Sotto l'Austria nel Friuli/Mariuccia/II. Chi era la Mariuccia
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II.
Chi era la Mariuccia?
Nata in una numerosa famiglia di contadini, dove non regnava la pace domestica, la Mariuccia bevve ben presto al tristo calice della sventura. Mal gradita alle zie e all’ava paterna, che in lei puniva il carattere bisbetico e la lingua insolente della nuora, crebbe la bambina fra una turba di fanciulli, quasi coetanea di una bella cuginetta che con lei divideva i trastulli infantili, ma non le carezze e l’affetto dei parenti. Era stata trascurata e spesso maltrattata anche quando aveva viva la madre, ma dopo che l’ebbe perduta, nessuno più pensò alla povera piccina, e la lasciavano priva perfino delle cose più necessarie. Le contese sempre più acerrime che sorgevano fra i diversi membri della famiglia, sovente finivano con lo scaricarsi sul suo capo innocente, e quando il disaccordo giunse a tale che rese necessaria la divisione, essa, cacciata di casa col padre, dovette mettersi nella meschina condizione di chi vive del lavoro giornaliero.
Le suppellettili, gli animali, gli attrezzi agricoli che bastavano alle famiglie unite, divennero, ripartiti, insufficienti a ciascuno. Quella divisione rimase poi sempre impressa nel cuore della Mariuccia, come il più gran dolore della sua infanzia. Non già ch’ella avesse allora prevedute le conseguenze che ne dovevano seguire; ma quello staccarsi dalla cuginetta e dagli altri fanciulli che con lei ridevano e si divertivano, quel cambiare la buona casa colonica, fino allora abitata, in una miserabile abitazione da sottani, dove le toccava rimanere quasi sempre sola, le facevano capire, benchè fosse bambina, che era stata quella una disgrazia. I contadini pigionali, detti sottani, sono la piaga delle nostre campagne la più meschina, la più infelice delle classi sociali, perchè è quella su cui pesa maggiormente il lavoro senza giusto compenso, e dalla quale escono poi i mendicanti, i vagabondi e spesso anche i ladri e gli assassini. I possidenti che vanno in rovina danno sovente origine alla esistenza, qua e là, di quei disgraziati, perchè affittano o vendono le loro case mezzo diroccate a una specie di speculatori che poi le subaffittano a dei miserabili i quali, o da disgrazie, o da discordie domestiche divisi, non hanno più la possibilità di prendere e lavorare un podere.
Questi speculatori, per lo più possidenti di fresca data, uniscono a tali orribili tuguri uno o due campicelli, dei quali esigono affitti esagerati. Coloro che accettano, sanno bene che se anche l’annata sarà propizia, l’assiduo lavoro e la più industriosa diligenza non faranno mai che il fondo produca tanto da soddisfare il debito contratto; ma la necessità di un po’ di tetto che li ripari e di un campo dove raccogliere almeno la legna per riscaldarsi l’inverno, o che, se non altro, serva di pretesto a ciò che altrove raccolgono, fa sì che pieghino il capo a tutte le esorbitanze del locatore. Malattie, stagioni contrarie, mancanza di lavoro, sono poi disgrazie che essi non prevedono, o che certo non entrano nei loro calcoli. Anche colui che affitta sa bene che il suo campo, se anche fosse la terra promessa, non potrebbe dargli il provento che richiede; ma egli spera aver da fare con gente accorta che sa ingegnarsi al bisogno, e ne profitta: pur che paghino, il resto non importa. Ad ogni modo, alla fine dell’anno col sequestro si assicura il pagamento! Anzi, ci sono taluni che nelle quattro pecore, nella vaccherella e ne’ pochi attrezzi dell’inquilino vedono preventivamente assicurato il prezzo dell’affitto. Così gli sciagurati che si trovano nella necessità di abbracciare quella vita miserabilissima, passano d’uno in altro tugurio sempre più miseri, finchè, spogli di tutto, vanno ad ingrossare la schiera dei mendichi e dei vagabondi. Anche il padre della Mariuccia consumò in pochi anni tutto quel poco che aveva ereditato, e dopo esser passato di villaggio in villaggio, sempre nei peggiori abituri, finì coll’ammalarsi e morire all’ospedale. Così, a dodici anni, coperta di stracci e ridotta sulla strada, la povera fanciulla andò elemosinando. Un giorno ebbe la buona ventura di capitare alla porta di un contadino benestante, la cui moglie, colpita dalla bella fisonomia della poverina, la prese per serva. I contadini sogliono trattare i loro garzoni come persone di famiglia. Se non possono dar conveniente salario, almeno non fanno sentire lor la diversità di condizione. Cibo e lavoro in comune; quasi nessuna disuguaglianza di vestiario, e, quel che vai più, non disprezzo ne’ modi, non imperiosa acerbità ne’ comandi.
