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distinzione quarta. - cap. iv. |
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penitenzia dal frate, per lo grande dolore di contrizione ch’ ell’ebbe, le crepò1 il quore.
Ancora si legge scritto da Cesario, ch’ e’ fu in Parigi uno iscolaro, il quale, per gli sconci e gravi peccati ch’egli avea, si vergognava di venire alla confessione, avvegna che grande dolore n’avesse. Una fiata vincendo il dolore la vergogna, s’andò a confessare al priore del monistero di san Vittore. Posto appiè del prete, tanto dolore di contrizione fu nel quore, tanti sospiri nel petto, tanti singhiozzi nella gola, tante lagrime gli abbondarono negli occhi, che la voce gli venne meno, e in veruna maniera non potea formare2 la parola colla quale potesse i suoi peccati confessare. La qual cosa veggendo il confessoro, disse ch’egli andasse e scrivesse tutti i peccati suoi. E ciò fatto, volendo riprovare se colla sua bocca gli potesse, leggendo, confessare, similmente come prima fu impedito. Onde il priore disse: – Dàmmi la scritta; – la quale avuta, e leggendo i grandi e disdicevoli peccati, non sapendo da sé medesimo che penitenzia gli dovesse ingiungere, chiese la parola allo scolaro di potere ragionare coll’abate suo, ch’era uno letterato uomo; e avutola, chiese il consiglio all’abate, e pôrsegli la scritta dov’erano iscritti tutti i peccati di quello peccatore contrito. La quale l’abate aprendo,3 trovò la carta bianca sanza veruna iscritta. E disse al priore: – Che debbo leggere, con ciò sia cosa che in questa carta che tu m’hai data, non sia lettera iscritta? Veggendola il priore: – Veramente padre (disse) in questa carta erano iscritti tutti i peccati di quello iscolaro, e io gli lessi: ma, per quello ch’io veggio, il misericordioso Iddio ha voluto dimostrare la virtù della contrizione, e com’egli abbia avuta accetta quella di questo giovane; e però gli abbia dimessi tutti i peccati suoi. – E amendue, l’abate e ’l priore, contarono allo scolaro
- ↑ Nella stampa del primo secolo: scoppiò.
- ↑ Il Manoscritto: e in veruna maniera potea fornire.
- ↑ Nel Testo: avendo.