Simpatie di Majano/IV
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IV.
Sapevo bene che il Ficino, Pico della Mirandola, Leonardo Aretino, il Boccaccio, questi grandi nomi le avrebbero fatto effetto.
Ella mi scrive: «Capisco che per la Firenze del rinascimento le colline fiesolane, i dintorni di Majano, furono quello che per la Roma del gran secolo i colli tusculani e tiburtini, la villeggiatura preferita dei letterati.»
Ella non poteva dire una più esatta verità.
E poteva aggiungere che gli amici di Lorenzo il Magnifico e di Platone trovavano a Camaldoli in Casentino più alti e più tranquilli recessi, come gli amici di Augusto e di Mecenate nelle montagne della Sabina.
Ma, per restare ai colli, il Ficino fece lunga dimora qui, a due passi dalla villa Leader, nella villa dei Valori che appartenne recentemente ad un celebre avvocato; così celebre che il popolino dice ancora: — La sapete più lunga del Panattoni.
Colà il Ficino stette raccolto e in quiete a dar l’ultima mano a tutta intiera la sua classica versione latina di Platone: e l'ospite, Filippo Valori, prendeva una parte molto intima al colossale lavoro.
Dopo che Ruggero Bonghi colla sua magnifica traduzione italiana ha rimesso in onore la filosofia di Platone anche nei tempi nostri così poco platonici, Ella sa che questa filosofia è esposta in forma eli dialoghi. Uno dei dialoghi ha il titolo di Timeo, ossia Della natura: e merita tutte le sue simpatie perchè ci insegna a — venerare sopra ogni cosa Iddio, il quale creò tutte le cose buone per sola benignità della sua provvidenza.
Il Ficino, come agli altri dialoghi, così a questo premette un eruditissimo e profondo commento, e nel chiuderlo scrive a Lorenzo il Magnifico (come Ella vede, siamo fra gente ammodo) che egli aveva determinato di limitarsi a un breve scritto, ma che — Filippo Valori, generosissimo erede del valore di casa Valori, lo obbligò a diffondersi. — Il Ficino non poteva non usargli deferenza: oltre l’ospitalità, Filippo provvide del proprio, d’accordo col fratello Niccolò, a stampare tutte le opere platoniche da lui tradotte. Il platonismo era diventato religione di famiglia in casa Valori: giacché Bartolommeo padre e Francesco zio di Niccolò e di Filippo furono anch’essi ardenti platonici. Sotto gli auspicii di Platone erano amicissimi dei Medici: Niccolò scrisse in elegante latino la vita del Magnifico (lo chiamavano Lorenzo il magnanimo) e pare che Filippo la traducesse in italiano.
Il figlio di questo, Bartolommeo, spinse la devozione ai Medici fino ad essere commissario di Clemente VII contro la libertà fiorentina: ma forse lui credeva di far il bene della patria: quando vide la signoria dei Medici diventar tirannia, li rinnegò e seguì a Montemurlo lo Strozzi: colà fu preso con due dei suoi giovani figli; il Duca Cosimo non risparmiò la testa che al secondogenito: il primogenito Filippo seguendo il padre al patibolo ebbe a lagnarsi di avergli troppo obbedito. Povero giovine! rimpiangeva probabilmente le tranquille delizie di questo colle di Majano che a que’ tempi veniva chiamato colle Valori, in omaggio allo splendore della casata. Quanto alla villa che possiamo chiamare la villa di Platone, il Duca la confiscò a benefizio del suo maestro di camera. Servidorame e servitù! così portavano i nuovi e duri destini di Firenze. Del resto altri altari su questa collina ardevano incenso al divino Platone.
Dalla terrazza della villa Leader, come dalla vaga loggia dei Valori, si vede di fronte la villa della Querce: colà stavano nei tempi platonici i tre fratelli Benivieni, tutti e tre illustri per loro merito, tutti e tre platonici secondo portavano i tempi.
L’uno, medico insigne in teoria e in pratica, si meritava una bella elegia dal Poliziano.
