Saggi poetici (Kulmann)/Parte seconda/La festa di Esiodo
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LA FESTA DI ESIODO
Voi m’inspirate l’estro,
Figlie del sommo Giove!
Affin ch’io degnamente
Canti le vostre lodi
5E ’l monte che fra tutti
Per dimora sceglieste.
Talvolta dall’Olimpo
Voi scendete sul Pindo,
Il Re de’ greci monti,
10O sull’azzurre cime
Del delfico Parnasso,
Danzando al fonte in riva.
Ma pure v’è più caro
L’Elicona nativo,
15Le cui valli feconde,
Le cento e cento fonti
Amate, e ’l tempio vostro
E ’l nostro culto antico.
Dal tempo che voi stesse
20Esiodo visitaste,
E degnaste insegnargli
Piacevole canzone,
Ognor le vostre lodi
Qui suonano d’intorno.
25Così cantò Corinna
Al sorgere dell’alba,
Invocando le Muse
Nel bosco, dove ha sede
Il vago monumento
30Del lor diletto alunno.
Qual rosa appena colta,
Grondante di rugiada,
Che splende nel crin nero
Di vaga pastorella;
35Tal luminoso si alza
Il Sol sull’Elicona
Oscuro, e coll’alzarsi
Fa cenno agli abitanti
Delle terre vicine
40Di cominciare l’annua
Leggiadra festa loro.
Esce dall’umil porta
D’Ascra, gloriosa cuna
Del vate più gentile,
45In abiti festivi,
Innumerabil turba
Di fanciullin leggiadri,
Di vezzose donzelle,
Di giovani robusti,
50Mariti, spose e vecchi:
Ei schiera a schiera seguonsi
Lentamente e tacendo.
Ma tosto che alla vista
Si presenta il vetusto
55Tempietto, che i maggiori
Al Vate consacraro;
Un armonioso coro
Al suon del dolce flauto
Intuona l’inno sacro:
60Te salutiamo, o pia
Ombra del dolce Vate,
Cui dalla cuna diero
Le Muse il suo favor.
V’ha secoli che dormi
65Nella natale terra,
E la memoria tua
In Ascra vive ancor,
Attenti ai detti tuoi,
Nostri padri fidaro
70Al campo il grano, al colle
Di Bacco il lieto don.
Tu più dolce rendesti
La vita lor colle arti
E col cantar, il primo
75Fra i don che accorda il ciel.
Gli avi tua tomba ornaro
Con cespugli, ch’or fatti
Ombroso bosco, emblema
Sono del nostro amor.
80Te salutiamo, o pia
Ombra del dolce Vate,
Cui diero dalla cuna
Le Muse il suo favor.
Così cantando appressasi
85Lentamente lo stuolo
Alla sacrata tomba.
Quand’al ricinto furo
Giunti dell’umil tempio,
Dalle mani paterne
90I figli riceverono
I destinati doni
E li posâr del tempio
Sulla scala di quercia,
Ove fra gli assi, ad onta
95D’ogni minuta cura,
Il musco ognor rinasce.
Dispongono con arte,
In ben tessute ceste
O in cesellati vasi,
100Qui trasparenti poma,
Là mature ciriege
E prugne, ed uve, © pere,
Le albicocche e le pesche,
In mezzo ai quali splende
105Dell’odorante favo
Il chiaro liquid’oro.
Deposti i doni, sciolgono
Così le turbe il canto:
O tu, cui dee la patria
110Terra ogni sua dovizia,
Non isdegnar i doni
Del grato nostro cor!
Quel ch’insegnasti agli avi
Coi detti e coll’esempio,
115Lo pratica il nipote,
Lodando ’l primo autor.
Come a benigno Nume
sagrifichiamo ogni anno
A te, nulla temendo
120Che se ne irriti ’l ciel.
È degli Dei l’amico,
Chi l’uman vita abbella,
E voglion che s’adori
Ogni benefattor.
125Deposto ’l vel terreno,
Andasti ai Numi, e siedi
Fra ’l coro delle Muse,
Spirto felice in ciel.
Ecco, due giovanetti
130Riverenti dal tempio
Uscirne in man recando
Il tripode che d’oro
Purissimo è formato,
Quello stesso che in Calcide
135Vuol la fama ch’Esiodo
Giovane ancor vincesse
Sul Re de’ Vati, Omero.
