Sermoni giovanili inediti/Sermone XIV

Sermone XIV - La Beneficenza

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SERMONE DECIMOQUARTO.


LA BENEFICENZA.




Il fior, che langue sullo stelo adusto,
     Lieto s’avviva allor ch’una benigna
     Stilla in seno gli piove, e de’ lucenti
     Raggi lo pinge ond’iride si abbella.
     5Tale e più dolce in core alle affannose
     Genti discende della voce amica
     Il suono confortevole, che niove
     Dall’afletto gentil, che indarno tocco
     Non è dal senso dell’altrui sciagura.
     10Quando, alla vista di chi piange, il pianto
     In noi si desta, e rapida la mano.
     Quasi vincendo del pensiero il lampo,
     Solleva o regge il misero che cade,
     Natura fa sua voglia manifesta,
     15Che ad innata pietà l’anima inspira.
     Ma se natura dal costume è vinta,
     Qual pura fonte di scorrevol vena
     In livida si muta onda stagnante;
     Qual di frutti soavi arbor felice
     20In duro tronco ed arido è converso!
Noi, che al dolore e alla fatica nati
     Siam tutti, all’immortai spirto congiunte
     Portiam spoglie caduche, a doppio fato
     Devoti. L’invisibile sostanza
     25Alla palpabil forma in noi s’annoda
     Sì che fra lor propagasi con certa

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     E perpetua vicenda il moto alterno.
     Quella duce e regina il volo spanda
     Libero in traccia del verace lume,
     30Ove, come in suo ben, riposi il nostro
     Incerto desïar: questa ministra
     Tali le porga ben temprate penne
     All’ali leggerissime, che il corso
     Non ne contenda con fallace intreccio,
     35O stremo di vigor non renda manco.
     Il suon m’offende dell’ingrate note,
     Se da imperita man cetra si tocchi;
     O mal risponda alle maestre dita
     La ruvida stridente indocil corda.
40Duplice di bisogni e di fatiche,
     Di amene voglie e di mordaci cure,
     Dalla sorgente duplice deriva
     In noi ramo diverso; ed è pur sola
     Una la foce che all’uscir n’è dato,
     45Non una del cammin vario la meta.
     Alla parte miglior guarda, e t’avvedi
     Che veritade all’intelletto è luce,
     E che la pura coscïenza è scudo
     All’agitato core. Al vero fanno
     50Ignoranza ed errore eterna guerra:
     E nemica del bene è la proterva
     Brama e l’illusïon vana e bugiarda.
     Sai tu quale a sè rechi e agli altri oltraggio
     Chi dalle fosche tenebre ravvolto
     55Incerto move o temerario il piede?
     Per improvviso turbine si oscuri
     Il cielo, e frema il mare in gran tempesta.
     L’incauto pescator, che mal de’ remi
     Si conosce, urta colla fragil barca
     60Al primo scoglio, ed in balía dell’onde

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     Coi fidati compagni erra sbattuto
     Dalle cozzanti furie, insin che trovi
     Entro ai profondi vortici la tomba.
     Mentre l’ardito notatore in salvo
     65Col volteggiar degli addestrati fianchi
     Corre; e il nocchiero impavido, sfidando
     L’ira de’ venti, ammaina le vele,
     Le sirti sfugge, e la spalmata nave
     Guida secura ad ancorare in porto.
70Deh! meno avara suoni e non s’arresti
     Sul freddo labbro la vital parola
     Che illumina, consola ed avvalora
     Le combattute squallide raminghe
     Turbe infelici. A che menar ti giova
     75Di fraterna pietà vanto, se lasci
     Nel fratello languire, o dal maligno
     Soffio turbata l’immortal scintilla,
     Quasi obbliando che di solo pane
     L’uomo non vive? Attonito e confuso
     80Fra ribrezzo e sgomento a che ti lagni
     Se di miserie e di nequizie il mondo,
     Ribocca e geme? Alla radice attendi,
     E te prima che altrui danna e correggi.
So che de’ mali l’orrida caterva
     85Opra non vale a sbandeggiare appieno:
     Ma quanta parte prevenirne e quanta
     Allevïarne può la miglior norma
     Di privato e di pubblico costume,
     Pronto sentenzïar con equa legge,
     90Intatta l’ala dell’ingegno, aperto
     All’arti industri e alle onorate imprese
     Un facile sentiero, ai fatti degni
     Serbato il premio che a viltà si neghi;
     Integra fede, e nelle menti sane