L’altro, quantunque canonico di San Lorenzo, difendeva a viso aperto e con penna vigorosa il Savonarola; quantunque aristotelico nel suo ufficio di professore a Pisa, quantunque così sottile teologo da meritarsi il soprannome di piccolo Scoto... (signora mia... non si metta mai in testa di penetrare la teologia del dottore Scoto se non vuol perder la testa: si contenti di riderne con Rabelais), era nel suo intimo così platonico che il Ficino lo chiama suo complatonico... Il terzo, poeta, coltivava il lato poetico di quella filosofia... Ella ha già indovinato che cantava l’amor platonico: infatti la sua Canzone dell’amore celeste e divino ebbe l’onore di un comento di Pico della Mirandola suo amicissimo: si aiutavano negli alti pensieri, nei sublimi affetti, nelle buone opere di carità: e riposano nella stessa tomba a San Marco di Firenze, la residenza del Savonarola. Così poeta e ingenuo il nostro buon Benivieni, da scrivere a Clemente VII in favore del Savonarola e della libertà fiorentina! Immagini se quello era papa da commoversi per epistole?...
Sparsa per questi colli, la tribù platonica aveva il suo centro villereccio a Fiesole nella villa di Lorenzo il Magnifico e le benedizioni di Antonio Agli vescovo di Fiesole; e sotto Fiesole il Poliziano invitava il Ficino nella sua villetta a modeste cene, che speriamo non saranno state troppo platoniche: a cena conviene meglio l’allegra filosofìa di Aristippo e di Epicuro. Mi piace che l'anima sia nutrita da Platone: ma, signora mia, non conviene trascurare il corpo.
Anche in questo, parlo a chi m’intende: Lei abborre gli abbrutimenti, ma rispetta i diritti del corpo. È una delle cose che mi piacciono tanto in Lei, cara Contessa: che Ella non sia di quelle mezze creature tutte nervi, vapori, che bevono rugiada e mangiano profumi; alle quali Iddio ha concesso inutilmente i muscoli e gli organi della digestione. Desinare con Lei è una festa: l’appetito non le manca mai: Ella sa anche vuotare allegramente un bicchiere di vino buono.
Quassù la vorrei vedere, dove è il regno dell’appetito e del vino buono.
Il Redi, gran maestro di Bacco in Toscana, nemico delle ipocondrie, ci veniva spesso, alla villa Salviati: e doveva assaggiarne di quello prelibato, poichè fa dire al suo Dio:
Fiesole viva, e seco viva il nome |
O il mio buon Redi! era il poeta favorito della mia prima gioventù: la serena festività del suo facile canto mi riposava dalle faticose ammirazioni scolastiche ai grandi epici, dalle tormentose interpretazioni di Dante, dalle terribili parafrasi di Virgilio, dalle spaventose traduzioni d’Omero. Quale voluttà in quei versi che si capivano senz’altro! E non c’entrava per poco la singolarità del metro con quella varietà di versi sterminati e minimi!... Ora i giovani si riposano colle lascivie dei nuovi poeti elzeviriani e non ammettono poesia che sia stampata coi versi che incominciano per lettera maiuscola.
Bacco è un Dio insipido: Venere vogliono, e Venere raffinata: Messalina per imperatrice, Giulia d’Augusto per principessa, la Suburra per campo: e ricorrono pei rimedi alle quarte pagine dei giornali.
A proposito di rimedi da quarta pagina, Ella avrà certo sentito parlare dello Sciroppo Pagliano, del quale le auguro che non abbia mai bisogno, appunto perchè guarisce tutti i mali. Veda destino! la villa di quel Salviati che viveva sano per virtù di Bacco, fu ai nostri giorni la proprietà del famoso professore Pagliano, principe dello sciroppo depurativo...
Ma nella villa Leader si ha ancora fiducia in Bacco sincero, come ai tempi del Redi; e al diavolo gli sciroppi, le quarte pagine e i poeti elzeviriani di Venere trivia... e triviale!
Vuoterò oggi alla sua salute, mia buona signora, un bicchiere di vecchio Majano: alla sua salute e alla durata della nostra amicizia.