Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XIV. - Sui Parapegmi o Calendari astro-meteorologici degli antichi/V. - Primi studi sul grande anno e sui cicli luni-solari; Cleostrato, Arpalo, Enopide, Filolao; Democrito e il suo Parapegma

V. - Primi studi sul grande anno e sui cicli luni-solari; Cleostrato, Arpalo, Enopide, Filolao; Democrito e il suo Parapegma

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V. - Primi studi sul grande anno e sui cicli luni-solari; Cleostrato, Arpalo, Enopide, Filolao; Democrito e il suo Parapegma
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V. Primi studi sul grande anno e sui cicli lunisolari; Cleostrato, Arpalo, Enopide, Filolao; Democrito e il suo Parapegma.


Il concetto fondamentale di una connessione reciproca di tutte le parti della natura fu la sorgente da cui derivarono per più secoli tutte le indagini fatte dai Greci per giungere ad intendere l’andamento dei fenomeni atmosferici e a prevederne le vicende per l’avvenire. Data infatti tale connessione, e supposto (come allora si doveva) che le appiarenze degli astri e delle meteore abbiano sede comune, o almeno sedi vicine, nelle regioni superiori; era ovvio concepire l’idea, che tali apparenze dovessero essere fra loro collegate nelle cause e nel modo d’azione. Nè a questa conclusione si opponevano i fatti comunemente conosciuti; l’influsso del Sole e del suo annuo [p. 252 modifica]periodo eran troppo manifesti, sia considerati nel tempo (stagioni), sia considerati geograficamente (climi). Veramente questo influsso, per ciò che concerne l’atmosfera ed i venti, non si mostra con quella regolarità e costanza, che si potrebbe aspettare; le perturbazioni sono incontestabili, o certamente non senza causa. Era logico e naturale cercare questa causa negli astri più cospicui dopo il Sole, e specialmente nella Luna, al cui periodo parevano informarsi anche allora certi fenomeni dell’atmosfera, del mare, e della natura organica1.

Per l’indagine di tali influenze fu presa come base una idea altrettanto semplice, quanto ingegnosa. Dato che tutto dipenda principalmente dal Sole e in seconda linea dalla Luna, e che si possa provvisoriamente negligere la considerazione degli altri corpi celesti di tanto minor luce e appariscenza; è chiaro che l’influsso combinato dei due astri dovrà riprodurre i medesimi effetti tutte le volte che essi occuperanno simultaneamente le medesime posizioni noi rispettivi periodi. Se quindi si potrà trovare una durata di tempo tale, che comprenda un numero intiero di periodi lunari e solari, tale durata potrà considerarsi come il vero anno cosmico, in capo al quale, tutti gli effetti naturali, in quanto sono connessi col moto dei due luminari, debbono riprodursi. Così nacque il famoso problema del grande anno sul quale tanto studiarono i Greci, specialmente nel quinto secolo avanti Cristo. Esso non aveva soltanto per oggetto di ottenere un ordine fisso ed uniforme per il calendario; ma ancora, e più, quello di prevedere i fenomeni del Sole, della Luna, delle stelle, le vicende dei venti, delle piogge e delle tempeste. Passiamo ora brevemente in rassegna (per quanto la scarsità delle notizie a noi tramandate lo concede) i lavori e le speculazioni, a cui le idee qui sopra esposte hanno dato origine.

Abbiamo già nominato qui sopra Cleostrato da Tenedo (520), de’ cui lavori il tempo ha lasciato sopravvivere poche memorie2. Pare che egli abbia studiato il moto annuo del Sole [p. 253 modifica]fra le stelle con maggior precisione, che non facesse Anassimandro: ed abbia determinato pel primo le undici costellazioni zodiacali (dico undici, perchè la Libra fu formata più tardi colle due zampe anteriori dello Scorpione). Al suo nome si connettono i primi indizi delle ricerche concernenti il grande anno; anzi da un autore è attribuita a lui la prima invenzione del periodo lunisolare detto ottaeteride, il quale conteneva 99 lunazioni distribuite in otto anni solari. Questo periodo tuttavia era noto ai Greci in tempi anteriori a Cleostrato, e se ne trovano numerose tracce nell’ordinamento di varie feste religiose e civili della nazione. Citerò soltanto i giuochi Olimpici, i quali si celebravano a luna piena, alternatamente ad intervalli di 49 e di 50 lunazioni: ed i giuochi Pitici, che nei tempi più antichi si facevano a Crissa presso Delfo ad intervalli di 8 anni. Tale ciclo è assai imperfetto, quale si conviene ai secoli anteriori alle guerre Mediche. Infatti 8 anni rappresentano per noi prossimamente 2922 giorni, mentre 99 lune durano realmente 2923 ½ giorni. Qualunque sia la disposizione adottata o la distribuzione dei mesi pieni e cavi (cioè di 30 e di 29 giorni), non è possibile evitare dopo 8 anni una discordanza di un giorno e mezzo fra il corso del Sole e quello della Luna; discordanza che accumulandosi in capo a poche ottaeteridi doveva diventar sensibile anche agli osservatori di quel tempo. Noi possiamo credere, che Cleostrato abbia cercato di appianare in qualche modo la difficoltà, della quale il vero carattere è chiaro per noi, ma certamente non altrettanto per lui; in qual modo l’abbia fatto, quale durata abbia stabilito per l’ottaeteride, e come vi abbia disposto le lune e gli anni, è intieramente oscuro. Che egli abbia preso l’ottaeteride come base per definire con qualche precisione il ritorno dei fenomeni astronomici e per fissare le epoche più importanti delle vicende atmosferiche è più che probabile, quantunque non ci sia attestato in modo positivo.

