Santippe/VIII
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VIII.
Colloquio fra Anito e Meleto.
Le profezie di Santippe non tardarono ad avverarsi.
— Socrate, — diceva Santippe, — sta a casina tua, metti la testa a partito, chè sei vecchio; chiacchiera meno; se no ti predico che farai mala fine.
Ma Socrate si era sempre profumato — come già dicemmo — col profumo della verità, e perciò non poteva star zitto.
Qui è indispensabile osservare come Socrate non fu lui solo ad avere questa abitudine: Cristo parlava dall’alto della montagna; Dante parlava dall’alto dei secoli; Campanella portava per emblema una campana, e aveva per motto: «Non tacebo, non starò mai zitto!» San Francesco andò scalzo e lacero a parlare davanti alla maestà del Papa; Tolstoi cammina per la neve, con la sua barba bianca, sino ad affacciarsi al nostro occidente e grida: «Io non posso tacere!»
Ora quando si consideri come tutti costoro fecero mala fine, che Tolstoi, che era un signore, morì su la neve, risulta evidente che è assai meglio tenere la fiaccola sotto il moggio e non sopra il moggio: cioè seguire la saggezza del sentenzioso Bertoldo, il quale assicurava che in bocca chiusa non entrano mosche; e Bertoldo fu pure una rispettabile persona, e se morì male fu anzi per eccesso di delicatezze a cui il suo stomaco di bifolco non era abituato.
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Dunque Socrate era un predestinato a far mala fine. Ma quando io penso che Socrate non fu condannato da un tribunale segreto, coi giudici notturni e mascherati; non fu crocifisso da fanatici ebbri di odio; ma fu condannato alla luce del sole, legalmente, da cento tranquilli cittadini giurati, allora io sono preso da una gioia furibonda, ed esclamo, come in principio: — Oh, Atene luce del mondo, non solo nelle arti, ma anche nella politica!
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Atene — ci pare di averlo detto — era una repubblica, cioè uno stato in cui tutti i cittadini sono proprietari della sovranità. Ora, siccome la repubblica è quel governo appunto che è fondato sulla virtù, Socrate, il quale vendeva la virtù per le strade, avrebbe dovuto essere almeno presidente della repubblica.
Invece Socrate fu condannato a morte, e appunto in una repubblica democratica. Questa cosa può fare dispiacere alle nostre convinzioni democratiche, per la quale cosa ci domandiamo: Come avvenne questo fatto strano che Socrate fu condannato a morte in una città democratica?
Avvenne perchè Anito ebbe un importante colloquio con Meleto.
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In Atene, città raffinata, la democrazia costava cara come la aristocrazia. Tutti i cittadini essendo sovrani, aspiravano anche ad una piccola lista civile, cioè a vivere sovvenzionati dallo Stato, tanto che lo Stato dava anche gli spettacoli del teatro gratis.
Il denaro — equivalente sensibile della virtù — era molto ricercato e molto onorato in Atene. E similmente, come conseguenza, avvenne questo, che una volta un re che assediava Atene, invece di bombardare la città, vi fece entrare degli asini carichi d’oro: nessuna cavalcata eroica sortì effetto più bello! Atene fu presa risparmiando vite ed edifici.
Per evitare quest’inconveniente, gli Spartani, che erano aristocratici, fecero coniare certe monete di bronzo da mezzo quintale l’una. Ma ciò non documenta se non la puerilità e la rozzezza degli Spartani, perchè l’uomo, quando si tratta di trasportare il denaro, è più robusto della formica la quale è capace di trascinare un peso circa duecento volte superiore al proprio peso.
Questa è una facoltà che hanno gli uomini tanto in democrazia quanto in aristocrazia.
Ma un inconveniente anche più grave e più speciale di Atene era la facilità con cui gli uomini, forniti di bella voce, arrivavano al potere. E quando si consideri che quasi tutti in Atene avevano bella voce, si capirà anche quanta gara ci fosse e quanta difficoltà nel mantenersi al potere.
