Sotto il velame/Il passaggio dell'Acheronte/I

Il passaggio dell'Acheronte - I

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Il passaggio dell'Acheronte - I
Il vestibolo e il limbo - III Il passaggio dell'Acheronte - II

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I.


Come passa Dante l’Acheronte? Caron è partito su per l’onda bruna senza prender nella barca Dante e Virgilio. Caron aveva detto:1

               E tu che se’ costi anima viva,
               pàrtiti da cotesti che son morti.

E vedendo che non si partiva, aveva soggiunto:

                              per altra via, per altri porti
               verrai a piaggia, non qui: per passare
               più lieve legno convien che ti porti.

A Dante, rimasto sulla riva, Virgilio dice:

               Quinci non passa mai anima buona,
               e però, se Caron di te si lagna,
               ben puoi saper omai che il suo dir suona.

Allora accade un terremoto grande: la terra dà vento; balena una luce vermiglia. Dante cade senza più sentimento alcuno. E cade come addormentato. Quando è desto dall’alto sonno per opera d’un tuono che [p. 72 modifica]glielo rompe, si guarda attorno e si trova sulla proda della valle d’abisso. E scende nel limbo. Come ha passato l’Acheronte? Di là d’Acheronte sono, nel vestibolo, spiriti che l’Acheronte non possono passare. Delle anime, Caron a queste accenna, a quelle no:2

               gittansi di quel lito ad una ad una
               per cenni, come augel per suo richiamo.

E le anime paiono sì pronte di trapassare: ma molte di esse debbono invidiare il passaggio, senza ottenerlo. Sono queste gl’ignavi, che discosto dalla ripa corrono e corrono dietro la insegna.

Perchè son respinte o lasciate là? Caron ne dice la ragione anche rispetto loro, quando respinge e lascia sulla ripa Dante:

               E tu che se’ costì anima viva,
               pàrtiti da cotesti che son morti.

Così dice al primo aspetto. Dante deve essere sceverato dai veri morti. Non può passar l’Acheronte, perchè è vivo. E vivi sono gl’ignavi. Essi non usarono mai della libertà del volere, e quindi vivi non furono mai. Ma come non furono mai vivi, così non sono ora nemmeno morti. In verità 3

               questi non hanno speranza di morte,
               e la lor cieca vita è tanto bassa
               che invidiosi son d’ogni altra sorte.

Se non hanno speranza di morte, non sono morti: di fatti la loro è vita, sebben cieca.

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Non erano vivi da vivi, non sono morti da morti. Perciò non possono passare, sebbene lo desiderino; perchè Caron li rifiuterebbe, come rifiuta Dante. Condizione per passare è la morte. Or Dante passa. Dunque muore.

Muore. Non strabiliamo nè sorridiamo. Dante è il poeta del mistero. Aspettiamo, invece, lume e cerchiamolo. In tanto ecco una riprova del suo morire.

La selva oscura è il difetto di virtù che consiglia e di nobile virtù, di lume e di libero arbitrio, di prudenza e libertà innate che il peccato originale toglie e il battesimo rende. Bene. Siccome il vestibolo infernale, dove sono gli ignavi e gli angeli neutrali, è pur simbolo di mancanza di questo medesimo libero arbitrio, mancanza che fa sì che il lume che ebbero sia come non fosse, e sia perciò assai fioco; siccome dal vestibolo non si passa oltre Acheronte se non a patto d’esser morti; così dobbiamo aspettarci che anche dalla selva non si esca senza morire.

E così avviene. Dante, di sè, appena uscito dalla selva, dice:

               E come quei che con lena affannata
               uscito fuor dal pelago alla riva,
               si volge all’onda perigliosa e guata,

               così l’animo mio che ancor fuggiva,
               si volse indietro a rimirar lo passo
               che non lasciò giammai persona viva.

Per quanto questo verso sia malmenato e stirato e torturato, e’ non significherà mai se non questo, che nessuno uscì mai vivo dalla selva: dunque nemmeno Dante.

E dunque Dante, per uscirne, morì. [p. 74 modifica]

E si noti che Dante qui con sue misteriose e potenti parole ci ammonisce della somiglianza dell’uscir dalla selva e dell’uscir dal vestibolo. Già egli chiama passo l’uscita dalla selva, con un’espressione che noi meglio intendiamo per un fiume che per una selva.4 Nel fatto egli paragona la selva a un pelago. E di lassù Lucia vede Dante che poi è arretrato verso la selva, lo vede, non al lembo d’una foresta, ma dove?

               sulla fiumana ove il mar non ha vanto.

