Senz'amore/Nell'azzurro
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NELL'AZZURRO.
Era una giornata serena dello scorso agosto. Il cielo era tutto azzurro cupo, tranquillo, senza una nube bianchiccia o cinerea, che macchiasse di un'ombra nera le pendici rocciose dei monti; senza neppure quegli screzi rosei a tinte luminose e calde, che sono, sull'infinita serenità del cielo, come l'espressione dell'affetto sulla bellezza d'un volto.
Il sole alto del meriggio spandeva una luce bianca, abbagliante, monotona sul vasto piano della Brianza, ed appena le masse enormi delle montagne gettavano delle ombre scure sulle colline sottostanti.
Nelle adiacenze della villa tutto era fresco e rinverdito dalle pioggie recenti; i fiori abbondavano, e, con quel resto di profumo scampato alle frequenti lavature degli acquazzoni, attiravano i piccoli sciami di farfalle bianche, a svolazzarci intorno il loro giorno di vita.
M'avanzai sulla scalinata fuori dalle sale vaste ed ariose, facendo lunghe inspirazioni di quell'aria buona, e pensando che i contadini, se si nutrono male, se lavorano come negri, se patiscono ogni sorta di disagi, hanno però quel grande compenso dell'aria vasta, abbondante, pura dai miasmi e dalle esalazioni malsane delle grandi città. Hanno la luce, lo spazio e l'immensa bellezza della natura....
Pensavo codesto allontanandomi via via dalla villa, isolata nel suo largo piano di giardini e pergole e boschetti, ed avviandomi verso un gruppo di case coloniche sferzate dal sollione. Mi ricordavo i bei quadri del Santoro Rubens, tanto ammirati all'Esposizione di Torino, ed un po' trascurati dai critici; quei gruppi di case bianche, un po' screpolate, un po' scrostate, battute dal sole ardente del mezzodì, povere, nude, di cui la grande bellezza è la verità. E pensavo, come avevo pensato dinanzi ai quadri del Santoro, che avrei voluto vivere in quelle case, che il bello non è soltanto nelle ville e nei palazzi signorili; che, forse, la villa maestosa che mi ero lasciata dietro, era meno pittoresca di quei casamenti miserabili, a cui l'arte non avrebbe avuto bisogno d'aggiungere nulla, nulla fuorchè il loro immenso sfondo di cielo azzurro, per farne un bel quadro.
In tutto questo c'è la bellezza della semplicità, della natura. I contadini godono il meglio della creazione: vivono una vita primitiva, che è la vera vita, naturale, senza artifizi, e crescono più forti di noi, ed hanno meno impegni e meno crucci; e non hanno il cuore avvelenato dai nostri dubbi e dal nostro scetticismo, e conservano gli affetti vergini e forti. Oh, la pace serena delle campagne!....
Di passo in passo, e di paradosso in paradosso, giunsi nel cortile dei coloni. Sebbene avessi gli abiti corti, dovetti rialzarli qua, e poi là, e poi ancora là, per non insudiciarli in certe pozzanghere melmose, che le oche sorseggiavano beatamente, dimenando la coda in segno di piacere.
Una serie di pollai e di porcili, catapecchie di canne e di legna erette alla peggio, facevano un semicerchio di fronte alle case. Ogni famiglia aveva il suo, ed il cortile ne era circuito ed enormemente ristretto. Ed ogni famiglia possedeva il suo letamaio appena fuori dell'uscio. Sotto la vampa del sole, quelle grandi masse in putrefazione fermentavano, ed esalavano un puzzo atroce che avvelenava l'aria. E tra casa e casa, i fasci di canapa, rizzati ad asciugare, confondevano le loro esalazioni pestifere con quelle dei pollai, dei porcili, del letame. Erano ondate di malaria che mi sentivo entrare per la bocca, pel naso, per tutti i pori, e mi davano un senso di paura che mi limitava il respiro, come se, ad ogni inspirazione, dovessi ingoiare i germi di una malattia.