Gli Spartani invece non parlavano che a monosillabi.
Questa diversità del modo di parlare fu, nel caso speciale di Atene e Sparta, uno dei motivi per cui i due popoli si guerreggiarono a morte. Ma anche altre diversità, come del colore, del modo di mangiare, di dire le orazioni, ecc., posson essere cagione di guerra. Ecco, dunque, gli Spartani che facevano guerra a morte agli Ateniesi.
E noi possiamo osservare che in tutti i tempi i grandi guerrieri, questi tetri agenti della morte, sono taciturni come la morte. Perciò gli Spartani, che parlavano a monosillabi, furono vincitori degli Ateniesi che parlavano troppo!
L’ultima battaglia navale fu un disastro irreparabile. La bella armata di mare degli Ateniesi, la più bella armata che allora navigasse il Mediterraneo, gloria e scudo di Atene, in un giorno di distrazione e discussione dei suoi capitani, fu sorpresa dagli Spartani, e andò in pezzi.
Per effetto di questo disastro, Atene perdette la sua libertà e gli Spartani vi insediarono trenta Oligarchi, taciturni e sanguinari, che spadroneggiavano in Atene, tenevano chiusi i teatri, non permettevano di parlare e mandavano la gente a casa all’ora del coprifoco.
Socrate anche in quella circostanza seguitò a parlare lo stesso.
Ed allora il capo dogli Oligarchi lo mandò a chiamare e con voce cupa gli disse: — Socrate, noi siamo stanchi fracidi dei tuoi discorsi!
È molto probabile che Socrate avrebbe fatto già da allora cattiva fine.
Ma gli Ateniesi, piuttosto che stare zitti, preferirono morire, e fecero una rivoluzione. E allora gli Oligarchi, che incutevano tanta paura, ebbero paura, e scapparono. E qui diciamo come questo bello spettacolo di vedere i tiranni aver paura e scappare davanti alla rivoluzione, è uno dei vantaggi della democrazia.
Atene, cacciati che ebbe gli Oligarchi, ritornò più democratica di prima, e il presidente della Repubblica, o primo arconte, si chiamava Anito, ed era di professione cuoiaio.
Anito era una rispettabile persona ed era intelligente, prima perchè tutti gli Ateniesi erano intelligenti, secondo perchè le persone che arrivano al potere sono intelligenti. Era anche un formidabile democratico, perchè aveva sofferto l’esilio durante la tirannia dei trenta Oligarchi, e gli interessi della sua conceria erano stati molto danneggiati. Per impedire che la flotta andasse in frantumi una seconda volta, egli aveva provveduto facendo votare una legge che prescriveva che tutte le navi fossero fasciate con un triplice rivestimento di cuoio.
Allo scopo poi di evitare congiurazioni contro lo Stato, Anito ispezionava e faceva diligentemente ispezionare le vie di Atene.
Ora noi sappiamo che Socrate passeggiava per le vie di Atene e vendeva gratuitamente la noùs ai giovani.
Se Socrate avesse sparlato della democrazia e dei cuoiai puzzolenti, oppure avesse deriso il progetto del rivestimento di triplice cuoio per le navi, il sospettoso Anito avrebbe capito subito.
Anito parlava lo stesso linguaggio di Socrate, ma non capì troppo bene. Le orecchie di Anito erano pelose. Ora quando si pensi che frate Egidio e re Luigi il Santo parlavano due diversi linguaggi, e pur si capirono soltanto alle sfavillanti, lacrimanti pupille; anzi l’uno davanti l’altro devotamente si inginocchiò, bisogna ammettere che questo umano linguaggio ha meno valore che non si crede comunemente.
E non soltanto Anito capì poco; ma gli parve che il saluto a lui, presidente della Democrazia, fosse poco reverente.
Alcibiade, nepote di Pericle (un intellettuale molto sospetto!) diceva bensì: «Salute, Anito!»; ma le sue pupille, dall’alto della pura clàmide, giravano così sardonicamente, che parevano dire: «Dove sei, Anito, verme della terra?»
