Sopra le vie del nuovo impero/Le tre soluzioni

Le tre soluzioni: la turca, la filellenica, l’italiana

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Le tre soluzioni: la turca, la filellenica, l’italiana
Il generale Giovanni Ameglio Meditazione sull’Acropoli
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Le tre soluzioni:
la turca, la filellenica, l’italiana.


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Rodi, Luglio.

Il problema da noi posto nell’Egeo con l’occupazione delle isole può avere tre soluzioni.

Diciamo subito qual’è la prima e la peggiore. Questa è la turca, cioè, che Rodi, Stampalia e le altre Sporadi siano restituite alla Turchia.

Questa soluzione l’Italia non può ammetterla.

Le ragioni sono diverse e parte provengono dalla stessa guerra che presentemente combattiamo con quell’impero, parte sono d’un ordine più ampio.

Le prime ogni lettore può enumerarle. La Turchia s’è comportata con noi, specie in principio della guerra, in un modo troppo perfido. C’è una sorta di perfido che neppure tra nemici in guerra è ammesso; e la [p. 192 modifica]Turchia con le menzogne, con le calunnie, passò il segno; tanto che l’impressione più forte della guerra è stata spesso questa: che noi avevamo affare con un nemico brutto. Moralmente brutto. Inoltre, fa un numero a sè, e per i suoi aspetti civili e per i suoi effetti materiali, l’azione più odiosa che questo nemico brutto perpetrò contro di noi: quella, cioè, dell’espulsione dei nostri connazionali dal suo territorio. E in fine dobbiamo considerare che da un anno ormai i turchi inquadrano in Tripolitania gli arabi che combattono contro di noi. Non avendo dato alla Tripolitania nulla negli anni della loro dominazione, avendola lasciata quale l’avevano trovata e peggio, avendole estorto quel poco che le si poteva estorcere; avendo ridotto al minimo il presidio con cui tenevano la Tripolitania e la Cirenaica, a poche migliaia di soldati; appena si trattò di perderle, ci rivoltarono contro in Tripolitania e in Cirenaica il massimo sforzo d’arabi armati da loro, condotti e inquadrati da loro. Se anche senza i turchi gli arabi della Tripolitania avrebbero prese le armi contro di noi, come fecero gli arabi dell’Algeria contro i francesi e fanno ora gli arabi del Marocco; o se pure non le avrebbero prese, come accadde agli stessi francesi, quando occuparono la [p. 193 modifica]Tunisia, noi non sappiamo: sappiamo solo il fatto che è avvenuto in Tripolitania ed è che i promotori e i conduttori della resistenza araba che noi possiamo avere sulle braccia per lunghi anni, sono stati e sono i turchi. Il nostro Abd el Kader in Tripolitania può continuare così ad essere, anche dopo fatta la pace con l’impero turco, l’impero turco. Per il che e per quanto più sopra abbiamo ricordato, quello merita di essere trattato da noi con la massima durezza. Ciò che ha perduto, ha perduto, nè ci ripaga ancora.

Le ragioni poi d’ordine più ampio si riducono ad una sola, ma è più che sufficiente. Con le debite cautele, se vuole, per rispetto ai Balcani, l’Italia deve tendere non al mantenimento dell’impero turco, sibbene alla sua distruzione. Deve tendere là dove tende la natura stessa delle cose, poichè il moribondo deve morire. E gioverà alla salute morale dell’Europa che muoia, è necessario alla salute morale dell’Europa che muoia questo impero turco dei tre continenti che tanto più del regno dei Borboni di Napoli si meriterebbe da un nobile spirito inglese d’esser definito negazione di Dio. L’Italia deve sentire l’ambizione d’iniziare una politica nuova, rivoluzionaria, nel vecchio regime delle grandi potenze custodi dello statu [p. 194 modifica]quo dell’impero turco. Suo atto deve essere di opporsi con la massima energia a chiunque la inviti a restituire le isole a quell’impero.