Ma i contadini non ne facevano caso. Le donne erano sedute sui rispettivi usci coi bambini in collo; i fanciulletti ruzzolavano in terra nel sudiciume, mangiucchiando un resto di zuppa, fatta con pane dì granturco e brodo di acqua e lardo. E gli uomini, che avevano finito quel banchetto, s'occupavano, chi a rassettare la canapa, chi a frenare col badile certi rigagnolotti nerastri e viscidi, che sfuggivano dalla base dei letamai, ricchezze disperse, che s'infiltravano nel suolo infecondo del cortile e delle stanze terrene.
Una giovane bruna, massiccia, con due larghi occhioni stupidi e chiari, annaspava matasse di seta, piangendo in silenzio; un pianto cruccioso, soffocato, punto drammatico, un vero pianto di dolore; un pianto di madre.
Non poteva parlare; furono le altre donne della sua casa, Maddalena la cognata, e la vecchia nonna, che risposero per lei. Aveva una bimba moribonda.
— Sono i denti, disse la nonna. È più d'un mese che sta male a quel modo; ma ora avrà presto finito.....
— In casa nostra i maschi sono forti, ma le bimbe non si salvano, soggiunse la Maddalena. Io ne ho perdute sei.... o sette?....
— Sette, suggerì la nonna.
— È vero, sette. Sono morte tutte. Cosa farci? Sono cose preparate.
— Il Signore ce le dà, il Signore ce le piglia, tornò a dire la vecchia, a cui il puzzo del letamaio insegnava l'apatica rassegnazione di Giobbe,
Un singhiozzo infrenabile della povera mamma; desolata, rispose a quella sentenza crudele. Continuò a girare l'aspo con una mano sola, mentre coll'altra alzava il grembiule, e vi nascondeva dentro le sue lagrime silenziose.
Salii al piano disopra per vedere la bimba malata. La finestra della stanza da letto era chiusa, e, di fuori, una specie di tettoia di paglia scendeva giù come una tenda, per intercettare quella poca luce che avrebbe potuto entrare da quell'apertura troppo stretta. Un odore di granturco, di frutti conservati, di saponata e di panni sporchi, respingeva indietro. La bimba moribonda era stesa sulla culla, e ravvoltolata in una quantità assurda di pannolini, di fascio, di gonnellino, di scialli, tutta roba di colore sospetto, che esalava un odore scellerato. Aveva coperto anche il viso con un cencio di salvietta.
In quell'ora ardente, in quei giorni canicolari, la cosa che faceva più spavento a quel cuore di madre, era l'aria; e soffocava la sua creaturina sotto quel mucchio di sudiciume per preservarla dal freddo.
La piccina era tutta gonfia, e sulle sue piccole membra arrotondate dall'edema, dovunque c'era una di quelle fossette che sono la grande bellezza dei bambini, il tempo aveva deposto una traccia nera. Non potei a meno di farlo notare alla madre, e di domandarle se non lavava la sua figliola.
Mi rispose che attribuiva la sua malattia all'averle lavati i piedini un mese prima, in luglio, coll'acqua del pozzo.
Le diedi un po' sulla voce; cercai di persuaderla che l'acqua non fa male, che la nettezza è il primo elemento di salute, che i bambini vanno lavati spesso, ecc., ecc.
Quelle donne m'ascoltavano meravigliate e la Maddalena disse:
— Ecco. Noi s'ha tanta paura a toccare i bambini coll'acqua fredda, e loro, che sono signori, non ci badano manco. Forse non si farebbe male a lavarli, come dice lei.
E la nonna, dopo un momento di riflessione, fece questa scoperta peregrina:
— E sarebbero anche più puliti!
Ridiscesi quel rompicollo di scala buia, e tornai nel cortile, seguita dalle tre donne.
