Scritti politici e autobiografici/Catalogna, baluardo della rivoluzione

Catalogna, baluardo della rivoluzione

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Lettera alla moglie Discorso pronunciato alla radio di Barcellona
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CATALOGNA, BALUARDO DELLA RIVOLUZIONE1


La Catalogna tiene oggi nelle mani i destini della Spagna intera.

Così credo di poter riassumere, dopo due mesi e mezzo di fronte, le mie impressioni sulla situazione spagnuola.

Il pessimismo che domina in molti ambienti amici mi sembra ingiustificato o esagerato. Se Madrid è accerchiata, se il Sud è in buona parte in mano dei ribelli, tutto il litorale mediterraneo, tutta la Catalogna sono entusiasticamente repubblicani. La Catalogna, da sola, significa il 24 per cento della popolazione, la metà della ricchezza, i tre quarti dell’industria e del commercio spagnuoli. (Purtroppo la Catalogna difetta di industria pesante e di munizioni).

Sul fronte aragonese, a 350 chilometri dal mare, attacca un importante esercito catalano che ogni giorno migliora in disciplina ed efficienza. [p. 159 modifica]

Franco è a 20 chilometri da Madrid; ma Durruti a 15 chilometri da Saragozza, la principale piazzaforte spagnuola. I ribelli hanno Mola; ma i catalani hanno Garcia Oliver, l’uomo destinato a esercitare una parte decisiva nella guerra rivoluzionaria. La Catalogna ha saputo, in soli tre mesi, sostituire al vecchio ordine crollato un nuovo ordine sociale, rivelando — essi, gli anarchici — un notevole senso di misura, di realismo, di organizzazione.

Chi avesse visitato Barcellona in luglio e agosto, oggi non la riconoscerebbe più. Scomparsi i civili armati, le barricate, la circolazione caotica, la ridda di controlli. Barcellona ha oggi una fisionomia normale. Tutti i servizi pubblici, taxi compresi, funzionano regolarmente. Così gli spettacoli.

Certo vi è più eguaglianza tra i cittadini. Non si vedono più né cappelli femminili, né gioielli, né passeggiate eleganti sul Paseo. Il tono della vita è più serio. E negli uffici pubblici, ferve intensa la vita, la vita di una rivoluzione effettiva e costruttiva.

La Catalogna è il paese dove tutte le forze rivoluzionarie si sono unite su un concreto programma socialista sindacale: socializzazione delle grandi industrie e dei latifondi (con indennità per le imprese straniere), rispetto delle piccole proprietà e delle piccole imprese, controllo operaio. Il programma reca la firma della C.N.T. — la potente organizzazione sindacalista anarchica — e della U.G.T., l’organizzazione socialista. È stato adottato dalla «Esquerra Catalana». È il pro[p. 160 modifica]gramma del governo. Perché, questo è importante, alla direzione della nuova Catalogna si trovano oggi anche gli anarchici. Il sindacalismo anarchico, diffamato, misconosciuto sta rivelando grandi virtù costruttive.

Oggi un solo imperativo sovrasta — mi diceva quattro giorni fa uno dei principali esponenti dell’anarchismo catalano — : vincere la guerra. Tutto deve subordinarsi alla guerra. Se occorre, anche lo sviluppo della rivoluzione.

Santillan mi parla della creazione di una potente industria di guerra. Un tecnico francese gli ha detto: «Voi catalani, in fatto di mobilitazione industriale, siete giunti in tre mesi al punto in cui noi eravamo giunti dopo due anni di guerra mondiale».

Della imponenza di questa mobilitazione industriale ce ne siamo accorti noi, soldati del fronte. Partiti con una tuta di tela, una maglietta e un paio di «espadrillas», siamo sulla via di diventare il meglio equipaggiato esercito del mondo; uniformi di fustagno, indumenti di lana, scarpe, impermeabili, stivali, giubbe di cuoio, rancio abbondante, variato. Un miracolo: miracolo il cui segreto sta nell’adesione del popolo alla rivoluzione, nella capacità dei sindacati e dei capi.

Non sono anarchico, ma credo obbligo di giustizia illuminare l’opinione sulle caratteristiche dell’anarchismo catalano, troppo spesso presentato come forza puramente critica e distruttiva, quando non addirittura criminale.

L’anarchismo catalano è una delle grandi correnti [p. 161 modifica]del socialismo occidentale. Si riallaccia a Bakunin e a Proudhon, alla Iª Internazionale, e ha sempre proclamato la virtù dell’organizzazione operaia. È anzi proprio per questa sua fede prepotente nella organizzazione operaia e nell’azione diretta, che ha combattuto i partiti politici socialisti, nei quali vedeva, come Sorel, un pericolo burocratico e riformistico.

I comunisti libertari della Catalogna sono dei volontaristi, per i quali il processo sociale non è il risultato meccanico dello sviluppo delle forze produttive, ma dello sforzo creatore e della lotta delle masse.

Il socialismo marxista parte dalla massa, dalla collettività. Il comunismo libertario parte dal singolo. Vuole personalità forti, coscienti, sociali che affermino nella cerchia della loro vita interna ed esterna il fatto emancipatore. La rivoluzione deve fare dell’uomo lo strumento, la misura, il fine. Non accentramento e regola burocratica; ma libertà attiva, positiva, in tutte le sfere dell’esistenza. Umanesimo libertario, ecco che cosa è l’anarchismo catalano. Nota è la sua passione di cultura. Il suo più grande martire è un educatore, Francisco Ferrer. La Catalogna pullula di riviste, di cenacoli.