Continuando, dopo la peggiore delle soluzioni, la turca, ce n’è una seconda, quella che chiameremo filellenica. È una soluzione media che può essere di due modi: primo, far l’unione delle isole in regime autonomo; secondo, dar le isole alla Grecia. Sembra la soluzione secondo giustizia, specialmente secondo la giustizia o della Grecia che si troverebbe aumentata di territorio senza colpo ferire, o degli isolani che si troverebbero arbitri di se medesimi per le combinazioni di una guerra altrui; comunque, secondo la giustizia astratta dalla realtà che nel mondo ha presentemente molti cultori e adoratori. Ma la giustizia non astratta dalla realtà esige per lo meno questo: che a problemi serii si diano soluzioni serie. E dar l’autonomia alle isole non è serio, poiché una volta avuta l’autonomia queste, separate come sono le une dalle altre, piccole come sono, grame come sono, non sarebbero in grado di dare a se medesime nessun assetto che per qualsivoglia verso avesse qualcosa di simile a un qualunque assetto nazionale. Ogni cittadino ha i suoi diritti, ma perchè certi diritti siano conferiti, ci [p. 195 modifica]vuole per lo meno l’età. E ad una popolazione, perchè un diritto di nazionalità possa esserle conferito, ci vuole che essa abbia per lo meno la possibilità d’esercitarlo. Senza di che, conferire il diritto non soltanto non è serio, non soltanto è vano, ma è iniquo. Chi conosce queste Sporadi da noi occupate come io le conosco che di qui dopo averle visitate ne scrivo, sa che una volta lasciate a se medesime sarebbero abbandonate a se medesime, ognuna sarebbe abbandonata a se medesima, ognuna diventerebbe tomba alla sua popolazione grama. Sarebbe per loro più iniquo, perchè più funesto, dello stesso dominio turco il quale, comunque fosse, era pur sempre la forza esterna che in qualche modo teneva e univa. Questa forza turca non era tale da giustificare l’occupazione; ma insomma, in qualche modo era. Le Sporadi invece non hanno in nessun modo in se medesime una forza che non dico giustifichi, ma neppure renda umanamente possibile un ordinamento loro per opera loro. E se ottenessero l’autonomia, bisognerebbe che poi morendo giorno per giorno più che non morissero sotto il moribondo impero, attendessero fra l’Europa e l’Asia di cui sono minuscoli brandelli sparsi, il nuovo occupante. Il cui avvento non sarebbe serio, né sarebbe giocondo, per [p. 196 modifica]noi. Vogliamo dunque senz’altro annettere le isole alla Grecia? Ma anche la Grecia avrebbe l’avidità, diciamo più delicatamente l’aspirazione, e anche giusta, se si vuole, senza però avere la forza la quale pure è giusto che ci sia. La Grecia non ha ancora abbastanza forza per sè per poterne partecipare fuori di sè: quella forza di suscitare o di resuscitare la vita che è il principio di diritto tanto delle nazionalità quanto degli imperi, dinanzi alla storia, dinanzi alla civiltà, dinanzi alla specie. Più lontane dalla Grecia a cui ora apparterrebbero, che non dalla Turchia asiatica a cui non apparterrebbero più, le Sporadi abbandonate ancora a se medesime, separate ancora le une dalle altre, continuerebbero nella loro progrediente morte, il che un’altra volta contro loro medesime sarebbe iniquo.

Resta la terza e ultima soluzione, l’italiana, la sola buona, giusta, seria: vale a dire che le isole, senza che sia necessario discutere ora la forma, restino in sostanza a noi.