La povera creatura si affezionò ben presto a’ suoi padroni. Lavorava con loro ne’ campi, filava la sera nella stalla o accanto al fuoco con le figlie del padrone, che la trattavano come sorella; imparava da loro e dalla loro madre a cucire, ad accudire alle faccende domestiche. Era divenuta una bella ragazza, e sentendosi così circondata di sincero affetto; non s’accorgeva quasi più d’essere un’orfana. Ma gli anni della bella spensieratezza volano via rapidi, e viene il momento in cui uno si accorge di avere un cuore, i cui palpiti fanno pensare all’avvenire.
Una domenica di agosto la Mariuccia insieme con la Lisa, una delle figlie de’ suoi padroni, trovavasi alla sagra della Madonna di Strada. Molta gente era là convenuta, e le due giovanette, l’una al braccio dell’altra, giravano, chiacchierando insieme, e soffermandosi di tratto in tratto a guardare le tavole di ciambelle e di frutta esposte in vendita sul praticello dinanzi alla chiesa campestre. Alcuni giovinotti le avevano notate e le seguirono desiderosi di attaccar discorso. Il sole, benchè ormai vicino al tramonto, dardeggiava ancora i suoi raggi cocenti sulla moltitudine, perciò le due fanciulle si ripararono all’ombra di uno dei cipressi che fiancheggiano l’entrata del praticello, e lì sedute sul muricciolo, si facevano vento coi lembi dell’ampio fazzoletto a croce, che portavano in testa, mentre lanciavano sorridendo qualche occhiatina furtiva che incoraggiò i giovanotti a farsi vicini e a cominciar la conversazione. In poco d’ora divennero amici. Esse offrirono cortesemente ciò che avevano comprato alla fiera. Uno dei giovani accettò un paio di noci dalla Mariuccia e le regalò in ricambio un bel garofano ch’ella adattò subito alla sua cintura dalla parte del cuore. Era un giovane bruno ancora quasi imberbe, alto e ben fatto della persona, con un certo cappello di paglia, messo un po’ alla sgherra, che dava risalto ai molti suoi capelli neri, che gli scendevano fino a metà del collo e gli lambivano l’ampio goletto della candida camicia arrovesciato sulle spalle. I suoi occhi neri avevano un non so che di dolce, e s’incontravano sempre in quelli della Mariuccia, anche quando egli parlava con altri dei presenti. Venuta l’ora della partenza, i due giovani vollero accompagnare le fanciulle fino al villaggio.
Da quella sera la Mariuccia non dimenticò più quegli occhi, e anche quando fu appassito, conservò come una reliquia quel garofano. Ma la sua fronte era divenuta pensosa. Non rideva più così facilmente, nè più la sera si lasciava andare con le compagne al solito allegro cicaleccio: una leggiera tinta di malinconia s’era impossessata di tutti i suoi atti. La povera fanciulla aveva saputo che quel giovane apparteneva a una buona famiglia di contadini del vicino villaggio e che se egli avesse chiesto anche la più agiata ragazza del paese, certo i genitori di lei gliel’avrebbero accordata volentieri, perchè l’entrare nella casa di quel giovinotto era ritenuto da tutti una gran fortuna. Invece lei non era che una povera orfana, una serva.... Che cosa gli avrebbe ella portato in dote? Eppure Vigi veniva tutte le domeniche alla funzione nel villaggio di lei, aspettava che ella uscisse di chiesa e l’accompagnava fino a casa. E se talvolta i suoi padroni la mandavano verso quell’ora ad attinger l’acqua, egli le portava la fune e l’aiutava al pozzo in presenza di tutti, sicché ormai non v’era più dubbio sulle sue intenzioni. Allora la Mariuccia divenne più attiva nel pensiero di apparecchiarsi un po’ di corredo. Se ne stava a filare fino a molto tardi e si alzava la mattina prima di tutti, affinchè i suoi padroni fossero contenti di lei e le concedessero qualche ora di lavoro per suo conto. Se guadagnava qualche carantano, si guardava bene dal gettarlo in ispese inutili. La vecchia Maddalena, che l’amava come una figliuola, s’era accorta di queste sue cure e procurava di facilitarle qualche piccolo guadagno. Ma per accumulare quanto bastasse alla compra almeno del letto nuziale e dell’indispensabile coltre, ce ne voleva!
Eran passati così alcuni anni, quando in quel villaggio ebbe luogo il mercato qui sopra accennato. Chi può dire la consolazione della Mariuccia per aver potuto così utilmente impiegare i suoi risparmi? Ella si era portate a casa quelle robe e se le custodiva nella sua cameruccia e se le guardava con quell’adorazione con cui l’avaro, quando è solo, contempla i suoi ricchi tesori.