Ed i sicofanti avevano riferito per certe queste parole del giovane Senofonte: «Salcicciai e cuoiai arricchiti vadano pure al potere: ma col voto dei salcicciai e cuoiai soltanto. Noi, piuttosto che dare il voto a simili candidati, boicoteremo lo Stato, andremo volontariamente in esilio».
«Tutto questo, — pensava Anito, è effetto della filosofia di quel vecchio. E che è questa filosofia che rende gli uomini indaganti, oltracotanti, ciarlanti, boicotanti, scioperanti?»
Egli non sapeva che cosa fosse la filosofia; ma come uomo politico, cioè intelligente, capì che quel vecchio parlava parole a lui nemiche, e quindi era nemico pericoloso per la democrazia. (E questo di giudicare pericolosi i filosofi è, pur troppo, una qualità tanto delle aristocrazie quanto delle democrazie.)
«Ah, è troppo tempo, — diceva Anito, — che quel vecchio chiacchiera per le vie di Atene!»
E andava considerando fra sè come lo si potesse togliere dalla circolazione.
«Ecco, — esclamò trionfalmente Anito, puntando l’indice contro la fronte, — noi possediamo l’organo legale, l’ostracismo! Blandamente, dolcemente, noi togliamo questo individuo dalla circolazione. Sì, ma dove li troviamo noi tremila cittadini che diano il voto per mandare Socrate in esilio? Per quale motivazione? Perchè parla troppo? Ma allora bisognerebbe mandare in esilio tutti gli Ateniesi! Eppure un motivo ci deve essere!»
Anito, uomo politico, sentiva al fiuto che un motivo c’era. Ma quale? Non riusciva a trovarlo, e perciò si decise ad andare da Meleto, che era l’arconte basileo, e aveva l’orecchio più sottile.
Questo Meleto non era un sacerdote: Atene non ebbe sacerdoti, chè se li avesse avuti, non sarebbe stata più Atene. Era soltanto una mente sacerdotale. Oltre a ciò convien dire che questo Meleto era un eupatrida, cioè un nobile, e lo si diceva un po’ partitante dell’aristocrazia. Ma essendo al potere, ed avendo anche lui approvato il rivestimento di cuoio per le navi, Anito e Meleto — cioè demagogo ed oligarca — si trovavano in buoni rapporti.
Mentre dunque Anito si reca da Meleto, noi ci domandiamo: Perchè questa legge dell’ostracismo, cioè di un esilio blando e niente affatto disonorevole, non fu conservata nelle legislazioni che vennero di poi? Perchè quella legge fu trovata ingenua, cioè superflua.
Dove Anito o Meleto salgono ai primi onori di uno Stato, gli uomini buoni si eliminano automaticamente, senza ostracismo.
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Meleto era un personaggio flemmatico e maestoso, e il discorso che seguì fra i due uomini di Stato fu di molto interesse, anzi è memorando.
— Quell’uomo, quel Socrate, — cominciò a dire Anito, — io l’ho ascoltato attentamente; parla di fabbri, di falegnami, di asini col basto, dice che conviene essere kaloikagatoi,1, filosofoí....: eppure io sento che quell’uomo è pericoloso allo Stato. Pensa o non pensa vostra Eminenza quest’uomo pericoloso allo Stato?
— Mah! — risposo Meleto.
— Che cosa vuol dire «Mah!»? — domandò Anito che era uomo impaziente.
— Mah, — rispose gravemente Meleto, — vuol dire «pericoloso», e vuol dire anche «niente affatto pericoloso».
— Abbiate la cortesia di spiegarvi, perchè io non sono nato interprete paziente di enigmi.