Dunque Dante passa la selva, che è paragonata a un pelago e detta una fiumana, e come tale ha un passo; dice che la passa e non che ne esce; come passa l’Acheronte: morendo. E invero morte è l’alto passo di cui egli parla a Virgilio:5

               guarda la mia virtù s’ell’è possente,
               prima che all’alto passo tu mi fidi.

E questo alto passo ha molta somiglianza con l’alto sonno, di cui fu riscosso Dante, dopo passato l’Acheronte, per opera d’un greve tuono. L’alto passo è il transito; e l’espressione con la quale, nel medesimo discorso, il poeta significa la discesa di Enea all’Averno è quella stessa con cui gli scrittori cristiani significano la morte: ad immortale secolo andò. L’alto passo fu per Enea un andare ad immortale secolo; dunque, anche per Dante. E quell’andare vale [p. 75 modifica]morire. Dunque Dante muore. Muore col passar la selva, muore col passar l’Acheronte. Così gl’ignavi che desiderano invano di passare, gridano cioè invocano, che cosa? che cosa, per passare? La morte. Lo dice chiaramente Virgilio a Dante:6

               E trarrotti di qui per loco eterno
               
               ove udirai le disperate strida,
               vedrai gli antichi spiriti dolenti,
               che la seconda morte ciascun grida.

Le disperate strida sono le7

               diverse lingue, orribili favelle,
               parole di dolore, accenti d’ira,
               voci alte e fioche, e suon di man con elle,

che fanno le anime triste che non hanno speranza di morte, e che suonano con le mani, mi pare, per cacciare i mosconi e le vespe. Gli antichi spiriti sono proprio gli angeli nè ribelli nè fedeli. E tutti e due, questi e quelli, ciascuno, invocano la morte. Non può essere dubbio, che non si tratti di queste anime triste e di questi angeli neutrali. Non può essere; chè Virgilio a Dante significa la sua propria missione circoscrivendola col suo proprio principio e con la sua propria fine, con ciò che prima gli farà vedere e con ciò che gli farà vedere all’ultimo; con le anime e gli angeli, dunque, del vestibolo, in principio, coi lussuriosi del Purgatorio, in fine:8

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                    E poi vedrai color che son contenti
                    nel foco, perchè speran di venire,
                    quando che sia, alle beate genti.

Dove si deve considerate l’antitesi perfetta, che segna appunto, come con un marchio di parole, che questi sono gli ultimi come quelli sono i primi. Là sono disperati, qua sperano; là sono dolenti, qua sono contenti; là paiono vinti nel duolo, sebbene non siano che stimolati da vespe e mosconi, sì che del loro misero modo Dante meraviglia; qua sono contenti sebbene siano nel fuoco; là strida, là

               diverse lingue, orribili favelle,
               parole di dolore, accenti d’ira,
               voci alte e fioche;

qua la contentezza che si dimostra col canto:9

               Summae Deus clementiae nel seno
               del grande ardore allora udii cantando...

               e vidi spirti per la fiamma...

Son contenti nel foco: come dire cantano nel seno del grande ardore, per la fiamma.

I primi dunque che, con la scorta di Virgilio, Dante vide, invocano la morte, senza la quale non possono passare l’Acheronte. Non possono, perchè l’Acheronte non si passa che da morti, ed essi sono vivi. Vivi, sì, di cieca vita, ma vivi; non ben morti, diciamo. Ma Dante passa; dunque ben muore.

Noi profondiamo nel miro gurge; e sentiamo il freddo e la vertigine dell’abisso. Noi scendiamo nel [p. 77 modifica] cupo del pensiero Dantesco, per la prima volta dopo sei secoli.

Note

  1. Inf. III 88 segg.
  2. Inf. III 116 segg.
  3. ib. 46 segg.
  4. Ricorda il detto di Caron: per passare; il detto di Virgilio: a trapassar lo rio; l’altro di Virgilio: Quinci non passa; per non dire che nel Canto IV c’è il passar del fiumicello, e nel Canto IX il messo del cielo che «al passo passava Stige».
  5. Inf. II 11 seg.
  6. Inf. I 114 segg.
  7. Inf. III 25 segg.
  8. Inf. III 118 segg.
  9. Purg. XXV 121 segg.