Specchio di vera penitenza/Distinzione seconda/Capitolo primo

Distinzione seconda - Capitolo primo

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CAPITOLO PRIMO.


Dove si dimostra che l'amore della giustizia c'induce a fare penitenzia.


La prima cosa che c’induce a fare penitenzia si è l'amore della giustizia: ed è giustizia una virtù che tiene la bilancia iguali1 e diritta, e rende a ciascuno suo debito; la quale ogni animo diritto dee amare in sè e in altrui. Ora, come l’uomo che adopera bene e virtuosamente vive, merita, secondo dirittura di giustizia guidardone e premio; così l’uomo che adopera male e viziosamente vive, merita tormento e pena. E imperò, con ciò sia cosa che tutti siamo mafattori,2 e pecchiamo disubbidendo alla legge di Dio (chè non è altro peccare, come dice santo Ambruogio, che trapassare la legge di [p. 14 modifica]Dio e disubbidire a' suoi comandamenti), séguita che giustamente noi meritiamo tormento e pena; e dê, secondo la divina giustizia, la pena per lo peccato essere eterna e sanza fine. Ma la divina pietà, benignamente guardando l'umana fragilità, mitiga la severità e 'l rigore della giustizia colla dolcezza della sua misericordia; e la pena eterna iscambia in pena temporale a coloro che si pentono d'avere mal fatto, e peccando avere offeso la divina bontade: onde ha provveduto del sacramento della Penitenzia, la quale ha virtù infinita dallo infinito merito della passione di Cristo; e puníscesene il peccato temporalmente, e l'uomo si riconcilia con Dio per la Penitenzia, che con virtù infinita la colpa e la pena dall'uomo rimuove e toglie: e questa è la giustizia che il peccato punisce, e la quale noi dobbiamo amare, prendere e tenere, avvegna che pochi amadori truovi. Onde il profeta Ieremia se ne rammarica, dicendo: Non est qui poenitentiam agat super peccato suo: Non è chi faccia penitenzia del suo peccato. Or che pietà è questa e che cordoglio, qual confusione e qual vergogna, che non si truova chi per l'amore della giustizia si guardi di peccare o si penta dell’avere peccato! Almeno quello che non si fa per amore, si facci per timore della severa giustizia di Dio.

Leggesi, et è scritto dal3 venerabile dottore Beda, che, negli anni domini ottocento sei, uno uomo passò di questa vita in Inghilterra, e innanzi che fosse seppellito, l'anima tornò al corpo. E spaurito e sbigottito per le pene e per li gravi tormenti che avea veduti sostenere a'peccatori nell'altra vita, faccendogli gli amici e parenti carezze e festa, non si rallegrava niente; ma subito, tuto spaventato, si fuggì al diserto. E faccendo allato a uno fiume una picciola cella, ivi abitò infino alla morte; dove s'afflisse in penitenzia in tale [p. 15 modifica]maniera, che vestito entrava nel fiume infino a gola, quando era il maggiore freddo; e uscendone fuori, stava co’ panni in dosso così molli al vento e al freddo, e facevagli agghiacciare alle carni; e poi iscaldava una grande caldaia d’acqua, nella quale bogliente entrava colle carni e con que’ panni ghiacciati; e poi anche rientrava nel fiume, e poi nella caldaia; e così facea tutto giorno, e perseverò insino alla fine. E quando era domandato perché così crudelmente si tormentava, rispondea, che s’eglino avessono veduto quello che vide egli, farebbono il somigliante, o più che non facea egli; e che volea temporalmente fare giustizia di sè, innanzi che altrove gli convenisse sostenere quello che avea veduto sostenere altrui sanza fine; chè la sua pena, per rispetto di quella che veduto avea, era leggiere, e anche dovea avere tosto fine. E di questo si parlerà più propiamente nel seguente capitolo.

Note

  1. Così, coll'edizione del 25, ha il nostro Manoscritto.
  2. L'edizione del 95: malefactori.
  3. Il Testo da noi preso a guida: Leggesi e scrivesi del ec., con modo doppiamente equivoco, e certo errato quanto alla forma dell'articolo.