Sotto il velame/L'altro viaggio/XIII
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XIII.
Nell’inferno si esercitano le quattro virtù cardinali, contro le tre disposizioni Aristoteliche rimaneggiate secondo la divisione Ciceroniana di vis e fraus. Ciò però non impedisce che, inavvertita, circoli, per così dire, sotto questa cute filosofica una venatura teologica. Tutto l’inferno è concepito paganamente. La porta aperta ne dice la ragione. La Redenzione fu invano per quelli che son là entro, sia che vivessero prima o vivessero dopo la vita umana del Dio; chè si poteva credere anche nel Cristo venturo. La Redenzione fu invano per quelli che là penano: quindi è, se si guarda a loro, come se il mondo sia rimasto pagano. Perciò l’inferno è pagano. Vi scorrono i fiumi che emanano dalla “colpa umana„ e dalla “misericordia„ di Dio; ma questi non vengono dal paradiso terrestre, sì da quella che ne è la figurazione o l’ombra pagana: dalla cuna di Giove; da Creta e dall’Ida. Si chiamano paganamente Acheronte, Stige, Flegetonte, Cocito.
L’umana colpa è indicata col simbolo pagano dell’età dell’oro che si muta in argento e più vili metalli. La statua del Veglio è suggerita dal sogno biblico dell’impero pagano da Ninive a Roma. Tutti i mostri dell’inferno sono pagani: Caron, Minos, Cerbero, Pluto, Flegias, le Furie e il Gorgon, il Minotauro, i Centauri, le Arpie, le cagne furiali, Caco, i Giganti, Gerione, Dite. Ammirabile è il fatto di questi due ultimi che avrebbero un nome, dirò così, cristiano, il loro proprio nome biblico, e no, si presentano col nome pagano. Cristo non vi è mai nominato col proprio suo nome; anche Dio vi ha alcuna volta il nome di Giove; e nessuno dei dannati, salvo la bestia di Pistoia e Capaneo che per altro se la prende con Giove, e sono tutti e due, o veramente o no, folli, pronunzia il nome di Dio, come nè Virgilio quello di Gesù. Due soli pronunziano bestemmiando il nome di Dio, due folli, uno pagano, uno cristiano: di Giove e di Dio. Avanti la città che ha nome Dite come il suo imperatore, e negli spaldi di essa, si parla di Proserpina, regina del pianto e donna che là regge; moglie di Dite, la quale forse è la superbia stessa di lui, quella superbia che è lo inizio d’ogni peccato e specialmente dei tre di malizia, e si trova perciò nominata a proposito di peccatori e peccati d’ognun dei tre cerchietti. Il peccato generale è quel dell’angelo perverso: la superbia. Questa ha tre forme: ossia di superbia (peccato speciale), d’invidia e di ira. La superbia e l’invidia e l’ira accecano e indurano. Ciò è detto miticamente così: Dite ha una moglie, Proserpina, che ha tre meschine, ciò sono le tre Furie, le quali mostrano il Gorgon che impietra chi lo guarda. Chi conduce Dante per questo mondo è un pagano: Virgilio. Il quale parla d’una distribuzione affatto pagana, d’Aristotele e di Cicerone, delle colpe. Il vangelo pagano, ossia l’Eneide, fornisce ispirazione a ogni tratto. Si direbbe che Dante si studiasse di far combaciare con l’inferno di Virgilio pagano, il suo cristiano, che pur deve avere aspetto e nome pagano. E come pagano interamente l’inferno, così mezzo pagano è il purgatorio. Mezzo cristiano e mezzo pagano, perchè cominciò a popolarsi sol dopo la venuta di Gesù, ed è come l’ombra dell’inferno che è pagano; e l’ombra somiglia alla cosa come la cicatrice alla ferita. E così il purgatorio è un monte, a cui s’approssimò l’audace navigatore pagano, Ulisse; e sebbene abbia preghiere e angeli e anime converse, ha per altro il Letè sgorgante dalla sua cima, e per guardiano, alle sue radici, Catone: un fiume di oblìo e un uomo di virtù, pagani tutti e due. E ciò conduce a ricordare la frase che Dante pronunzia, quando esita avanti l’alto passo: “Io non Enea, io non Paolo sono„. Enea, dice, per la discesa agli inferi; Paolo, per l’ascesa ai cieli. E nel viaggio d’Enea comprende anche il Purgatorio, perchè l’oltremondo della colpa va da una porta avanti un fiume a un muro di fuoco; da disperate strida per nulla, comincia, e finisce con canti di letizia nel fuoco. Il che Dante vedeva confermato nel suo vangelo pagano, in cui la prima cosa che Enea trovò, vestibulum ante ipsum, è Luctus,1 come disperate strida trovò esso; e poi Enea trovò, come esso, l’Acheronte e Caronte, e subito dopo, l’uno e l’altro, un gran vagito di fanciulli;2 e poi Minos; e le vittime d’amore;3 e poi (differenze ce ne sono, e quali!), poi de’ compagni d’armi e di patria,4 che non somigliano, per quanto concittadini alcuni del visitatore, a Ciacco, ma sì a quei guerrieri e partigiani di cui Dante chiede a Ciacco, così stranamente, per chi non ci pensa su:5
Farinata e il Tegghiaio che fur sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca,
e gli altri che a ben far poser gl’ingegni.
