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Marco Craglievich si sveglia. La terra ha tremato. Dalla bocca del pozzo fin giù nell’acqua profonda si è udito un sordo fragore come di vento sotterraneo che ha rivelato i misteri della fontana, che dalle radici del monte d’Urbina s’è propagato fino a quelle dell’Athos, là dove il fiume sbocca improvviso dal masso, e poi torna a inabissarsi in un’umida argillosa caverna. Il santo abate di Vasa e il suo discepolo Isaia portarono in quelle caverne d’Urbina il cadavere di Marco e lo seppellirono nel mistero, vicino all’acqua bruna. Gli alberi pendenti dall’alto gocciarono per anni ed anni sul capo di lui le loro lagrime. Ora s’alza dalla voragine un gruppo di nubi: vanno esse lentamente volteggiando al di sopra di tutto il paese. Or alte, or basse, ora illuminate dal sole, ora urtate dal vento, cangiano di forma, cangiano di colore. Talvolta si distendono come un ampio velo di nebbia e salgono i greppi della montagna, poi si condensano nella valle e mandano lampi. Tra i lampi si vede il dorso d’un cavallo toppato; si vedono le punte dorate d’un immenso Busdovano. Talvolta sopra di esse giganteggia il capo d’un guerriero, il cui berrettone di zibellino calcato sulla fronte si confonde con le nere sopracciglia; i neri mustacchi gli pendono sul petto. Poi la nube lo cuopre, e n’esce invece la pelliccia di lupo arrovesciata e il pomo della spada damaschina con l’auree nappe pendenti; poi la testa del cavallo toppato sanguigna fino agli orecchi: dall’unghia gli sprizzano vive faville, le narici mandano un’azzurra fiamma. Il freno è un serpe, un serpe lo sprone. Sibilan le serpi, nitrisce il cavallo, e la maestosa visione si allontana. Donne vestite a lutto, madri piangenti, vedove e fanciulle desolate escono dalle loro case per tutto dove quella visione passa, o