Signorine/Numero del telefono 2635

Numero del telefono 2635

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I capelli della signorina Bibi Papà, un po’ di morale

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NUMERO DEL TELEFONO 2635

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Come era felice nella primavera dell’anno 1919 il giovane Marco!

Ciò può sorprendere dopo tanta guerra; ma la ragione è che l’anima di Marco era fiorita dopo la guerra. Noi, noi vissuti prima della guerra, portiamo con noi troppe melanconie. Il giovane Marco non portava nulla di queste cose. Portava nella sua valigia, pijamas di seta, abiti di squisita originalità (opera di misterioso artefice, o sarto come volgarmente si dice), portava cravatte dai colori che non aveva che lui, con spille che non aveva che lui, fazzoletti con trine arcaiche che non aveva che lui, e infine portava un profumo che era la sua personalità. Le sue mani, dalle unghie scarnificate, portavano anelli di oro pallido con perle [p. 108 modifica]e cammei. Nel cervello portava alcuni rari nomi di pittori e poeti, fra cui Apollinaire.

– Oh, Apollinaire!

Marco era indulgente, con bello ambiguo sorriso, per tutte le cose, fuorchè per la divina bellezza, riguardo alla quale era giudice severo.

Non enunciava mai la divina bellezza, senza un fremito che si comunicava alla chioma ondulata!

Con grande spasimo Marco aveva composto alcune liriche piene di terrore panico, fra le quali una su la guerra, alla quale non era stato; ma aveva saputo riprodurre la canzone delle mitragliatrici, e gli urli dei feriti.

Ma fatta eccezione di questa lirica, relativa a cosa, transeunte e contingente, egli non si occupava se non di ciò che vive sub specie æternitatis.

Avendo faticato a creare queste liriche, Marco riposò. E poi viaggiò. E viaggiando, aveva conosciuto altri fratelli, giovani come lui, nel culto della bellezza. [p. 109 modifica]

«Tu sei Marco?» «Io son Marco! E tu sei Luca. E tu sei Giovanni»: «Sì, io son Luca, io son Giovanni!»

E dopo aver viaggiato. Marco ritornò a Roma e riposava nei grandi hôtels.

Marco era libero da preoccupazioni economiche, perchè la sua anima era fiorita quando cinque lire valevano quello che era la vecchia lira; e i genitori di Marco avevano guadagnato tante lire!

Il numero del telefono dei genitori di Marco era 2635.

Il babbo e la mamma di Marco erano un po’ stupiti come da loro fosse venuto fuori un figliuolo così. Ma dolcemente stupiti. Il babbo ebbe, a dir vero, qualche dubbio di essere lui il padre di Marco; e: «Sei sicura – domandò un giorno alla moglie – che Marco sia figlio di me?»

Ma la domanda era inutile.

Marco non soltanto era nato in casa, [p. 110 modifica]ma il naso, la bocca, ì piedi e le mani di Marco erano quelli di suo padre: uguale, uguale, fuorchè la proporzione, perchè il padre di Marco superava il quintale, e Marco era poco più della metà. Il padre di Marco beveva vino, ma Marco era astemio.

Il padre di Marco, anzi, diceva: «Questo mio figliuolo, tranne quello di fare le poesie (egli non sapeva la parola liriche), non ha altri difetti».

E che cosa ne nacque? Una meravigliosa rinomanza.

Egli era puro; e non soltanto nella lirica, ma anche nelle altre cose!

Forse non lo era: ma per quel dono che hanno quelli che sono in istato di grazia, capì che era bene lasciarsi credere puro.

E le dame e le damigelle di quella aristocrazia che frequenta i tea-rooms, le halles dei grandi hôtels, i viali di villa Borghese, guardavano, con i grandi occhi, Marco che era così bello e giovane, ed era puro. «Ma non ha mai amato lei?» gli domandavano le damigelle. [p. 111 modifica]

«Mai! Ohimè, mai!»

«Strano!»

E le damigelle guardavano colui che era puro, e non aveva mai amato.

