Sotto il velame/La fonte prima/I

La fonte prima - I

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L'altro viaggio - XIII La fonte prima - II

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I.


Il lettore che mi ha seguito, domanderà: “L’altro viaggio è il cammino di Dio o della vita contemplativa, e il corto andare del bel monte è quello del mondo e della vita attiva. Bene. La vita attiva consiste nell’esercizio delle quattro virtù cardinali; ed è impedita da tre disposizioni cattive, equivalenti a incontinenza, di concupiscibile e d’irascibile, a violenza o bestialità, a frode; raffigurate nella lonza, nel leone, nella lupa. Bene. La lupa che assomma quelle disposizioni e in cui spariscono le altre due bestie, toglie a Dante il corto andare del monte. Per l’altro viaggio, Dante scende e poi sale; scende sino a trovare colui che assomma nelle sue tre faccie le tre male disposizioni, scende in basso loco, scende ove il sol tace, scende ov’egli rimane gelato e fioco. Esercita scendendo quelle quattro virtù; aiutato, sia pure, da sette spiriti, che alle quattro virtù pagane cristianamente equivalgono. E sale. Sale sulla cima d’un bel monte. Ivi è Beatrice, e, si intuisce, l’innocenza e la felicità. Salendo, purga le caligini, le schiume, le macchie di quelle medesime tre disposizioni, con quelle medesime quattro virtù, aiutato, [p. 430 modifica]più visibilmente, da quei sette spiriti che corrispondono, in ordine inverso, alle sette beatitudini le quali si odono sonare nelle sette cornici. In che modo questo viaggio è “altro„ da quell’andare verso il bel monte? Dante è sceso in questo viaggio, come nell’altro, sino al basso loco; e poi è risalito. Nell’altro, è vero, non risalì. Le virtù che aveva seco, non bastarono; ma quelle virtù le aveva. Ora tra il corto andare e l’altro viaggio è differenza in ciò, che là non riuscì alla meta e qua, sì, giunse: altra differenza non c’è. Or tu dici, come molti dissero e dicono, che invece è tanta differenza quanta tra la vita attiva e la vita contemplativa. Come mai?„

Ecco: posso rispondere che la vita attiva dispone alla contemplativa; bisogna ricordare le quattro virtù che menano Dante a Beatrice, e le tre che aguzzano la sua vista;1 e che le virtù morali “essenzialmente non pertengono alla vita contemplativa, perchè il fine di questa è la considerazione della verità: ora per le virtù morali sapere quel che pertiene a considerazione di verità, è di poco momento, come il filosofo dice, in Eth. II 2, X cap. ult.; e lo stesso in Eth. X 7 e 8, afferma che le virtù morali pertengono alla felicità attiva e non alla contemplativa. Ma “dispositivamente„ le virtù morali pertengono alla vita contemplativa: chè l’atto della contemplazione, in cui essenzialmente consiste la vita contemplativa, è impedito sì dalla veemenza delle passioni, per cui l’intenzione dell’anima è dalle cose intelligibili tratta alle sensibili; e sì da tumulti esterni. Ora le virtù morali impediscono la veemenza delle [p. 431 modifica]passioni, e sedano i tumulti delle esterne occupazioni. Così, le virtù morali “dispositivantente„ pertengono alla vita contemplativa„.2 Sicchè Dante, nel suo discendere per il baratro e nel suo salire per il monte, si è venuto disponendo alla vita contemplativa, mortificando le passioni e facendosi forte contro i tumulti esterni. E così ha fatto cosa che pertiene a contemplazione. Il che è chiaro dal raffronto di tutte le due cantiche a questo luogo d’Isidoro riportato nella Somma:3 “Nella vita attiva prima mediante l’esercizio del bene si devono esaurire tutti i vizi, affinchè l’uomo, nella contemplativa, già trapassi a contemplare il lume divino con pura la vista (acie) della mente„. E noi abbiamo veduto che Dante purifica il cuore, cioè la vista, dall’ultima traccia di vizio, temprandolo attraverso il fuoco; sì che poi diventa acuto a vedere, cioè a contemplare. Or questo significa Dante con un di quei suoi modi ch’egli, se di là attende al destino del Poema Sacro, che lasciò senza comento, e così tale che la sua sentenza difficilmente si sarebbe potuta intendere, perchè esso non la contò; egli deve meravigliosamente godere che si trovi e si dichiari. È questo. Simbolo della vita attiva è Lia. E Lia appare in sogno al Poeta, quando già è passato attraverso le fiamme ed ha acuito l’occhio alla visione.4 Il sogno, come quello che è apparso nell’ora in cui la mente è divina, annunzia una verace apparizione. Di lì a poco Dante vede Matelda. Matelda significa per certo ciò che Lia. Lia nel sogno va “cogliendo fiori„ e canta; [p. 432 modifica]Lia va “movendo intorno le belle mani a farsi una ghirlanda„;5 Matelda va anch’ella “cantando ed iscegliendo fior da fiore„.6 Eppure! Rachele raffigura la vita contemplativa perchè, tra altro, il suo nome s’interpreta “visum principium„, e così lei appaga “lo vedere„;7 mentre Lia vedeva poco, era di deboli occhi, lippis oculis.8 Questo difetto della vista di Lia fu di principal momento a determinare il significato mistico di lei in comparazione della veggente sorella. Ora Dante raffigura, in sogno, Lia che dice:9