— Non è un enigma, buon uomo, — rispose Meleto, — è una cosa semplice. Se i peli delle vostre orecchie non vi avessero intercluso l’udito, voi avreste inteso che Socrate non parla soltanto degli asini col basto, ma parla anche di una voce misteriosa che ogni tanto gli ragiona, e lui solo ode, e lo mette in diretta comunicazione con Giove. Ora vostra Celsitudine può capire molto bene che se tutti gli Ateniesi fossero, come Socrate, in diretta comunicazione con Giove, io sommo pontefice, io arconte basileo, che servo appunto da interprete fra gli uomini e gli Dei, fututus sum!
Detto ciò, Meleto tacque e sorrise. L’orlo del suo manto era scomposto, e se lo ricompose.
— Ne dia, — esclamò Anito, — ma allora se tutti gli Ateniesi diventeranno ragionanti e ragionevoli, anch’io, arconte polemarco, fututus sum!
Gli occhi sereni di Meleto fissavano lo scomposto volto di Anito.
— Ne dia, per Giove, per la gran barba di Giove, — esclamò poco dopo ancora Anito, come percosso da un secondo lampo di luce, se tutti gli Ateniesi, anzi se tutti gli uomini diventano kaloikagatoi, oltrechè filosofoi, siamo f..... tutti! Non più guerre, non più rivestimenti di cuoio alle navi! Ne dia! le cose sono di una gravità immensa! Quel vecchio melenso mi fa una rivoluzione più terribile di quella che ho fatto io! Addio Meleto, vi do il buon giorno!
— E dove va vostra Celsitudine?
— Vado a salvare lo Stato, vado ad arrestare Socrate....
— Io credo che si possa aspettare anche domani, — disse pacatamente Meleto. — Domani, o anche mai!
— Mai?
— Mai, buon Anito! perchè mai verrà il giorno che gli Ateniesi diverranno ragionanti e ragionevoli, mai verrà il giorno in cui gli asini col basto ubbidiranno alla voce del proprio Demone, mai gli uomini diventeranno kaloikagatoi! Il pericolo socratico, credete, Anito, è del tutto insussistente; è un futurismo senza futuro!
— Ma il rivestimento di cuoio per le navi?
— Il rivestimento di cuoio per lo navi si farà, e così si faranno le armi, e così si faranno le guerre in perpetuo, — rispose Meleto. — La nobile Atene ha, a venti chilometri a nord, gli idioti Beoti; a venti chilometri a sud, i taciturni Spartani, che dove passano una sola traccia lasciano; quella della loro mano insanguinata e brutale: tutt’attorno poi a nord, tutt’intorno a sud, dalla parte dove il sole si leva, e dalla parte deve il sole tramonta, crescono e montano le generazioni dei barbari che nessuna forza o dio distruggerà! Non vi date, dunque, pensiero, Anito, nè per la guerra, nè per le armi, nè pel rivestimento di cuoio. La nobile Atene dovrà guerreggiare in perpetuo se vorrà salvare la sua Minerva!
— Cosicchè voi, Meleto, — domandò Anito, — non condannereste Socrate nemmeno con il più dolce, con il più blando ostracismo?
— Io lo avrei, e da tempo, colpito di morte, — rispose Meleto con gravità solenne; — ma noi siamo in una città democratica!
Anito stupì e strinse calorosamente la mano a Meleto.
— Allora convenite con me che quell’uomo è pericoloso allo Stato. Ma se prima dicevate che urgenza di pericolo non c’era?
