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sedute sui rispettivi usci coi bambini in collo; i fanciulletti ruzzolavano in terra nel sudiciume, mangiucchiando un resto di zuppa, fatta con pane dì granturco e brodo di acqua e lardo. E gli uomini, che avevano finito quel banchetto, s'occupavano, chi a rassettare la canapa, chi a frenare col badile certi rigagnolotti nerastri e viscidi, che sfuggivano dalla base dei letamai, ricchezze disperse, che s'infiltravano nel suolo infecondo del cortile e delle stanze terrene.

Una giovane bruna, massiccia, con due larghi occhioni stupidi e chiari, annaspava matasse di seta, piangendo in silenzio; un pianto cruccioso, soffocato, punto drammatico, un vero pianto di dolore; un pianto di madre.

Non poteva parlare; furono le altre donne della sua casa, Maddalena la cognata, e la vecchia nonna, che risposero per lei. Aveva una bimba moribonda.

— Sono i denti, disse la nonna. È più d'un mese che sta male a quel modo; ma ora avrà presto finito.....

— In casa nostra i maschi sono forti, ma le bimbe non si salvano, soggiunse la Maddalena. Io ne ho perdute sei.... o sette?....

— Sette, suggerì la nonna.

— È vero, sette. Sono morte tutte. Cosa farci? Sono cose preparate.

— Il Signore ce le dà, il Signore ce le piglia, tornò a dire la vecchia, a cui il puzzo del letamaio insegnava l'apatica rassegnazione di Giobbe,