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138 sermone decimoquarto.

     95Accorto antiveder, cui non contrasti
     L’inerte braccio o di scorrette voglie
     L’ardente foga! A carità verace
     T’informi allor, che provvido soccorri
     Ai danni ch’evitare indarno cerchi.
     100D’infermi vecchi e di orfanelli ignudi,
     Di scapigliate vedove, cui manca
     Asilo pane refrigerio e scampo,
     Odi il lamento, il gemito e le strida
     Di pianto miste. Placido e soave
     105Scenda sovr’essi, qual fresca rugiada
     Sull’arid’erbe, il balsamo che reca
     Anco all’alma salute e lena. Ad essi
     Sia riserbato l’obolo, che incauta
     Mano, a cessar dell’importuna ciurma
     110Il chiedere procace, in grembo getta
     Spesso al ribaldo, che fra l’orgie impure
     Consuma il frutto dell’altrui fatica.
D’ignavia è madre e di corrotte usanze
     Mendicità; ma il poverello umíle,
     115Che incolpevole a te quasi non osa
     Stender la destra tremula, confondi
     Collo sfacciato incettator, che scaltro
     Piaghe e casi mentisce, ove una sola
     All’innocente e al reo pena ne incolga.
     120L’uno ritrovi in suo fido ricetto
     Tale un conforto, che il segreto duolo,
     O l’ aperta vergogna, o il dono acerbo,
     O l’amara ripulsa gli risparmi.
     All’altro scocchi con securo dardo
     125Il tuo rifiuto; e rigida maestra
     Esperïenza dal suo lezzo il tragga.
Se al trasognare di cervelli insani
     Badi, oh! quale saría di compier dato