Gli anarchici «espropriatori», i Durruti, gli Ascaso, i Garcia Oliver, i Jover, al tempo in cui venivano trattati da banditi, fondavano a Parigi una... libreria editrice. (E Stalin non è stato anche lui un «espropriatore»?).

In Catalogna sta nascendo una nuova forma di de[p. 162 modifica]mocrazia sociale, sintesi teorica e pratica dell’esperienza russa con l’eredità dell’Occidente.

L’anarchismo catalano è una forza ingenua e fresca, certo per alcuni lati primitiva, ma, appunto per questo, aperta sull’avvenire. I suoi capi non sono vecchi personaggi paludati, afflosciati da trenta anni di parlamentarismo. Sono giovani rivoluzionari, di 30-35 anni, maturati nelle galere, negli esili, dotati, come tutti i catalani, di una visione larga e pratica della vita. Non li imbarazza una dottrina meticolosa e statica. Il loro socialismo si nutre di esperienza e la loro personalità è troppo forte per non comprendere le ferree esigenze della guerra e della rivoluzione.

Un episodio fra tanti:

Un celebre anarchico settantenne andava brontolando per Barcellona contro le eterodossie dei suoi giovani compagni.

— Come, degli anarchici nel governo catalano? Come, la «Solidaridad Obrera» osa chiedere la disciplina e la militarizzazione delle milizie? Come, una delegazione anarchica in Russia?

Il vecchio anarchico va a protestare da Garcia Oliver, il segretario generale della guerra, l’idolo di Barcellona proletaria; ma un idolo chiaroveggente, dotato di self control. Dopo mezz’ora di colloquio esce convertito.

Come spiegare il fascino di Garcia Oliver? Un coraggio impetuoso; una intelligenza prontissima assimilatrice assistita da una memoria ferrea; una ecce[p. 163 modifica]zionale capacità organizzatrice e animatrice. Dovunque Garcia Oliver si presenti, l’atmosfera si rasserena. Entrano con lui l’ottimismo e la giovinezza. Col suo passo sicuro e un po’ spavaldo dà sicurezza; col suo sorriso aperto e fresco, entusiasmo.

Ricordo al fronte un discorsino improvvisato di Garcia Oliver ai militi di una centuria, pronunciato dal pergamo di una chiesa. Cominciò evocando il viaggio di Ulisse e le vere virtù della guerra, coraggio e intelligenza; e terminò con una benedizione scherzosa. Ricordo ancora la sua impassibilità a tavola mentre scoppiavano intorno le bombe dei Caproni, e la predica a un motorista impaurito, che gli fornì l’occasione di esporre una concezione dinamica e combattiva della vita.

Sono stato 75 giorni al fronte e in trincea con gli anarchici. Li ammiro. Gli anarchici catalani sono una delle avanguardie eroiche della rivoluzione occidentale. È nato con essi un nuovo mondo che è bello servire.

Rivoluzionari dottrinari, riformisti della lettera, uomini della II e III Internazionale, governanti di Madrid, che storcete la bocca quando si parla dell’anarchismo catalano, ricordatevi il 19-20 a Barcellona: uno dei migliori generali della Spagna, Goded, aveva preparato scientificamente l’assassinio della Catalogna. 40.000 uomini della guarnigione occupano di sorpresa i punti strategici. Barcellona è teoricamente caduta.

Ma a Barcellona è la C.N.T., sono migliaia di o[p. 164 modifica]perai rivoluzionari, di capi giovani e volitivi, ai quali si è insegnato che la rivoluzione non è opera né della Storia, né dell’Economia, né di un Partito, né di un Comitato: è opera del singolo, che porta in sé tutte le possibilità e tutta la responsabilità dell’avvenire.

In un attimo questi operai, questi uomini, ammaestrati dalla lezione dell’aprile ’31 e soprattutto dell’ottobre ’34, si gettano nella mischia: attaccano le mitragliatrici, i cannoni con misere rivoltelle, coltelli, camions. In poche ore il fascismo feudale è spazzato. Tutta la Catalogna è libera.

E dopo una settimana le prime colonne di popolani armati prendono l’offensiva in Aragona.

Concludo come ho cominciato: la Catalogna tiene in mano i destini della Spagna e della rivoluzione. In un mese potrà armare 300.000 uomini e vincere.

Perché non lo ha già fatto?

Perché è stata, se non boicottata, trascurata. Il socialismo madrileno, accerchiato, ha continuato a inseguire il suo sogno centralista, unitario, mentre a Barcellona non arrivavano che le briciole.

Il socialismo, il comunismo internazionale guardavano con preoccupazione questa creatura eterodossa.

Ora, fortunatamente tutto ciò sta per mutare.

Garcia Oliver, arrestato e torturato sotto la repubblica, oggi fa parte del governo di Madrid, insieme ad altri tre compagni della C.N.T.

Si potranno perdere ancora delle battaglie; ma si vincerà la guerra. [p. 165 modifica]

La ragione di questa fede è molto semplice: un mondo nuovo è sbocciato, un popolo intero ha gustato i frutti della libertà non solo nei comizi, ma nell’officina, nei campi, al fronte.

Questo popolo non potrà più rassegnarsi alla schiavitù.

Note

  1. Da «Giustizia e Libertà»: 6 novembre 1936.