                Per piacermi allo specchio qui m’adorno:

in un atto che è di contemplazione, perchè la sua

                             suora Rachel mai non si smaga
               del suo miraglio, e siede tutto giorno.

Come mai quest’altra Lia, che è Matelda, quelli occhi che avrebbero a essere lippi, li ha tali che10

               non credo che splendesse tanto lume
               sotto le ciglia a Venere...?

Altro che lippis oculis è codesta Lia! O come? Così. La vita attiva sta diventando contemplativa; è già disposta alla contemplazione. Dante ha, con l’esercizio delle virtù morali, acquistata, attraverso il fuoco dell’ultimo peccato, la mondizia della vista. È disposto a vedere. Non è così? È così? Perciò Lia si piace allo specchio e perciò Matelda ha gli occhi luminosi. [p. 433 modifica]È Dante, se s’interpreta il simbolo, è Dante medesimo in loro, che ha stenebrato gli occhi infermi, e già è per contemplare.

Ciò dopo di aver finite di purgare le sette macchie veniali che lasciano i sette peccati mortali... Sette? Ma sì. Debbo ancora ripetere che le tre disposizioni si spicciolano in sette peccati, di quei della palude pingue, che porta il vento, che batte la pioggia e che s’incontrano con acerbi rimbrotti; che fanno quattro; più le tre malizie; che fanno tre; e sette dunque in tutto? E che questi sette peccati sono i sette peccati mortali? Debbo ancora ripeterlo?

Ma sono più di sette.

E debbo ancora ripetere che i sepolti nel cimitero non contano nel novero degli abitanti d’una città? che quelli del vestibolo, quelli cioè che sono di là del fiume, sono fuori dell’inferno, che comincia (è chiaro) col principio, cioè col primo cinghio? che quelli del limbo dopo il gran dì, non ci saranno più, e risusciteranno, come quelli del cimitero saranno sepolti? che la “sospensione„ la quale è sì nel limbo e sì nel cimitero, cesserà, come Dante, secondo una virtù indubitabile del suo stile, dice per gli uni volendo intendere anche degli altri, cesserà nel “gran dì„? che la mezza sepoltura e tenebra degli uni diventerà intera, come la mezza luce (perchè hanno un fuoco tra le tenebre) e la mezza innocenza (poichè hanno le quattro ma non le tre virtù) diventerà intera negli altri?

Sette, dunque. E i sette peccati capitali e mortali.

Rimane qualche dubbio?

Note

  1. Summa 2a 2ae 181, 1.
  2. Summa 180, 2.
  3. ib. 181, 1. De summ. bon. III 15
  4. Purg. XXVII 97 segg.
  5. Purg. XXVII 98 seg. 101 seg.
  6. Purg. XXVIII 41.
  7. Purg. XXVII 108.
  8. Gen. XXIX.
  9. Purg. XXVII 103 segg.
  10. Purg. XXVIII 63 segg.