Qualche maggior notizia abbiamo da Arpalo3 (470?); il quale pare intraprendesse di riformare l’opera di Cleostrato, [p. 254 modifica]o ad ogni modo, di correggere nuovamente l’ottaeteride, il cui andamento non poteva a lungo conciliarsi coi periodi della Luna e del Sole simultaneamente. Secondo Arpalo l’anno solare comprendeva prossimamente 365 ½ giorni. Otto anni gli davano dunque 2924 giorni, i quali si potevano facilmente ordinare in 99 mesi, facendone 53 pieni e 46 cavi. Questa disposizione risponde abbastanza bene al corso della Luna, avendosi 99 lune = 2923 ½ giorni; ma devia troppo dal corso del Sole secondo cui 8 anni = 2922 giorni. Arpalo lasciò scritti che esistevano ancora ai tempi di Plinio; e questi lo cita fra gli autori di Calendari astrometeorologici da lui consultati.

Quello dell’ottaeteride fu il primo tentativo per arrivare alla determinazione del grande anno, o del periodo che riconduce i medesimi effetti del Sole e della Luna; coll’aiuto del quale, dalle osservazioni di otto anni si supponeva possibile di prevedere con sufficiente sicurezza, giorno più, giorno meno, tali effetti per gli otto anni successivi. Ma presto si presentò il problema di comprendere nel grande anno anche le rivoluzioni dei pianeti, i quali cominciarono ad esser meglio conosciuti in Grecia appunto verso quest’epoca. Tale fu certamente l’idea che ebbe Enopide di Chio, filosofo Pitagorico contemporaneo di Anassagora (450), quando propose il suo grande anno composto di 59 anni solari; del quale tanta gli parve l’importanza, che ne fece scolpire l’ordine e la divisione sopra una tavola di bronzo, affissa pubblicamente in Olimpia. Questo è il primo esempio accertato di un parapegma astronomico; cioè di un calendario ciclico affisso in pubblico e proposto per l’uso generale. L’intervallo di 59 anni solari rappresenta molto esattamente il doppio della rivoluzione di Saturno, e abbastanza bene il quintuplo di quella di Giove; quelle di Venere e di Mercurio nel sistema geocentrico sono identiche al periodo annuo del Sole: delle rivoluzioni di Marte nè allora, nè poi ancor per molto tempo si ebbe un’idea esatta, a cagione delle grandi divagazioni che fa questo pianeta. La lunghezza dell’anno solare era assunta da Enopide in giorni 365 22/59; questo numero, moltiplicato per 59 dà come durata totale del ciclo giorni 21557 e 730 lunazioni quasi esattamente. Il ciclo di Enopide rappresenta bene il moto della Luna, ma non altrettanto bene quello del Sole, perchè in realtà 59 anni solari non arrivano a 21550 giorni. Era tuttavia un [p. 255 modifica]notevole progresso rispetto all’ottaeteride d’Arpalo. Enopide fu altresì osservatore; scrisse sulle cause dell’inondazione del Nilo, e sul calore interno della Terra. Il suo nome è registrato da Plinio fra gli autori di astrometeorologia da lui consultati4.

