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Franco è a 20 chilometri da Madrid; ma Durruti a 15 chilometri da Saragozza, la principale piazzaforte spagnuola. I ribelli hanno Mola; ma i catalani hanno Garcia Oliver, l’uomo destinato a esercitare una parte decisiva nella guerra rivoluzionaria. La Catalogna ha saputo, in soli tre mesi, sostituire al vecchio ordine crollato un nuovo ordine sociale, rivelando — essi, gli anarchici — un notevole senso di misura, di realismo, di organizzazione.

Chi avesse visitato Barcellona in luglio e agosto, oggi non la riconoscerebbe più. Scomparsi i civili armati, le barricate, la circolazione caotica, la ridda di controlli. Barcellona ha oggi una fisionomia normale. Tutti i servizi pubblici, taxi compresi, funzionano regolarmente. Così gli spettacoli.

Certo vi è più eguaglianza tra i cittadini. Non si vedono più né cappelli femminili, né gioielli, né passeggiate eleganti sul Paseo. Il tono della vita è più serio. E negli uffici pubblici, ferve intensa la vita, la vita di una rivoluzione effettiva e costruttiva.

La Catalogna è il paese dove tutte le forze rivoluzionarie si sono unite su un concreto programma socialista sindacale: socializzazione delle grandi industrie e dei latifondi (con indennità per le imprese straniere), rispetto delle piccole proprietà e delle piccole imprese, controllo operaio. Il programma reca la firma della C.N.T. — la potente organizzazione sindacalista anarchica — e della U.G.T., l’organizzazione socialista. È stato adottato dalla «Esquerra Catalana». È il pro-


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