— No, buon Anito, urgenza di pericolo non esiste. Per la salute del mondo, mai gli asini col basto udranno la voce del Demone, mai gli uomini diventeranno kaloikagatoi, e sotto quest’aspetto il pericolo è insussistente. Ma ben è vero che gli Ateniesi sono già per loro natura troppo schernevoli, troppo mobili! Da troppo tempo hanno preso il mal vezzo di mettere, anche sul teatro, in burletta gli Dei! Mai codesto sarebbe tollerato in governo aristocratico! Perchè sappiate, o Anito, che per la salvezza di Atene o della terra, è sommamente necessario conservare intatto Giove, il Cesare del Cielo, con le sue gerarchie disciplinate: Briareo dalle cento braccia, Proteo dalle cento forme, Ercole con la clava enorme; i gran gendarmi di Giove! Imperio, ubbidienza e servitù. Ciò risponde alla configurazione della terra! Ma le democrazie sono instabili, fermentanti, tumultuose. Vanno alle estreme conseguenze della logica e della illogica; ed allora non è più possibile governare gli Stati. Ora quel vecchio pazzo che su tutto indaga, che su tutto discute, che insegna agli altri ad indagare e discutere; che crea il diritto e la sovranità dell’individuo, mentre non ci deve essere che un solo diritto, una sola sovranità, lo Stato, quel vecchio è l’essere deleterio e perniciosissimo alla salute della Repubblica.
— Allora Socrate, — disse Anito con istupore, — è secondo voi essenzialmente democratico! Io lo credevo aristocratico.... Però sappiate, o Meleto, che se è necessario salvare la patria, io per questa occasione posso diventare aristocratico!
Il grave capo di Meleto, l’arconte basileo, si chinò alquanto. — Confortatevi, Anito, — disse poi. — Forse Socrate è un aristocratico....
— Allora io avevo capito subito.... — disse Anito.
— Comunque sia, o aristocratico o democratico, — disse Meleto, — vano è ricercare. Una cosa è certa: Socrate è pestifero. Quella gioventù che indaga, dubita, discute, si affolla intorno a lui, è di mal seme! Atene, circondata come è da Spartani e Beoti, di una sola cosa ha bisogno, di una pesante spada di bronzo che cali con altrettanta brutalità come la spada spartana. Per parlare, uno solo basta, l’arconte, gli altri basta che sappiano, con disciplinato silenzio, morire.
— Oh, ammirabile uomo! — esclamò Anito. — Ma è ben pericolosa la filosofia!
— Una malattia dello spirito, — sentenziò Meleto.
— Una malattia, — rincalzò Anito, che non ha altro effetto pratico se non quello di rendere i nostri Ateniesi malcontenti, impertinenti, disubbidienti, poco rispettosi anche verso di me. Andrò io bene alle radici del male, Meleto!
— Sì, ma procedete, vi prego, con la legalità più scrupolosa. Siamo in città democratica, e per questo evitai io di prendere un’iniziativa qualsiasi. Ma poichè a voi così pare, fate. Badate però che la procedura non deve essere soggetta ad alcuna critica. Ricavate la sentenza sulle coordinate del Codice. Tutto sia — ripeto — perfettamente legale. Noi non vogliamo che una luce fosca sia gettata sui nostri costumi politici.
Così parlò Meleto ad Anito ed Anito a Meleto.
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E fu in conseguenza di questo colloquio fra Anito e Meleto, uno dei più interessanti colloqui storici che la politica ricordi ancorchè non si trovi registrato in alcun testo, che nell’anno primo della novantacinquesima Olimpiade, cioè l’anno 399, cioè quattro secoli prima ancora della passione di nostro Signore Gesù Cristo, gli Ateniesi lessero, — perchè tutti gli Ateniesi avevano l’istruzione obbligatoria, e quindi sapevano leggere, — affisso sotto il portico dell’Arconte Basileo, questa citazione, o libello, così concepito: «Socrate, figlio del fu Sofronisco e della fu Fenarete, ammogliato con prole, di professione scultore disoccupato, è accusato di perniciosissima propaganda contro lo Stato. Arrogi che egli non mostra il dovuto rispetto verso Giove, padre degli Dei e imperatore degli uomini, in quanto che insegna dottrine religiose contrarie alla religione dello Stato e alla democrazia, e perciò è di grave scandalo alla gioventù».
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Quel giorno Santippe aspettò proprio invano suo marito per l’ora del desinare.
Note
- ↑ Vuol dire, belli e buoni, cioè uomini puri, coscienti, capaci di governarsi da sè.