Il periodo di 59 anni ebbe la sua fase di celebrità; da vari scrittori è nominato come rappresentante del grande anno cosmico, e come tale fu adottato altresì da Filolao di Taranto (430), celeberrimo Pitagorico, le cui speculazioni sulla struttura dell’universo hanno tanta importanza nella storia dell’antica astronomia. Ma la divisione da lui adottata di questo periodo, anzi che presentarsi come risultato di nuove e diligenti osservazioni, deriva da una ingegnosa, benchè poco felice, applicazione delle proprietà misteriose dei numeri, delle quali, come è noto, la setta Pitagorica fece tanto abuso. Filolao cominciò per stabilire, che l’anno solare dovesse essere di 364 ½ giorni, durata assai più lontana dal vero, che quelle di Arpalo e di Euopide; e perchè l’abbia fatta tale, vedremo subito. Cinquautanove di tali anni gli davano giorni 21505 ½, i quali egli ripartiva in 729 lunazioni di 29 ½ giorni ciascuna. Con queste egli formava 38 anni comuni di 12 lune, e 21 anni intercalari di 13 lune.

Quanto fosse errato questo computo rispetto ai periodi veri del Sole e della Luna si può vedere, notando che per noi 59 anni solari danno giorni 21549,3 e 729 lune danno giorni 21527,8; mentre Filolao ne contava soli 21505 ½. Ma dal punto di vista Pitagorico il mondo doveva essere regolato secondo i misteri dei numeri; e sotto tale riguardo il grande anno filolaico era veramente maraviglioso. Poichè il numero delle sue lunazioni, cioè 729, era il quadrato del numero 27, che esso stesso è il cubo del sacro numero 3. Il numero 364 ½ dei giorni contenuti in un anno godeva poi di analoga proprietà. Contando infatti come unità separata di tempo la parte chiara del giorno e la notte scura come un’altra unità (siccome è prescritto dalla natura stessa delle cose), il numero di tali unità diurne e notturne contenute in un anno riusciva il doppio di 364 ½, cioè di nuovo 729, cubo-quadrato di 3; onde questo risultava tanto dal Sole, quanto dalla Luna. Quali [p. 256 modifica]eleganti inezie! esclamerà il lettore. Ma purtroppo la filosofia naturale dei Greci aveva cominciato a deviare dalla dritta via per cui l’avevano avviata i suoi fondatori Talete ed Anassimandro.

Questa via invece si studiò di seguire Democrito di Abdera (480-380), gran maestro di osservazione e di scienza positiva, che cogli altri atomisti si può considerare come il legittimo continuatore dei filosofi ionii. Durante la sua lunghissima vita e mercè di estesi viaggi egli ebbe occasione di raccogliere una gran massa di cognizioni su argomenti diversissimi della filosofia naturale; e di tali cognizioni lasciò ricordo in numerosi libri, dei quali altro non rimase che il titolo e pochi frammenti. Alcune opere di magia, astrologia, ed alchimia, che già anticamente gli erano attribuite, e di cui qualche cosa si è conservato, non appartengono a lui. Fra i libri che veramente si possono considerare come opera di Democrito, parecchi si collegavano manifestamente col nostro argomento. Due di essi, uno Sulle cause celesti, l’altro Sulle cause atmosferiche dimostrano in modo evidente coi loro titoli, che già ai suoi tempi si sentiva doversi fare qualche distinzione fra l’Astronomia e la Meteorologia. Aveva egli altresì scritto un libro Sul grande anno; del quale si è conservata la notizia, il grande anno di Democrito esser stato di 82 anni solari e 1012 lunazioni. Gli anni comuni erano 54 in ogni periodo, gli anni intercalari 28. Se questi numeri sono esattamente riferiti, convien dire che il filosofo di Abdera non conobbe molto esattamente il rapporto della durata dell’anno solare alla durata della lunazione. Non è possibile infatti comporre con questi numeri un ciclo che si adatti ugualmente bene al corso del Sole e a quello della Luna. Democrito scrisse inoltre un trattato d’Astronomia, a cui era annesso un parapegma o calendario astrometeorologico. È questa la prima di tali composizioni, di cui ci resti qualche frammento, e ci sia concesso di prendere qualche idea. Dei frammenti il lettore vedrà più sotto qualche saggio: quanto all’ordine del parapegma, pare che esso constasse di due colonne, nella prima delle quali eran segnati in ordine progressivo i 365 giorni dell’anno a partire da un puuto fisso del movimento del Sole, e probabilmente a partire dal solstizio estivo. Non vi era segno di mesi, per la posizione incerta e molto variabile che avevano i mesi dei Greci rispetto ai quattro cardini dell’anno. Nella seconda colonna erano segnate le osservazioni [p. 257 modifica]dello stato del cielo e dei venti, che l’autore aveva potuto registrare sotto ciascun giorno per più anni, prendendo una specie di inedia fra le indicazioni dei vari anni, quando esse eran discordi, o segnando talvolta anche la varietà di tali indicazioni, quando esse erano inconciliabili. Tali indicazioni si conservano in piccola parte, circa 35 per tutto l’anno. Lo scopo di tale composizione era manifestamente quello di segnare giorno per giorno le probabilità del tempo che si poteva aspettare; ed anche quello di segnare verso quale epoca dell’anno si dovevano aspettare certi fenomeni periodici, come per esempio la apparizione delle etesie o venti regolari. Affinchè poi si potesse ravvisare facilmente in cielo le epoche più importanti connesse col corso del Sole, oltre alle episemasie o pronostici meteorologici, si davano nel parapegma le epoche del levare e tramonto mattutino e vespertino di alcuni astri principali, in corrispondenza colle episemasie stesse. Su questo tipo furono di poi costrutti anche tutti gli altri parapegmi dei Greci fino al tempo in cui essi adottarono il calendario romano.