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     95Accorto antiveder, cui non contrasti
     L’inerte braccio o di scorrette voglie
     L’ardente foga! A carità verace
     T’informi allor, che provvido soccorri
     Ai danni ch’evitare indarno cerchi.
     100D’infermi vecchi e di orfanelli ignudi,
     Di scapigliate vedove, cui manca
     Asilo pane refrigerio e scampo,
     Odi il lamento, il gemito e le strida
     Di pianto miste. Placido e soave
     105Scenda sovr’essi, qual fresca rugiada
     Sull’arid’erbe, il balsamo che reca
     Anco all’alma salute e lena. Ad essi
     Sia riserbato l’obolo, che incauta
     Mano, a cessar dell’importuna ciurma
     110Il chiedere procace, in grembo getta
     Spesso al ribaldo, che fra l’orgie impure
     Consuma il frutto dell’altrui fatica.
D’ignavia è madre e di corrotte usanze
     Mendicità; ma il poverello umíle,
     115Che incolpevole a te quasi non osa
     Stender la destra tremula, confondi
     Collo sfacciato incettator, che scaltro
     Piaghe e casi mentisce, ove una sola
     All’innocente e al reo pena ne incolga.
     120L’uno ritrovi in suo fido ricetto
     Tale un conforto, che il segreto duolo,
     O l’ aperta vergogna, o il dono acerbo,
     O l’amara ripulsa gli risparmi.
     All’altro scocchi con securo dardo
     125Il tuo rifiuto; e rigida maestra
     Esperïenza dal suo lezzo il tragga.
Se al trasognare di cervelli insani
     Badi, oh! quale saría di compier dato

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     Miracol novo a lui, che il freno regga
     130Di popoli soggetti, ove al soperchio
     Di questo attinga ed il difetto adempia
     Di quello sì, che fino al nome ignota
     Più del beato secolo non esca
     Povertade a turbare i sogni allegri.
     135Vana lunsinga e stolta, onde l’altezza
     Precipita di pochi, e in fondo tutti
     Confusamente giacciono battuti,
     Fin della speme del risorger privi.
     A te del vario di fortuna metro
     140Aperte son le origini diverse,
     Onde vario di uffici ordin discende.
     Vedi fiume regal, che onuste travi
     Sul dorso porta ai più remoti lidi;
     Vedi ruscel, che limpido l’arsura
     145Del picciol orto a ristorar serpeggia.
Mal di ricchezza e povertà segnato
     È il confine mutabile, che norma
     Or dal riscontro di commosso speglio,
     Ora da larve al desïare infide,
     150Or dall’opinïone incerta prende.
     Poveri e ricchi son, come di pronti
     Ingegni o pigri, di gagliarde o vili
     Opre, e di lieti o di contrari eventi
     Ora sorride, ed or s’attrista il mondo.
     155Per orgoglio ed invidia ésca s’accende
     Alla discordia delle avverse schiere,
     Che in santi d’amistà nodi congiunte
     Volle colui, che al beneficio invita
     Con recondita gioia, a cui soave
     160Di grato core il palpito risponde.
Dalla modesta povertà, che lieta
     Vive del poco e alla diman provvede,

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     La turpe inopia o squallida discerni,
     Che l’aere appuzza del suo fiato o assorda
     165Di fameliche grida. A quella schiudi,
     D’inciampi sgombro, libero e sicuro
     Il diritto cammin; nè duro incarco
     Ne pieghi i travagliati omeri a terra.
     Questa d’altra ragion chiede rimedi.
     170Ma quando l’ora ad apprestarli avvenga,
     Chi dispensiero o giudice ne fia?
     Forse chi gira del comun tesoro
     Le chiavi? Oh! novo di virtù strumento
     Il gabellier, che la moneta estorce
     175Dal borsellino, e assottigliata e tarda
     Per lunghi e tenebrosi aditi a caso
     Cader la lascia nell’ingordo sacco
     Di chi più forte incalza, o con più destri
     Avvolgimenti lubrico si striscia.
     180Oh! nova di virtude arte, che piglia
     Dalla forza suggello; e la possanza
     Del merto toglie, e la memoria, e il dolce
     Di generosi affetti e di gentili
     Grazie ricambio. O voi, che dall’ignavia
     185Scuote talor l’inesorabil fame,
     Via la stridente sega ed il pesante
     Martel gettate; e fra i ricolmi nappi,
     Gavazzando ed empiendo il ventre cupo,
     Lungi sbandite il torbido pensiero
     190Della diserta moglie e degli ignudi
     Figli, che chiedon pane. Alla diserta
     Moglie ed ai figli ignudi ed a voi stessi
     Nel vicino domán la facil arca
     Del tesoro comun s’apre, e il decreto
     195Muta d’Iddio, che del lavoro sacra
     Fece la legge e col bisogno punse

