Saggi poetici (Kulmann)/Parte seconda/Saffo
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SAFFO
Sulla rupe Leucadia: nel fondo il celebre tempio d’Apollo con portici laterali, nei quali stanno le statue rappresentanti gli antichi Poeti. Ambo le pendici della montagna sono coperte di boschi, ora densi ed ora radi. La luna sta per coricarsi, e spunta il giorno.
Misero cor, giungesti
Ove de’ tuoi martiri
Alfine avrai tu tregua.
Augusto Febo, salve!
5Salve signor che siedi
In maestoso tempio
Sovra isolato scoglio,
Al cui piede prostrati
Stanno la terra e il mare!
10Dai duo sentier che ombreggiano
Boschetti or radi or folti,
Tu l’alta fronte estolli
Alle regioni eccelse,
Dove con vice eterna
15Si fanno e si disfanno
Sereno, nube, calma,
Tuono, tempeste e lampi.
Dio della luce, salve,
Che siedi in mezzo ai genj,
20Fatti immortali e grandi
Dal tuo fuoco ispirati.
Tu testimone fosti
Del mio primo trionfo,
Allor che Delo intiera
25In non dubbiosi detti
Me proclamava tua
Figlia, e me chiamava
Del genitor divino
Per sapere e beltade
30Non indegna per certo.
E chi pensato avria
In que’ giorni felici,
Ch’oggi piangente, offesa
La invidïata Saffo
35Verrebbe a questa rupe –
Breve riposo a un core
Che risoluto corre
A spaventosa morte!
Come ratto fuggiste,
40Lieti giorni di mia
Serena giovinezza!
Allor che scevra d’ogni
Affannoso pensiero,
Scioglieva lieti canti
45Sempre uditi e richiesti
Con non conteso applauso!
Allor che sola io m’era
L’ornamento migliore
De’ pubblici consessi
50E regina siedea
D’ogni private feste:
E ovunque i passi miei
Lieta volgessi, udiva
D’ognun sul labbro i miei
55Canti, che ognor mi fero.
Come ratto fuggiste,
O giorni lieti, in ch’io
Nelle feste de Numi
Muoveva al tempio sempre
60Sulla cospersa via
Di variopinti fiori,
In mezzo a folto popolo
Che esultando applaudía!
Io vidi pur ne’ boschi,
65Perfin ne’ tempj io vidi
Il simulacro mio
Coronato di fiori.
E de’ Lesbj sull’oro
All’immago de’ Numi
70Vedesi pur unita
L’immago della quasi
Divinizzata Saffo.
Orgogliosa io n’andava.
Ogni garzon volea
75Della lira e del canto
Che ’l premio fosse mio,
Ancor ch’ivi presente
Lo stesso Alceo si stasse,
«Misero Alceo! diceami,
80Gran tempo è già che vinto
Da tua beltade io sono.
Ed or mi vinci ancora
(E non men duole, il giuro)
Sulla lira, e nel canto.
85Lascia dunque ch’io segua
I tuoi trionfi, e teco
Quella sorte divida
Che ne prepara il fato.»
A me così dicesti
90Quel dì che da me vinto
Fosti ne’ giuochi; ed io
Con isprezzo respinsi
Amor sì puro e vero.
Allora tu esclamasti
95In dolorose note
Quasi presago fosti
Di mia sorte tremenda:
«Te preservin gli Dei,
O Saffo, da un amore
100Indegno di tua gloria,
Di tua beltade indegno:
Amor che tuo malgrado
Rammenteratti un giorno
Alceo da te sprezzato.»
105M’allontanai sdegnata
Dall’amator nojoso,
Cui grata morte sciolse
Fra poco i ceppi odiosi
D’una vita molesta.
110Ma il cieco Dio vendetta
Prese di me che astrinse,
Benchè superba, a volgere
Sovra Faon lo sguardo.
A me stessa cangiata
115Io mi parea: comprendere
Lo strano cangiamento
M’era impossibil cosa.
Come talor ricerchi
Sogno confuso e strano,
120Così riandar tentava
La scorsa vita mia,
Che avvolta in tenebrosa
Notte era per me. Allora,
A disgombrar dal core
125Sì molesto pensiero,
Ritorno alla negletta
Mia lira ancora ornata
De’ vittoriosi serti:
Ed intonando i canti
130Che spiraro sol gloria,
Con mano ferma io tempro
Le corde un dì sommesse
Al mio voler; ma invano,
Ch’or fatte a me rubelle,
135Suoni d’amor sol danno!
I magici concenti
Dolce scendeanmi al core
E mi moveano al pianto.
E per le membra scorrermi
140Sentiva ignoto fuoco;
Gli incominciati detti
Mi svanian sulle labra,
E quella gloria istessa,
A cui feci olocausto
145Della mia giovinezza,
Or rovesciato Nume
Cede suo seggio al cieco
Figlio di Citerea.
Innanzi agli occhi stammi
150D’abbarbaglianti raggi
Intorno intorno cinto
Ei che a me sembra un Nume.
A lui d’intorno. sembrami
Tutto tenebre farsi.
155Se a lui pensando scorsero
O rapidi anni o giorni,
Nol so: ch’ogni misura
Del tempo m’era tolta.
È misero figliuolo
160Del dolor, della speme —
L’annoverare il tempo.
O giorni in pianto scorsi!
Fatti dal duol sì lunghi
Da quell’ora che liete
165Lusingavan quest’alma
Immagini ridenti
D’un avvenir felice!
