Saggi poetici (Kulmann)/Parte seconda/La festa di Esiodo

Parte seconda - La festa di Esiodo

../Il vascelletto ../La madre nella valle di Tempe IncludiIntestazione 21 gennaio 2022 75% Da definire

Parte seconda - Il vascelletto Parte seconda - La madre nella valle di Tempe
[p. 126 modifica]

LA FESTA DI ESIODO


Voi m’inspirate l’estro,
     Figlie del sommo Giove!
     Affin ch’io degnamente
     Canti le vostre lodi
     5E ’l monte che fra tutti
     Per dimora sceglieste.

Talvolta dall’Olimpo
     Voi scendete sul Pindo,
     Il Re de’ greci monti,
     10O sull’azzurre cime
     Del delfico Parnasso,
     Danzando al fonte in riva.

Ma pure v’è più caro
     L’Elicona nativo,
     15Le cui valli feconde,
     Le cento e cento fonti
     Amate, e ’l tempio vostro
     E ’l nostro culto antico.

Dal tempo che voi stesse
     20Esiodo visitaste,
     E degnaste insegnargli
     Piacevole canzone,
     Ognor le vostre lodi
     Qui suonano d’intorno.

25Così cantò Corinna
     Al sorgere dell’alba,
     Invocando le Muse
     Nel bosco, dove ha sede
     Il vago monumento
     30Del lor diletto alunno.

Qual rosa appena colta,
     Grondante di rugiada,
     Che splende nel crin nero
     Di vaga pastorella;
     35Tal luminoso si alza
     Il Sol sull’Elicona
     Oscuro, e coll’alzarsi
     Fa cenno agli abitanti
     Delle terre vicine
     40Di cominciare l’annua
     Leggiadra festa loro.

Esce dall’umil porta
     D’Ascra, gloriosa cuna
     Del vate più gentile,
     45In abiti festivi,
     Innumerabil turba
     Di fanciullin leggiadri,
     Di vezzose donzelle,
     Di giovani robusti,
     50Mariti, spose e vecchi:
     Ei schiera a schiera seguonsi
     Lentamente e tacendo.
     Ma tosto che alla vista
     Si presenta il vetusto
     55Tempietto, che i maggiori
     Al Vate consacraro;
     Un armonioso coro
     Al suon del dolce flauto
     Intuona l’inno sacro:

60Te salutiamo, o pia
     Ombra del dolce Vate,
     Cui dalla cuna diero
     Le Muse il suo favor.

[p. 127 modifica]


V’ha secoli che dormi
     65Nella natale terra,
     E la memoria tua
     In Ascra vive ancor,

Attenti ai detti tuoi,
     Nostri padri fidaro
     70Al campo il grano, al colle
     Di Bacco il lieto don.

Tu più dolce rendesti
     La vita lor colle arti
     E col cantar, il primo
     75Fra i don che accorda il ciel.

Gli avi tua tomba ornaro
     Con cespugli, ch’or fatti
     Ombroso bosco, emblema
     Sono del nostro amor.

80Te salutiamo, o pia
     Ombra del dolce Vate,
     Cui diero dalla cuna
     Le Muse il suo favor.

Così cantando appressasi
     85Lentamente lo stuolo
     Alla sacrata tomba.
Quand’al ricinto furo
     Giunti dell’umil tempio,
     Dalle mani paterne
     90I figli riceverono
     I destinati doni
     E li posâr del tempio
     Sulla scala di quercia,
     Ove fra gli assi, ad onta
     95D’ogni minuta cura,
     Il musco ognor rinasce.
     Dispongono con arte,
     In ben tessute ceste
     O in cesellati vasi,
     100Qui trasparenti poma,
     Là mature ciriege
     E prugne, ed uve, © pere,
     Le albicocche e le pesche,
     In mezzo ai quali splende
     105Dell’odorante favo
     Il chiaro liquid’oro.
     Deposti i doni, sciolgono
     Così le turbe il canto:

O tu, cui dee la patria
     110Terra ogni sua dovizia,
     Non isdegnar i doni
     Del grato nostro cor!

Quel ch’insegnasti agli avi
     Coi detti e coll’esempio,
     115Lo pratica il nipote,
     Lodando ’l primo autor.

Come a benigno Nume
     sagrifichiamo ogni anno
     A te, nulla temendo
     120Che se ne irriti ’l ciel.

È degli Dei l’amico,
     Chi l’uman vita abbella,
     E voglion che s’adori
     Ogni benefattor.

125Deposto ’l vel terreno,
     Andasti ai Numi, e siedi
     Fra ’l coro delle Muse,
     Spirto felice in ciel.