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     L’uomo cui diede sentimento e possa
     D’intelletto e di nerbo; e sacra fece
     De’ con forti scambievoli la legge,
     200Per cui si compie l’armonia del nostro
     Breve corso mortal. Ma impunemente
     Mai non si calca dell’error la via.
Come per importuna acqua la vampa
     Più si dilata di vorace fiamma,
     205Così l’ambizïosa, arida e falsa
     Beneficenza col prometter largo
     Seduce e inganna; e coll’attender corto
     Ai pochi dona, ai molti nega, a tutti
     Toglie, e la piaga che sanar presume
     210Moltiplica, fomenta, a peggio tira.
     Alla nativa carità serbato
     Sia l’impulso spontaneo, l’accorto
     Sguardo, la cura vigile e l’affetto
     Che di se stesso si compiace e pasce.
     215Talvolta, il so, cieco è l’affetto e crede
     Che per la intenzïon buono riesca
     Anche il ristoro onde il malvagio ride.
     Ma sempre da ragion prende consiglio
     Ogni bennato affetto, e non consente
     220Che allo scopo del bene il mal sottentri.
Nè rado è che per cumuli diversi,
     Mentre l’uno non sa quel ch’altri faccia,
     La volontaria offerta si comparta;
     E tanto abbondi all’un quanto scarseggi
     225All’altro. Molti ad offerire acconci
     Sono, ma pochi a giudicar per quali
     Segni si scopra e si misuri e come
     Soccorrasi il bisogno. In un raccolte
     Le sparse forze acquisteran vigore
     230Di mirabile tempra. A varie parti,

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     Come più adatto sia, ciascuno intenda;
     E tale intreccio alle disposte fila
     Si dia, che per interno ordine il moto
     Impresso al centro (ove con nodo industre
     235Mettano capo) si propaghi intorno
     Diversamente per diversi giri.
Qual di privato o pubblico ministro
     Meglio convenga a riparare i colpi,
     Onde siam tratti a lagrime fraterne,
     240Pur da questo ne appar, che l’uno stende
     O più larga la mano apre o ritira
     Come venga, s’accresca o l’uopo cessi.
     Quasi coperto di un incerto velo
     Il pungolo mantien che si rintuzza
     245Per soverchia fidanza. Ad amoroso
     Atto chinato dell’amore infonde
     La dolcezza ineffabile e segreta,
     Che a sopportare e a benedire insegna
     Anco la prova del dolore. A tanto
     250L’altro non basta, ed a contrario effetto
     Spesso conduce. Intempestivo o tardo,
     Largo ritroso, prolungato o manco,
     Viene, si arretra, intorpidisce o sfugge,
     Più che dal vôto cor dura prendendo
     255Dai misurati calcoli ragione.
     Indi si avviva la bugiarda speme
     Colla baldanza del sognato dritto,
     Che l’inerzia blandisce e l’odio alluma.
Non io vorrò, che ai pubblici statuti,
     260Pegno e memoria di pietade antica,
     Indicasi la guerra. Il tempo copre
     E con rodente ruggine consuma
     Il duro ferro, se pulito e terso
     Nol tieni con industre attenta cura;

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     265Perchè agli usi moltiplici si porga
     Atto dell’arti varïate o nove,
     Che la novella età trovi o migliori.
     Tale ne resti mònito scolpito
     Nella mente che saggia i temerari
     270Sprezza, e rifugge dagli opposti estremi.
     Per rispetto del bene il mal conserva
     L’indurata cervice; e il pazzo ingegno
     Per vaghezza del meglio il ben distrugge.