Tutte fuggiro a stuolo
Dal dì che ahi, lassa! fui
170Negletta dal mio ben.
O giorno a me nefasto,
Quando dall’auree sedi
Del dilettoso Olimpo
Caddi dell’atra terra
175Nel più profondo abisso!
Me, per la mia caduta
Stordita, la Speranza
Venne con pronta mano
A rilevar, pietosa
180Il viso m’asciugando
Di lagrime bagnato,
E più volte mi disse:
«Non disperare, o cara!
Fi riverrà bentosto;
185Un momentaneo, folle
Capriccio allontanollo;
Ei riverrà pentito
D’un breve errora potrebbe
Egli lasciar bellezza
190Ch’al mondo non ha pari?
A cui cinge le tempie
Di gloria immortal serto?
No, no; forse oggi ancora
Lo vedrai tu, di nuova
195E maggior fiamma acceso,
A tuoi piedi prostrarsi,
Ed implorar baciandoli
Al suo fallo perdono.
Non dubitar, che questa
200Non meditata, breve
Infedeltà non sua,
Più tenace, più viva
Renderà d’or innanzi
La tua felicità.»
205Scese fra l’ombre il sole
E seco lui mia speme:
Quando sorse dal grembo
Purpureo dell’aurora,
E ai miseri mortali
210Portò la lieta luce;
A me, come notturno
Orrido spettro, apparve,
Dal cor presago ahi! troppo
Presentita, la cruda
215Certezza ch’io per sempre
Avea Faon perduto.
Ed ora a te ne vengo,
Roccia fatal, de’ cori
Laniati ultimo asilo!
220De’ felici lo sguardo
Con orrore ti mira;
A me tua vista è grata,
Quant è il fumo che sorge
Dalla natia capanna....
225A quest’eccelsa vetta
Niun mi seguiva, niuno
Dei tanto crudi serpi:
Onta, dolor, invidia,
Gelosia e furore.
230Io qui ’l fischiar non sento
Dell’irrision crudele,
Della calunnia atroce....
(Da un lato la luna sull’orizzonte, dall’altro i primi raggi del sole.
Non di Faon l’immago
La mente qui mi turba,
235Come ne’ dì che furo.
Di lontano la scorgo
Quasi di nubi avvolta,
Qual veggio la cadente,
Del suo chiarore orbata,
240Mezzo-visibil luna....
Già sta sull’orizzonte
Il nuovo sol!... Saluto,
Del lume, della vita
E della gioja il Nume!
245L’ultima volta, o sole,
Or te Saffo saluta.
Io festinava il passo
Per troncar questa mia
Intolleranda vita
250In seno all’atra notte,
Le lusinghe temendo
D’un mondo che s’abbella
Dal tuo vivo splendore.
Discendere io voleva,
255Da te non vista, all’Orco.
Ma tu che ’l mondo allegri,
Piangendo forse il fato
Di Saffo, che sovente
Sull’inspirata lira
260Le tue lodi cantava,
Nasconderle volesti
Gli orrori della morte,
Spargendo gli splendenti
Lusinghieri tuoi raggi
265Sulla tremenda via
Del sotterraneo mondo.
Sì, mitigar volesti,
Accelerando il passo,
Tu di tua cantatrice
270La spaventosa fine....
(Incominciamento d’una meteora1 assai frequente nel mare Jonico.)
Quale nebbia purpurea
Vela subitamente
Tutto d’intorno il mare?
Qual strano eppur vezzoso
275Spettacolo fra quelli
Dïafani vapori
Agli occhi s’appresenta?
In cima a due pendici
Da boschetti adombrate
280Alzasi immensa rupe.
In vetta ad essa splende
Un maestoso tempio
Con ale, che composte
Sono di doppia fila
285D’altissime colonne....
Veggio fra le colonne
Forme umane girarsi
Di gigantea grandezza....
Scerno nelle lor mani
290Lire antiche e lïuti...,
Ravviso in essi Orféo
E Lino ed Arïone
E Tamiri ed Omero....
Odo dell’alte lire
295Gli armonïosi accenti....
I campi Elisj stanno
Innanzi agli occhi miei....
Al piè dell’alta rupe
Spandesi, quasi un mare,
300Un limpidetto lago....
Della rupe sull’orlo
Stassi donzella ovvero
In abiti festivi
Un giovane, che, stesa
305La destra, mi fa cenno....
Oh! quel sei tu, diletto,
Da me sprezzato Alceo!
Dunque tu mi rammenti
Ancora, e senza sdegno?...
(Delirando.)
310Non impedir, nojosa
Romoreggiante turba,
Ch’io le parole or oda,
Che benigno m’indrizza
Il generoso amante!
(Ripetendo le parole che crede di udire.)
315Regina o tu del canto,
Scendi, diletta Saffo,
Al placido soggiorno,
Ove t’aspetta amor!
Benchè dall’aurea luce
320Rischiarato del sole,
Di pene, di tormenti,
D’invidia il mondo è pien.
Ma qui fra l’Ombre regna
Alto riposo e pace:
325Scende tra’ fidi amici,
Deh scendi, amato ben!....
(Dopo qualche silenzio.)
Grazie, canore voci
Dei secoli passati,
Grazie per tal favor!
330L’infortunata Saffo
Di scendere s’appresta
Dove la chiama amor.
(Ella si getta al mare).
Note
- ↑ Chiamata la Fata Morgana.