La Maddalena teneva in braccio una piccola trovatella, che aveva presa a baliatico dall'ospedale, dopo aver sepolta, come la madre dei Macabei, la sua settima figliola. Era una bimba sottile fino alla trasparenza, delicata e bianca come un gelsomino, ma bella come l'amore dei mortali ne crea di rado.
— Madonna santa! Dice che è bella codesta? esclamò la nonna. Se pare un morticino!
— Sarebbe forse bella, disse la Maddalena che ci metteva dell'ambizione, se non fosse tanto distrutta e senza colore.
— Ma come volete che i bambini stieno bene con questo putridume d'intorno? Perchè avete messo la canapa qui? Non sapete che guasta l'aria, che la rende malsana?....
— Lo crede, signora? disse con aria di dubbio. Noi ci si è avvezzi e non si sente nulla. Si potrebbe ben metterla un po' più lontano la canapa.
— E i letamai? soggiunsi incoraggiata da questa mezza concessione.
Perchè non li trasportate giù nei campi lontano dall'abitato?
— Oh provvidenza cara! esclamò la nonna ridendo. E tutti si misero a ridere; poi un uomo si fece innanzi appoggiato al badile con un atteggiamento dottorale e mi disse:
— Ce lo metterebbe lei il suo scrigno, laggiù nei campi? Il letamaio, si figuri che sia il nostro scrigno; è di lì che caviamo quel poco pane. Se lo mettiamo lontano, come si fa a sorvegliarlo perchè non ce lo rubino?
— Ma intanto qui l'aria si guasta, ed i bambini muoiono. Sospirai scoraggiata da quell'argomentazione troppo convincente.
— Questo è vero che ne muoiono tanti, confermò la madre dei Macabei.
Ma cosa farci?
E la vecchia soggiunse:
— Vanno a star più bene di noi. Hanno finito di tribolare.
La madre della piccola malata continuava ad annaspare in silenzio, ingoiando tratto tratto un singhiozzo; ed ogni tanto mi guardava con certi occhi ebeti, traverso le lagrime, che facevano piangere. Non avevo mai visto dolore più represso e muto nella sua intensità. Se ne vergognava, e faceva sforzi inauditi per dissimularlo.
Il giorno dopo, quando tornai nel cortile, la bambina era morta.
— E la Teresa? domandai. È lassù presso il cadaverino della sua figliola?
— Che! mi risposero. È andata alla Madonna del Bosco. Dice che vuol star là tutto il giorno.
Se n'era andata, mentre il corpo della piccola morta era sempre là nella culla.
— È andata sola? domandai. Suo marito non è con lei?
— Oh signora! Suo marito è nei campi a lavorare.
— Povera donna! sospirai, addolorata dalla grande sventura che le era toccata.
— Crede, che m'è dispiaciuto anche a me? disse la nonna, dubitando quasi ch'io potessi prestar fede a tanta sensibilità.
— Ed alla mamma rincresce anche di più; soggiunse la Maddalena, che era riescita a questa scoperta dopo i suoi sette esperimenti.
Più tardi vidi il marito della Teresa seduto sul sasso davanti all'uscio col figliolo primogenito sulle ginocchia. Lo carezzava leggermente colle sue grosse mani; pareva un padre amoroso; credo che lo fosse realmente per quel fanciullo robusto; ma una bimba di pochi mesi, è troppo piccola e fragile cosa, per quelle rozze nature; non ha ancora una personalità; sembra a loro una puerilità il piangere per quell'inezia muta ed inerte nelle sue fasce, come si piange per una persona matura. Gli domandai della moglie, e mi rispose con aria da uomo che la sa lunga:
— Io gliel'ho detto alla mia donna, che non istia a far scene: che non va bene. Vuol ammalarsi anche lei?
— E la lasciate laggiù sola, alla Madonna?
Pietro mi guardò, poi si guardarono l'un l'altro, lui, la nonna e la cognata un po' confusi. Non capivano cosa pretendessi.
— Quando tornerà? domandai.
— Ma! disse la nonna. Non l'ha detto. Ha i suoi parenti da quelle parti; forse anderà da loro.