Ecco, due giovanetti
     130Riverenti dal tempio
     Uscirne in man recando
     Il tripode che d’oro
     Purissimo è formato,
     Quello stesso che in Calcide
     135Vuol la fama ch’Esiodo
     Giovane ancor vincesse

[p. 128 modifica]

     Sul Re de’ Vati, Omero.
     Ma la fama mentì!
     Mai non ardì poeta
     140Misurarsi nel canto
     Coll’immortale Omero.
     Allor che presentossi
     N Vate, già del lume
     Dell’ aureo sole privo
     145Dal fanciullo condotto
     Nell’aringo de’ giuochi:
     Immantinente tutti
     I poeti spariro,
     Temendo il paragone
     150Dell’invincibil Vate.
     Ma tosto ch’ebbe Omero
     Udito dal fanciullo,
     Che l’apparire suo
     Vuotato in un istante
     155Avea l’arena intera;
     Disse: «Di qui partiamo
     E non turbiam con nostra
     Presenza intempestiva
     De’ sacri giuochi il corso.»
     160Come partì, fra gli altri
     Incominciò la gara.
     Ottenne la vittoria
     Esiodo sovra tutti,
     E ricevette in premio
     165Un’aurea tazza e questo
     Tripode prezïoso.
     Egli ne venne ratto
     Al venerando vecchio
     E lo pregò gradire
     170Dell’adunanza in nome
     La bella tazza d’oro.
     Tosto leggier sorriso
     Rasserenò l’aspetto
     Costantemente grave
     175Dell’acciecato Vate.
     Posto il tripode d’oro
     In mezzo l’adunanza
     Di subito risuona
     Più volte l’alto grido:
     180«Corinna!...»
                         Ell’arrossendo
     Esce, coll’aurea lira
     In man, da quel boschetto,
     Ove con magistero
     Sublime lo scultore
     185Rappresentò le Muse.
     Dall’Olimpo discese
     Per visitare Esiodo.
Sul tripode seduta
     Ella così l’amena
     190Voce discioglie al canto:
Quando dall’alto mare
     Scorgevi il sacro Monte
     Erger sue bianche cime
     In rozza maestade;
     195Vedevi a lui d’intorno
     Mortifere paludi,
     Colline sabbionose,
     Impenetrabil selve.
Ecco vascello nero
     200Alla torbida bocca
     Dell’avida Crëusa!
     Egli entra, ascende ’l fiume
     Fra verdeggianti colli;
     Di subito il nocchiero
     205Scopre un immenso lago,
     Pien d’isole vezzose!
     «Addio,» diss’egli, «o mare!
     Qui compirò mia vita,
     Non rimembrando mai
     210L’ingrata falsa Cuma1.
     Non ricusa la terra
     L’industre man dell’uomo;
     Città, dall’oro guasta,
     Non la corregge un Dio.»
215E, sceso sulla riva

[p. 129 modifica]

     Egli implorò l’aïta
     Degl’indigeni Numi
     E fabbricossi casa,
     Che diventò fra breve
     220La cuna della parva,
     Non inglorïosa Ascra,
     D’Esiodo genitrice.

L’incenerita selva
     Rinasce in auree messi;
     225Mentre l’ardita capra,
     Sospesa ad ardue rupi,
     Olenti piante strappa,
     Il paludoso campo
     Promette al bove errante
     230E menta e timo in breve.

Sorgono in riva al lago
     Tre leggiadre colline,
     Ch’al nebuloso monte
     S’addossano, quai pargoli,
     235Che dei lor giuochi stanchi,
     Appoggiansi dormendo
     Sulle ginocchia al padre.
     Là già ride la vite.

Nel già steril vallone
     240Bagnate da sorgenti,
     E da selvose cime
     Contro Borea difeso,
     Ora il suolo stupito
     Alzarsi vede piante
     245Dall’olezzante fiore
     E dalle frutte d’oro.

Come se i campi d’Ascra
     Divenissero sede
     D’eterna primavera,
     250Tanti vedeansi i fiori
     Alle sue case intorno:
     E, le natali selve
     Lasciando, sciami d’api
     Si stabiliro in Ascra.

255Nel suo cammino etereo
     Lo stuol d’augei di passo,
     Già vedere credendo
     L’alma valle di Tempi,
     Qui sceso s’annidava:
     260E gli usignuoli ascrei
     Non eran men di quelli
     Della tomba d’Orféo.

Ma tosto risuonaro
     I prati qui dal canto
     265Del giovinetto Esiodo.
     Gli sono dalla cuna
     Propizie le Camene,
     Sovente in forma d’api
     Al sopito fanciullo
     270Ungon di mel le labbra.

