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guardano, guardano o sentono che è venuto il giorno fatale. Ma dove sono i prodi destinati a liberare la patria? forse accampati sulle rive del nero fiume pronti a varcarlo per la libertà? forse nelle foreste della Serbia a giurare un patto con la stirpe del generoso Milosio? forse inginocchiati intorno alla tomba di Dositeo invocano l’aiuto di Dio, e ricevono dalle mani del serbo patriarca e dei suoi dodici prelati la santa comunione? o ai piedi della Kraina, disposti in ordine di battaglia aspettano il segnale per gettarsi come tanti leoni sulle falangi dei Turchi a rivendicare i loro sacrosanti diritti?

Il nero fiume scorre in silenzio fra le rive abbandonate; nelle foreste della Serbia non si giura nessun patto, solo vi pascono in pace le numerose mandrie; è deserta la tomba di Dositeo, e al passaggio di Marco si commuovono solo le ossa del padre della patria, e dànno un gemito sotto la pietra sepolcrale. Il vento freme fra le nude rocce del Kraina, ma non vi sono nè cavalli nè guerrieri.

— Essi saranno accampati nella pianura di Cossovo! — grida Marco, e irato cavalca alla pianura di Cossovo.

Come stoppie disseccate dal sole e dal tempo, stridono sotto le unghie del cavallo le ossa dei morti per la libertà; le ossa di Lazzaro Conte, dei nove Giugovich e del loro esercito ma in tutta la pianura; Marco non vedo anima viva. Con voce tremenda Marco allora grida ai quattro venti:

— È venuto il giorno della redenzione! Or dove sono i nostri prodi? —

Comparvero allora due negri corvi: uno veniva dal settentrione, l’altro dall’occidente; i rostri avevano insanguinati fino agli occhi, gli artigli fino al