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— È caduta la spada dal fodero! Ha nitrito il cavallo di Marco! — Il cavallo di Marco Craglievich l’han sentito nitrire sul monte d’Urbina, in Prilipa dalle bianche case, nelle foreste e nelle valli della Serbia, lungo le sponde del nero fiume; l’han sentito a Samodresa, e nella pianura di Cossovo; fin tra le nude rocce della Czernagora l’eco ha ripetuto il suo nitrito.
Marco Craglievich si sveglia. Sul fianco del monte d’Urbina sono ancora due vecchi abeti e in mezzo a loro un pozzo. Essi vincono ancora in altezza la cima del monte, ma i loro rami percossi dal vento e squarciati dal fulmine hanno perduto il color verde. Cupo, solcato dal tempo, si specchia nel fonte l’immane loro tronco. Nell’acqua bruna hanno veduto come un riverbero di luna lucente; ma non era lume di luna lucente: era l’ultima lettera di Marco, caduta nel pozzo dai rami degli abeti a cui l’aveva appesa prima di morire; era il calamaio d’oro ch’egli aveva gettato nel pozzo, che ora torna a risplendere e manda raggi alla superficie dell’acqua.