Se dobbiamo credere a Plinio5 sarebbe anche stato il primo a stabilire regole meteorologiche circa gl’influssi della Luna secondo le sue fasi; le quali poi, tradotte in bei versi da Arato e da Virgilio sopravvissero tanti secoli, e ancora oggi sotto tante forme hanno conservato qualche fautore. Che nell’opinione popolare del suo tempo egli fosse grande intenditore dei fenomeni meteorologici risulta dalla novella che di lui si narra, aver egli salvato la messe di suo fratello Damaso [p. 258 modifica]predicendogli una furiosa pioggia, della quale poche ore prima, nessuno aveva veduto il minimo indizio6.

Note

  1. Circa l’influsso della Luna sul le cose naturali vedi De Generatione Animalium, IV, 10 (Aristotelis Stagiritue Operum Tomus Secundus. Lugduni 1549, p. 380); Macrobius, Lipsiae 1888, pp. 461, 497; Plutarco, Quaestionum Convivalium Lib. III, c. 10. Tutto il lungo capitolo è consacrato a questa materia, di cui si dan molti e vari esempi.
  2. Poema astronomico di Cleostrato: v. E. Maass, Aratea. Berlin 1892, pp. 158, 329. Cleostrato introdusse i Capretti come costellazione, ibid. p. 341.
  3. Secondo i Laterculi Alexandrini che Diels ha pubblicato da un papiro dell’epoca tolemaica (Abhandlungen der k. Preussischen Akademie der Wissenschaften. Aus dem lahre 1904. Berlin, 1904, pp. 8-9). Arpalo si chiamava l’ingegnere che costruì per Serse il ponte sull’Ellesponto. La epoca qui sopra fissata 470 corrisponderebbe bene e attesterebbe in favore dell’identità di questo Arpalo col riformatore dell’ottaeteride. Anche Diels nel luogo citato sembra considerare come probabile questa identità.
  4. Sul viaggio di Enopide in Egitto e su quanto ivi i sacerdoti dicevano aver egli imparato della teoria del Sole: vedi Diodoro I, 96 e 98.
  5. Vergilius etiam in numeros Lunae digerenda quaedam putavit, Democriti secutus ostentationem; nos legum utilitas in hac quoque movet parte. Hist. Nat. lib. XVIII, cap. 32. Ad onor del vero debbo aggiungere, che l’autorità di Plinio su questo argomento mi pare alquanto sospetta; perchè egli riteneva come genuini tutti gli scritti attribuiti a Democrito, anche quelli di cui già al suo tempo si contestava l’autenticità (vedi Hist. Nat. lib. XXX, cap. I); e potrebbe essere che da uno di tali falsi scritti avesse ricavato le notizie qui sopra. Il primo e più noto dei contraffattori di Democrito fu un Egiziano, certo Bolo da Mendes, già noto a Columella. Ora consta che degli scritti di Bolo uno aveva per titolo: Intorno ai pronostici del Sole, della Luna, della grand’Orsa, della lucerna, e dell’iride; e da questo appunto potrebbe Plinio aver desunto i pronostici lunari da lui attribuiti a Democrito. Il dubbio è grave e non vedo il modo di risolverlo.
  6. Da Zeller, Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwickelung dargestellt, V. p. 337 (note): Il filosofo Boeto nel suo commentario ad Arato aveva cercato di determinare, di spiegare i pronostici del tempo (Cicero de Divin. I, 8 e II, 21). Così pure Posidonio. I testi di Cicerone sono addotti dallo stesso Zeller, V. p. 557.
    Cic. Div. I, 8:
    — quis igitur elicere causas praesensionum potest? et si video Boethum stoicum esse conatum, qui hactenus aliquid egit, ut earum rationem rerum explicaret, quae in mari caelove fierent. —
    Cic. Div. II, 21:
    — nam et prognosticorum causas persecuti sunt et Boëthus stoicus et Posidonius. —