene, riputando di dovere esserne riverito e onorato, e in molti altri modi insuperbendone: come si mostra nel seguente capitolo. Onde, come dice santo Agostino in sentenzia nella Regola: La superbia ha questa differenza dagli altri vizi che gli altri vizi fanno fare le male operazioni, e delle male operazioni si notricano e nascono; ma la superbia nasce eziandio delle buone opere e del bene, e fàlle7 perire. E questo si potrebbe provare per molti e belli essempli e detti della santa Scrittura e de’ santi dottori; come si dimostra in questo nostro libro fatto in latino per le persone litterate, e ancora più innanzi se ne dirà. Qui basti quello che si dice per ammaestramento di coloro che non sanno lettera, acciò che conoscano il vizio e ’l peccato, e acciò che se ne guardino e che se ne sappiano guardare; e avendoci offeso, bene distintamente confessare.
Note
- ↑ Nel Codice nostro: illucifero.
- ↑ Nel medesimo: empirio.
- ↑ Mancano all'edizione del quattrocento e a quella del Salviati queste ultime parole: e fecegli ec.; al Manoscritto, anche l'altre che precedeono, cominciando da sanza mai.
- ↑ Ediz. 95 e 85: et alcuni.
- ↑ Così nei testi a penna ed impressi; onde fa d'uopo interpretare: all'una cosa ed all'altra.
- ↑ É forse errore del copista delle Murate: apprensura.
- ↑ Non bene il Manoscritto: e fallo.