«E – dicevan le dame – non avete gustato voi, Marco, in un bacio sia pur senza amore, tutte le fragranze della terra?»

Egli guardava le dame e diceva: «Io attendo».

«Ma che attendete?»

«Colei che deve venire».

«Con tante dame, damigelle come si fa ad attendere?» parevano esse dire.

Ma egli spiegava il gran mistero d’amore, e diceva alle dame e alle damigelle cose che le facevano rabbrividire: come conveniva vestirsi a modo di vestali, con tutte le bende ieratiche, e soffrire al gran rogo di amore. O anche non vestite, in perfetta nudità; ma soffrire sempre.

«No! no! la comune voluttà! Qualcosa come la transustanziazione dei sessi, il divino androgino, verrà! e in quel giorno [p. 112 modifica]l’ardore sarà così immenso che la materia corporea si dissolverà.

– Ma, signore – aggiungeva – Dante (questo nome egli lo nominava) non trasumanò forse la volgare Beatrice? È necessario, signore, creare la propria divinità!

Marco non era pittore, eppure per le dame e le damigelle disegnava simboli ai manti e alle vesti; e gli occhi medusei, e la piccola bocca atteggiata nei gridi supremi! Come nei figurini. Marco non era filosofo, ma ammaestrava nella impassibilità suprema verso tutte le cose che non fossero la divina bellezza. Marco non guidava le dame e le damigelle ai moti plebei delle danze moderne, ma insegnava i ritmi misteriosi del corpo: e la scalea meravigliosa delle Trinità dei monti era come palestra. Ma non oltre!

Poteva offrire all’adorazione un qualche suo prezioso monile, o la scatola niellata [p. 113 modifica]della cocaina, ma non oltre, onde le dame e le damigelle si sussurravano fra loro: «Ma è vergine costui?»

Egli fu chiamato l’annunziatore.

Ohimè ohimè, Marco, che facesti tu mai?

Quale distrazione ti colse? Come non pensasti tu?

Ah, fu irreparabile male! Perchè un giorno – ah! un cattivo demone lo beffò – egli diede alle dame il numero del suo telefono. Numero 2635.

E le dame dissero: «Andiamo a trovare Marco a casa sua!»

Chi erano queste dame?

Io non lo so, e nessuno lo saprà mai. Ma non importa.

Erano dame ibseniane, dai volti medusei, di quelle che sono nate al nord e in primavera vanno verso il sud.

Erano di quelle dame che ebbero forse marito ma hanno detto al marito: «la tua verità non è la mia verità», e affermano di [p. 114 modifica]avere sesso differente perchè hanno un’anima differente. Hanno il sogno infranto, e il volto dipinto: non chiamatele Noemi, chiamatele Mara.

Avevano grandi manti, sottili caviglie e penne di colibri.

Sappiamo che il babbo di Marco si vide d’improvviso apparire le meravigliose dame.

«Noi abbiamo certamente sbagliato – esse dissero. – Questo non può essere il numero del telefono 2635».

«Signore mie, questa è la mia casa e questo è il mio numero, 2635».

I grandi occhi delle dame si guatarono fra loro.

Disse una: «È impossibile che qui abiti Marco».

«Marco, mio figlio? abita qui».

«Voi, il padre di Marco? Oh!».

«Credo bene di sì».

«Marco il poeta?».

«Ohimè, sì, signore mie. Ma si accomodino, ma entrino. Ora lo vado a chiamare». [p. 115 modifica]

Le dame non si accomodarono; e nemmeno osavano entrare.

Tremavano.

«È impossibile» diceva l’una all’altra.

«Ora chiamo Marchino» disse il babbo. E chiamò: «Marchino! Marchino!»

«Ma quell’uomo è lui! – disse allora una delle dame. – Si assomiglia a lui».

Quell’uomo, con un grembialone concavo per il gran ventre, stava ritto davanti a loro; e nella forte mano stringeva un coltello.

Un terrore panico prese le dame. Su la bottega era scritto: Formaggio pecorino, norcineria e generi affini.

Le dame ad una ad una sparvero senza far motto.