Se sull’aprico fianco
     D’un colle scioglie ’l canto,
     Si tace ogni altra voce;
     L’ingorda capra lascia
     275Il citiso, ed ascolta,
     Ascolta mezzo immerso
     Nella palude ’l toro.

In cima a un vago colle
     Alberi ed arboscelli
     280Crebbero insiem sì densi,
     Ch’un solo, smisurato
     Sembravano cespuglio.
     Là ’l giovane pietoso,
     Maneggiando la scure
     285Con mano industrïosa,

Scavò piacevol tempio
     Alle benigne Muse.
     Con ogni primavera
     Ringiovanendo il tempio
     290Rinuova ed abbellisce
     Ogni ornamento suo.
     Più d’un pastor felice
     Scorsevi le Camene.

[p. 130 modifica]

Vicino a pittoresche
     295Mormoranti cascate,
     D’antica quercia all’ombra,
     Un dì, dal camminare
     Affaticato, Esiodo
     S’addormentò. Si sveglia,
     300E vede in aurea nube
     Innanzi a sè le Muse.
     Ei, dall’inusitato
     Chiarore stupefatto,
     A stento si solleva.
     305Con melodiosa voce
     Callïope gli dice:
     «Tu pio i Numi onori;
     T’onorano del pari
     E difendono i Numi.
     310«Odi tu il cenno loro:
     Sono pietà e lavoro
     I fonti dell’umana
     Felicità. Ai mortali
     L’un e l’altro insegnare
     315In dolci chiari detti,
     Ecco l’impiego sacro,
     Impostoti da Giove.
     «E noi, ne’ sogni tuoi,
     Ti svelerem dell’alto
     320Misterïoso Fato
     L’impenetrabil sede,
     L’origine, la possa,
     Il grado degli Dei,
     Le lunghe guerre loro
     325Cogli orridi Titani,
     «E la final vittoria
     Del fulminante Giove,
     De’ vinti la prigione
     Dalle macigne mura
     330E triplicate porte,
     Che custodisce l’atra
     Silenzïosa Notte,
     Temuta anche dai Numi.
     «Poscia dipingerai
     335In semplice canzone,
     Come con ferrea mano
     L’audace padre tuo
     Uccise ’l mostro, re
     Delle letal paludi,
     340Le cui membra cangiarsi
     In fiorita pianura.
«Dipingerai l’ingorda
     Fiamma, divoratrice
     D’impenotrabil selve,
     345E la cenere spenta,
     Madre di ricche mi
     Dirai che pochi semi,
     Fidati al suolo, un bosco
     Dall’aurce frutta fersi.
350«Dimostrerai verace
     Quanto co’ versi esprimi:
     E i vicin, quai fanciulli
     Ad imitare pronti,
     Qui di Cerere i semi,
     355Là di Pomona le ossa
     Affideranno al suolo,
     Curiosi del successo.
     «E diverrai stimato
     Da loro al par d’un Nume:
     360Essi t’innalzeranno
     Un tempio, circondato
     Di sacro ombroso bosco;
     Finite l’annue messi,
     Riempiran di grate
     365Offerte l’ara tua.»
In segno dell’aïta
     Celeste, allor Calliope
     Sorridendo gli porge
     Verde fronda di lauro.
     370Si condensa la nube,
     E toglie a poco a poco
     Al giovine l’aspetto
     Delle benigne Muse. —

Qui finisce Corinna
     375L’armonïoso canto.
Già si vede sul fianco

[p. 131 modifica]

     De’ monti occidentali
     Scendere dell’antica
     Benfabbricata Tisbe
     380La numerosa gente,
     Agli abitanti unita
     Della marina Tifa.
Giaceva ancor la notte
     Sul tenebroso mare,
     385Allor che gli abitanti
     Della leggiadra Tifa
     S’incamminaro a schiere,
     Per arrivare a tempo
     Alla gradita festa.
     390Seguonsi l’uno l’altro
     Carri dall’auree ruote,
     Con fiori inghirlandati
     E carchi di squisite
     Innumerabil frutta.
     395Li tirano robusti,
     Bianchi al paro del latte
     Tori dall’auree corna.
     È della pigra coppia
     Or più veloce ’l passo,
     400Quasi noto le fosse
     Che, questo dì fornito,
     Sia del giogo poi libera.
     Non si sente nè grido
     Del condottier, nè fischio
     405D’incomodo flagello.
     Vanno seguiti i carri
     Da biancheggiante stuolo
     Di pecore lanute.
     Le guidano fanciulli
     410Di porpora vestiti
     Senz’adoprar la forza;
     Mentre da’ lor fratelli
     Più grandi e più robusti
     Vien guidata la greggia
     415Delle barbute capre
     Ritrose, che condurre
     Non possono ch’a stento.

Note

  1. Città dell’Eolide.