In vero Farinata non assomiglia per qualche cosa a Deifobo armipotente? e per qualche altra a Deifobo mutilato non assomiglia il Mosca “che leva i moncherin per l’aura fosca„?6 Inoltre Farinata è, diciamo, un nemico, come quei grandi dei Danai che trepidano di spavento al veder il baglior dell’armi nel buio.7 Non volge egli le spalle, anzi erge la fronte e il petto e leva le ciglia. Ma codesto è lo scioglimento diverso d’un consimile dramma. E Dante poi trova gente che rotola pesi, i quali Enea non trova subito dopo i suoi compagni e avversari di guerra, ma ne sente narrare; subito dopo, chè sono nel Tartaro: saxum ingens volvunt alii.8 Enea si trova avanti le mura del Tartaro, e vede le mura di Dite, alla cui porta depone il ramo d’oro per Proserpina. Dante vede mura d’una città, roggia come il Tartaro, ch’egli chiama Dite come l’altra, della quale pur fa regina Proserpina. Enea non entra nè nel Tartaro nè in Dite; ma, per un facile abbaglio suggerito dal gran comento antico, Dante poteva supporlo: a ogni modo egli entra; ed entra per la virtù d’un Messo, il quale per certi interpreti sarebbe il Cristo o un angelo, ma che è certo certissimo Enea medesimo, Enea che torna a vedere, come la Sibilla aveva profetato, Stige e il Tartaro e Dite, Enea che torna col ramo a foggia d’y, la cui branca sinistra è dei vizi e la destra della virtù; come il viaggio di Dante è verso Lucifero a sinistra e verso Dio a destra. Come potrebbe mancare Enea in questa Eneida seconda, nella quale Virgilio è maestro e autore, nella quale Enea è nominato sul bel principio come esempio? E Dante vede sugli spaldi le Furie.9 E Dante vede entro Dite, ciò che Enea sentì raccontare dalla Sibilla che si vede entro il Tartaro: un suo Salmoneo, ch’egli rende per Capaneo, seguendo Stazio; fraudolenti, fratricidi, parricidi, giganti.10 Dopo tutta questa visione, his... exactis,11 dove si trova Enea? dove Dante? Riassumiamo il tutto: l’uno e l’altro si trovano tra cantici; qua peani, là preghiere; ed Enea subito, e Dante dopo una lunga ascesa, vedono una regione di beatitudine e di pace: i campi Elisi, il paradiso terrestre. E il primo ha la visione (dopo essere salito su un giogo di monte)12 delle vicende future di Roma, e il secondo, una visione anch’esso delle future vicende della Chiesa e dell’Impero: di Roma. Sin qui Dante è stato Enea e poi sarà Paolo.
Eppure, facendo ciò che Enea, e condotto da colui che condusse poetando Enea stesso agli inferi,13 Dante è pur Dante e cristiano. E cristiano è necessariamente il suo inferno, e sotto il nome di Dite si legge quello di Lucifero, e sotto quel di Gerione si travede quello del Serpente, e nell’età dell’oro si ravvisa il primitivo stato d’innocenza, e nella fessura del Veglio il peccato originale, e presso le quattro virtù sono i sette spiriti dei condotti da Dio, e le tre disposizioni si risolvono in sette peccati; nei sette peccati, per quelli che ho persuasi, in sette peccati, per quelli che non m’hanno creduto e non mi credono. Sette e non più.
Note
- ↑ Aen. VI 274.
- ↑ Aen. VI 426.
- ↑ ib. 432, 442 seq.
- ↑ ib. 481 sqq.
- ↑ Inf. VI 79 seg.
- ↑ Inf. XXVIII 104.
- ↑ Aen VI 489 sqq.
- ↑ ib. VI 616.
- ↑ Inf. IX 37 segg.
- ↑ Aen. VI 585, 608 sq. 595 sqq. 580 sqq.
- ↑ ib. 637.
- ↑ ib. 676.
- ↑ Condurre poetando: espr. di Dante; Purg. XXII 88 seg.