— Ma verrà prima di sera?
— Chissà! rispose il marito. Potrebbe restare a dormire da' suoi.
Erano tutti tranquilli. Nessuno si mostrava afflitto per la bimba morta, nessuno era inquieto per la madre, il cui dolore, in mezzo a quella rozza apatia, pareva un caso patologico, un esaltamento.
Cercavano anzi di scusarla, mi dicevano che era giovane, che era la prima volta che le moriva una creatura, e che era accaduta la disgrazia quando non ci era ancora preparata. E ripetevano come per riabilitarla ai miei occhi:
— Ma fra qualche giorno le passerà, e non ci penserà più.
Ero tormentata dal pensiero di quella donna abbandonata a sè stessa, con quel gran dolore, in un luogo solitario. Pensavo ad alcune mie amiche inconsolabili, che, dopo molti anni, piangono ancora amaramente i figlioletti perduti, e soffrono al vedere un bambino di quell'età.
Pensavo di che compianto, di che doglianze, di che venerazione noi circondiamo quel santo dolore di madre, senza che ci riesca tuttavia di mitigarlo. E fremevo all'idea di quell'anima desolata e sola nell'isolamento della campagna, senza una parola amica per confortarla, senza uno sguardo amoroso che vegliasse su di lei. Ai piedi della Madonna del Bosco sapevo che scorre l'Adda; e sapevo pure a che consigli estremi e disperati può condurre un gran dolore.
Tutto il giorno fui in pena; e quando cominciò a farsi buio indussi Pietro ad andare in cerca della moglie. Ci andò per compiacermi, senza comprendere di cosa avessi paura.
Non c'erano che due chilometri, e tornò presto, tranquillo come quand'era partito.
— È andata da' suoi, mi disse. Gliel'ho detto ancora che non deve crucciarsi a quel modo. S'avrebbe pari se s'avesse a far così. Anche a mio fratello è morta una bimba quest'inverno; e bella, e prosperosa! È morta in due giorni di quel male in gola; ed aveva già quattro anni....
— Ma anche a lui sarà dispiaciuto...., osservai.
— Siii; sulle prime gli è dispiaciuto tanto; ma cosa farci? È venuto con me una giornata; siamo stati fino alla sera a Lecco.....
Prima di lasciare la campagna andai daccapo a vedere della Teresa. Era tornata, ma non era in casa. Domandai come stesse:
— Oh le è passato, mi risposero parecchie voci; poi la Maddalena soggiunse:
— Forse di dentro le rincresce ancora; ma ora è ragionevole.
Passando nell'orto vidi la Teresa, curva a terra che raccoglieva delle patate. La chiamai e si rizzò per salutarmi. Aveva gli occhi rossi e le lagrime le rigavano il viso. Se le asciugò in fretta col rovescio della mano, e si sforzò di sorridere nel dirmi:
— Buon giorno, signora.
Aveva il pianto alla gola e le tremava la voce, povera donna. In quella venivano in su due contadini, un giovane ed un vecchio, curvi sotto il carico enorme di cinquanta chilogrammi di fieno, che portavano sul capo. Sotto quella frangia di erbe penzolanti che li soffocava, il loro volto era violaceo, le vene erano turgide, gli occhi iniettati per lo sforzo. Le goccie di sudore, dalla fronte scendevano sulle ciglia, e prima di cadere pendevano tremolando come lagrime. Nel passarci accanto il più vecchio guardò la Teresa, e fece l'atto di crollare il capo, che però il peso esorbitante gli constringeva all'immobilità, e disse con voce strozzata dallo sforzo:
— È ancora giovane, povera figliola. Lasci passare degli anni, e poi lo capirà anche lei, che quelli che stanno meglio sono quelli che se ne vanno in paradiso.
Tenni dietro coll'occhio a quella vecchia figura ricurva, schiacciata sotto quel carico inumano. Dio gli conservi la fede consolante del paradiso!