Ma la fama mentì!
Mai non ardì poeta
140Misurarsi nel canto
Coll’immortale Omero.
Allor che presentossi
N Vate, già del lume
Dell’ aureo sole privo
145Dal fanciullo condotto
Nell’aringo de’ giuochi:
Immantinente tutti
I poeti spariro,
Temendo il paragone
150Dell’invincibil Vate.
Ma tosto ch’ebbe Omero
Udito dal fanciullo,
Che l’apparire suo
Vuotato in un istante
155Avea l’arena intera;
Disse: «Di qui partiamo
E non turbiam con nostra
Presenza intempestiva
De’ sacri giuochi il corso.»
160Come partì, fra gli altri
Incominciò la gara.
Ottenne la vittoria
Esiodo sovra tutti,
E ricevette in premio
165Un’aurea tazza e questo
Tripode prezïoso.
Egli ne venne ratto
Al venerando vecchio
E lo pregò gradire
170Dell’adunanza in nome
La bella tazza d’oro.
Tosto leggier sorriso
Rasserenò l’aspetto
Costantemente grave
175Dell’acciecato Vate.
Posto il tripode d’oro
In mezzo l’adunanza
Di subito risuona
Più volte l’alto grido:
180«Corinna!...»
Ell’arrossendo
Esce, coll’aurea lira
In man, da quel boschetto,
Ove con magistero
Sublime lo scultore
185Rappresentò le Muse.
Dall’Olimpo discese
Per visitare Esiodo.
Sul tripode seduta
Ella così l’amena
190Voce discioglie al canto:
Quando dall’alto mare
Scorgevi il sacro Monte
Erger sue bianche cime
In rozza maestade;
195Vedevi a lui d’intorno
Mortifere paludi,
Colline sabbionose,
Impenetrabil selve.
Ecco vascello nero
200Alla torbida bocca
Dell’avida Crëusa!
Egli entra, ascende ’l fiume
Fra verdeggianti colli;
Di subito il nocchiero
205Scopre un immenso lago,
Pien d’isole vezzose!
«Addio,» diss’egli, «o mare!
Qui compirò mia vita,
Non rimembrando mai
210L’ingrata falsa Cuma1.
Non ricusa la terra
L’industre man dell’uomo;
Città, dall’oro guasta,
Non la corregge un Dio.»
215E, sceso sulla riva
Egli implorò l’aïta
Degl’indigeni Numi
E fabbricossi casa,
Che diventò fra breve
220La cuna della parva,
Non inglorïosa Ascra,
D’Esiodo genitrice.
L’incenerita selva
Rinasce in auree messi;
225Mentre l’ardita capra,
Sospesa ad ardue rupi,
Olenti piante strappa,
Il paludoso campo
Promette al bove errante
230E menta e timo in breve.
Sorgono in riva al lago
Tre leggiadre colline,
Ch’al nebuloso monte
S’addossano, quai pargoli,
235Che dei lor giuochi stanchi,
Appoggiansi dormendo
Sulle ginocchia al padre.
Là già ride la vite.
Nel già steril vallone
240Bagnate da sorgenti,
E da selvose cime
Contro Borea difeso,
Ora il suolo stupito
Alzarsi vede piante
245Dall’olezzante fiore
E dalle frutte d’oro.
Come se i campi d’Ascra
Divenissero sede
D’eterna primavera,
250Tanti vedeansi i fiori
Alle sue case intorno:
E, le natali selve
Lasciando, sciami d’api
Si stabiliro in Ascra.
255Nel suo cammino etereo
Lo stuol d’augei di passo,
Già vedere credendo
L’alma valle di Tempi,
Qui sceso s’annidava:
260E gli usignuoli ascrei
Non eran men di quelli
Della tomba d’Orféo.
Ma tosto risuonaro
I prati qui dal canto
265Del giovinetto Esiodo.
Gli sono dalla cuna
Propizie le Camene,
Sovente in forma d’api
Al sopito fanciullo
270Ungon di mel le labbra.
Se sull’aprico fianco
D’un colle scioglie ’l canto,
Si tace ogni altra voce;
L’ingorda capra lascia
275Il citiso, ed ascolta,
Ascolta mezzo immerso
Nella palude ’l toro.