Non si è ancora, io credo, in Italia visto bene quanto ciò sia importante e per quali ragioni. I miei amici continuamente, prima che io partissi dall’Italia, mi domandavano incontrandomi per la via: — Credi che l’Italia restituirà le isole? — E senza aspettare la risposta si rispondevano da se [p. 197 modifica]medesimi: — Oh, non le restituirà! Perchè dovrebbe? Sarebbe un vero peccato! — E qui a Rodi, a Kos, su qualunque scoglio dell’Egeo quattro italiani s’incontrino, lo stesso discorso avviene con la stessa chiusa: — Sarebbe un vero peccato! — E sopra coloro i quali stanno qui, può sopratutto la visione della bellezza delle isole, per lo meno di una, Rodi. Per questa sua bellezza che è divina, non vorrebbero lasciarla. In tutti, o italiani che stanno, o sono stati qui, o italiani che non si sono mossi d’Italia, c’è un sentimento curioso. C’è il sentimento che l’Italia possa tenere, o lasciare per una specie di dilettantismo, se riesco a farmi intendere, di conquistatrice estetica e sentimentale. — È bella Rodi. Lasciarla? Sarebbe un vero peccato! — Tutt’al più si considera l’importanza strategica di Stampalia. Ma la combinazione della guerra ci ha portato ben altro vantaggio. Ci ha portato questo vantaggio che appena espresso è per sé eloquente: con la occupazione delle Sporadi noi possiamo avere iniziato il nostro avvenire asiatico.

Nell’Asia turca che deve o prima o poi non essere più turca, le maggiori nazioni europee, sull’Anatolia e superando il Tauro sull’immenso deserto arabico, da Costantinopoli a Smirne, da Smirne a Damasco, da [p. 198 modifica]Damasco alla Mecca, e poi da Costantinopoli a Bagdad e da Bagdad al Golfo Persico, hanno, come ai lettori è noto, posti i loro affari, serrati tra vie ferrate. E per chi vede oltre gli affari e le vie ferrate, oltre queste imprese plutocratiche che sono delle future dominazioni nazionali i primi embrioni, lo spettacolo è meraviglioso. Le nazioni europee sorte dalle civiltà antiche tendono a rifare l’unità de’ tre continenti antichi. L’Europa e l’Asia erano unite, e la Grecia d’Europa, d’Asia e delle interposte isole era il legame. L’Asia era unita anche con l’Affrica, e l’Affrica e l’Europa sotto Roma fiorivano come due regioni distinte dall’interposto mare, ma non separate. Sopra un territorio di tre continenti uniti l’antichità vide formarsi una certa unità del genere umano di stirpi affini. Poi questa unità fu spezzata. Sul triangolo tricontinentale che fu base dell’unità greco-romana, piantò la sua base l’unità islamica, turco-araba, tartaro-semita. Chiuse dalla parte di tutto l’Oriente e dalla parte di tutto il Mezzogiorno, le nazioni europee sorte dalla Grecia e da Roma uscirono per la sola porta aperta dell’Occidente alla scoperta d’America; finchè tornando cariche di prede novamente si spinsero verso i due continenti dell’antica unità, e già la muraglia islamica di sterilità e di [p. 199 modifica]morte in Affrica è crollata, già in Asia è attaccata. E lo spettacolo di questa restaurazione della antica unità che pare avvenga per le stesse forze cieche della natura, è meraviglioso per chi lo scorge. Noi italiani siamo entrati in Affrica, ma dall’Asia turca dove francesi, inglesi, tedeschi e gli altri concorsero, siamo assenti. Tra gli altri affari europei non sono laggiù i nostri, e tra le altre future dominazioni europee non era sino a ieri segnata la nostra. Ebbene soltanto sbarcando qui a Rodi noi abbiamo avanzata verso l’Asia la prima avanguardia della nostra potenza. Rodi è una navicella che sta per toccare il porto dell’immensa Asia. Noi siamo a prua. Già abbiamo gli occhi sull’Asia. Domani sbarcheremo.

Ecco la ragione importante del tenere le isole.

Non ho accennato all’Europa con la quale so che l’Italia deve fare i conti. Ma so che prima di tutto una nazione deve conoscere il suo dovere. Poi adoprare intelligenza e coraggio. Poi, se le forze troppo superiori impediscono, per lo meno è in pari con la sua coscienza.