In cima a un vago colle
Alberi ed arboscelli
280Crebbero insiem sì densi,
Ch’un solo, smisurato
Sembravano cespuglio.
Là ’l giovane pietoso,
Maneggiando la scure
285Con mano industrïosa,
Scavò piacevol tempio
Alle benigne Muse.
Con ogni primavera
Ringiovanendo il tempio
290Rinuova ed abbellisce
Ogni ornamento suo.
Più d’un pastor felice
Scorsevi le Camene.
Vicino a pittoresche
295Mormoranti cascate,
D’antica quercia all’ombra,
Un dì, dal camminare
Affaticato, Esiodo
S’addormentò. Si sveglia,
300E vede in aurea nube
Innanzi a sè le Muse.
Ei, dall’inusitato
Chiarore stupefatto,
A stento si solleva.
305Con melodiosa voce
Callïope gli dice:
«Tu pio i Numi onori;
T’onorano del pari
E difendono i Numi.
310«Odi tu il cenno loro:
Sono pietà e lavoro
I fonti dell’umana
Felicità. Ai mortali
L’un e l’altro insegnare
315In dolci chiari detti,
Ecco l’impiego sacro,
Impostoti da Giove.
«E noi, ne’ sogni tuoi,
Ti svelerem dell’alto
320Misterïoso Fato
L’impenetrabil sede,
L’origine, la possa,
Il grado degli Dei,
Le lunghe guerre loro
325Cogli orridi Titani,
«E la final vittoria
Del fulminante Giove,
De’ vinti la prigione
Dalle macigne mura
330E triplicate porte,
Che custodisce l’atra
Silenzïosa Notte,
Temuta anche dai Numi.
«Poscia dipingerai
335In semplice canzone,
Come con ferrea mano
L’audace padre tuo
Uccise ’l mostro, re
Delle letal paludi,
340Le cui membra cangiarsi
In fiorita pianura.
«Dipingerai l’ingorda
Fiamma, divoratrice
D’impenotrabil selve,
345E la cenere spenta,
Madre di ricche mi
Dirai che pochi semi,
Fidati al suolo, un bosco
Dall’aurce frutta fersi.
350«Dimostrerai verace
Quanto co’ versi esprimi:
E i vicin, quai fanciulli
Ad imitare pronti,
Qui di Cerere i semi,
355Là di Pomona le ossa
Affideranno al suolo,
Curiosi del successo.
«E diverrai stimato
Da loro al par d’un Nume:
360Essi t’innalzeranno
Un tempio, circondato
Di sacro ombroso bosco;
Finite l’annue messi,
Riempiran di grate
365Offerte l’ara tua.»
In segno dell’aïta
Celeste, allor Calliope
Sorridendo gli porge
Verde fronda di lauro.
370Si condensa la nube,
E toglie a poco a poco
Al giovine l’aspetto
Delle benigne Muse. —
Qui finisce Corinna
375L’armonïoso canto.
Già si vede sul fianco
De’ monti occidentali
Scendere dell’antica
Benfabbricata Tisbe
380La numerosa gente,
Agli abitanti unita
Della marina Tifa.
Giaceva ancor la notte
Sul tenebroso mare,
385Allor che gli abitanti
Della leggiadra Tifa
S’incamminaro a schiere,
Per arrivare a tempo
Alla gradita festa.
390Seguonsi l’uno l’altro
Carri dall’auree ruote,
Con fiori inghirlandati
E carchi di squisite
Innumerabil frutta.
395Li tirano robusti,
Bianchi al paro del latte
Tori dall’auree corna.
È della pigra coppia
Or più veloce ’l passo,
400Quasi noto le fosse
Che, questo dì fornito,
Sia del giogo poi libera.
Non si sente nè grido
Del condottier, nè fischio
405D’incomodo flagello.
Vanno seguiti i carri
Da biancheggiante stuolo
Di pecore lanute.
Le guidano fanciulli
410Di porpora vestiti
Senz’adoprar la forza;
Mentre da’ lor fratelli
Più grandi e più robusti
Vien guidata la greggia
415Delle barbute capre
Ritrose, che condurre
Non possono ch’a stento.
Note
- ↑ Città dell’Eolide.